di Francesco MONTUORI
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M.Martini e F. Montuori
Sabaudia, città di fondazione
LA CHIESA DELLA SS. ANNUNZIATA
Si giunge provenendo da Roma e, fin da lontano, siamo guidati dall’alta torre municipale. Si innalza come un obelisco romano, in posizione assiale rispetto alle principali strade di accesso all’edificio comunale, richiamo ottico che agisce in lontananza, segno stilistico di tutto ciò che attorno gli si affolla con insistiti ritmi orizzontali (fig.1).
Non meraviglia che i quattro progettisti di Sabaudia – Gino Cancellotti, Eugenio Montuori, Luigi Picconato e Alfredo Scalpelli – ne abbiano difeso con convinzione l’altezza di ben 42 mt, anche se essa superava quella della torre municipale di Latina, capoluogo della nuova provincia.
Marcello Piacentini ne sposò le ragioni e lo stesso Mussolini se ne convinse. Ricevendo i progettisti della stazione di Firenze e della nuova città di Sabaudia, duramente attaccati nel parlamento italiano, li rassicurò:
“Tengo a precisare in modo inequivocabile che io sono per l’architettura moderna, per quella del nostro tempo….”.
La vicenda della torre comunale di Sabaudia fu dunque una vittoria anche per Piacentini che vedeva nell’omogeneità stilistica della chiesa del Cristo Re, della Stazione di Firenze e degli edifici di Sabaudia una realtà culturale che corrispondeva ai suoi propositi di guida indiscussa dell’architettura italiana del Novecento.
La torre comunale fa da perno all’asse stradale della Migliara 53 di penetrazione nella nuova città; superata la torre comunale la strada prosegue per poi terminare affacciandosi nel fiordo della Crepara sul lago di Paola. In senso ortogonale la Torre comunale definisce l’asse trasversale, viale Giulio Cesare-Piazza Circe, cui fanno da sfondo la Chiesa dell’Annunziata su piazza Regina Margherita da un lato e la caserma della Milizia, oggi scuola Centrale Remiera della Marina Militare su piazza Circe, dall’altro (fig.2).
La chiesa della SS. Annunziata ed il Battistero sono impostati su una piattaforma cui si accede per una breve scalinata. La progettazione di questo importante e vasto edificio e dell’annesso Battistero è da attribuire ai quattro progettisti della città i quali, forse per un accordo preliminare, decisero allora di condividere appieno la progettazione degli edifici della nuova città di fondazione.
Cancellotti, Montuori, Piccinato e Scalpelli si conoscevano da tempo. Avevano fatto parte del Gruppo degli Urbanisti Romani; Cancellotti e Scalpelli avevano partecipato al concorso per la Stazione di Santa Maria Novella a Firenze ed entrambi lavoreranno con Montuori al cantiere della Esposizione Universale di Roma per la realizzazione del Palazzo delle Scienze, l’attuale Museo Pigorini.
E’ utile peraltro ricordare che Scalpelli si laureò progettando un complesso chiesastico con annesso Battistero; fino agli anni ’60, nello studio professionale di Alfredo Scalpelli in via Vittoria Colonna a Roma, risultavano esposti molteplici disegni a grafite della Chiesa della SS. Annunziata. Più recentemente, nel 2010, sono stati donate alla Casa dell’architettura di Latina, numerose copie cianografiche opera dell’arch. Gino Cancellotti fra cui 88 disegni relativi alla chiesa, al battistero, alla canonica, alla casa delle suore ed alla cappella delle monache.
La Chiesa della SS. Annunziata
Nel loro importante saggio La SS. Annunziata tra palude e città scritto insieme ad Augusto Martellini, Daniela Carfagna e Clemente Ciammarugoni ricordano che gli architetti furono costretti a lavorare alla chiesa mentre era già iniziata la costruzione del nuovo centro urbano. Nella fotografia che ritrae Mussolini il 15 aprile del 1934 all’inaugurazione della nuova città, si vedono sullo sfondo con chiarezza i ponteggi lignei che ancora avvolgono l’edificio chiesastico (fig. 3)
La chiesa della SS. Annunziata fu dunque uno degli ultimi edifici ad essere completato. Il centro religioso offre una veduta assiale con la piazza del Municipio, ben collegato dall’ampia via Giulio Cesare, ma giustamente ben distinto; il campanile è staccato dal volume della chiesa ed appare piuttosto come una seconda torre che partecipa al paesaggio urbano. (fig. 4).
La chiesa presenta un partito di facciata rivestito da blocchi di travertino a ricorsi orizzontali di due differenti tonalità. Anche il campanile è in ricorsi di travertino. I fianchi e la tribuna della chiesa sono rivestiti in mattoni rossi.
Come sottolineerà Marcello Piacentini
“gli architetti, ispirandosi all’atmosfera delle nostre tipiche piazze medioevali (….) hanno voluto esprimere nei pochi e semplici volumi, armonicamente distribuiti il ritorno ad una più serena semplicità. I volumi della chiesa e del battistero, isolati nel vuoto della piazza, determinano una varietà di effetti e di visuali piena di attrattive.”
Il grande mosaico
Il fronte della chiesa presenta una triplice ripartizione; un grande e alto nicchione centrale “a guscio”, ricavato sopra l’ingresso che ospita il grande mosaico di Ferruccio Ferrazzi e due corpi laterali slanciati, con un portico di base. Un architrave terminale restituisce l’unità di insieme. Il grande mosaico ritrae la Madonna dell’Annunziata sovrastata da un imponente angelo benedicente, in un paesaggio rappresentante il territorio della bonifica, la piazza del comune di Sabaudia e la “battaglia del grano”; Mussolini stesso vi è rappresentato mentre trebbia il grano che la terra, sottratta alle paludi, dà ora in abbondanza (fig. 5).
L’incarico di realizzare il mosaico fu affidato a Ferruccio Ferrazzi dal commissario dell’Opera Nazionale Combattenti, Orsolino Cencelli. Ferrazzi era amico fraterno di Scalpelli a testimoniarne l’attiva partecipazione alla realizzazione della chiesa di Sabaudia.
Il mosaico ha le dimensioni di m. 15,00 x 3,80 e si compone di 260 pezzi che con la supervisione dello stesso autore furono realizzati in laboratorio e ricomposti nel grande mosaico. Alla caduta del fascismo il mosaico rischiò di essere irrimediabilmente deturpato per la furia che travolse dopo il 25 luglio del 1943 tutti i simboli del regime fascista.
La navata interna
L’interno della chiesa è costituito da un’unica vastissima navata (fig. 6);
la nave centrale si sviluppa lateralmente con due espansioni: due grandi e coraggiosi portali trilitici si aprono su tre cappelle che definiscono all’esterno imponenti semicilindri rivestiti in mattoni; le cappelle comprendenti ciascuna un altare, sono coperte in piano ed illuminate dall’alto. La grande nave termina su una tribuna sopraelevata, lateralmente sfinestrata con vetrate colorate a caratteristiche decorazioni liberty, ai cui lati sono disposti due pulpiti marmorei; sotto di essi si aprono le porte che conducono alla cripta (fig. 7)
La chiesa, di imponenti dimensioni, fu terminata nel 1935.
Su Urbanistica n.1 del gennaio 1934 Luigi Piccinato pubblicò un articolo sul “Significato urbanistico di Sabaudia” . Piccinato insiste sul rapporto fra il centro della nuova città e la corona dei borghi e dei poderi, disseminati sul territorio agricolo ma dipendenti in tutto dal centro comunale per quanto riguarda le istituzioni necessarie per il funzionamento della vita civile: il palazzo del Comune, la chiesa, l’albergo, il cinema, il mercato, le scuole, l’ospedale. “L’edilizia di queste istituzioni deve essere proporzionata ai bisogni di tutto il territorio agricolo e non solamente a quelli del centro cittadino comunale propriamente detto.” Sabaudia, ribadisce Piccinato, va inquadrata nel suo territorio, ossia come un sistema edilizio a forte decentramento che fa capo ad un grande quartiere centrale.
Tuttavia molti dei borghi previsti non furono realizzati ed oggi Sabaudia conta poco più di 8.000 residenti rispetto ai 20.000 che i progettisti avevano preventivato; si spiegano in tal modo le inusuali dimensioni degli edifici pubblici del centro della nuova città e perché alcuni di questi edifici – l’albergo, il cinema-teatro, – versino attualmente in uno stato di deplorevole abbandono.
Oggi le nuove città della bonifica pontina – Pontinia, Aprilia, Latina, Pomezia, Sabaudia – e i borghi rurali – Borgo Grappa, Borgo Sabotino, Fogliano – testimoniano insieme del successo e dell’insuccesso dell’impresa compiuta.
Il particolare stile con il quale furono costruite si chiamava impropriamente “razionalismo”: superfici lisce e squadrate, disadorne, monumentalità severa e funzionale, spazi urbani vasti e geometricamente delimitati, architetture che con il loro fascino melanconico si fondono con il paesaggio della bonifica, piatto, disteso, tra i lontani monti azzurri, i Lepini, e le acque addormentate dei laghi e delle lagune (fig. 8).
Se ancora oggi ci mettiamo con alle spalle la torre comunale, ammiriamo da una parte e dall’altra due prospettive ugualmente vuote con due sfondi, due paesaggi urbani che ci rimandano alla pittura delle misteriose piazze delle città italiane di Giorgio De Chirico, la piazza Regina Margherita con la chiesa dell’Annunziata da un lato e la piazza Circe richiusa dalla caserma della Milizia dall’altro.
Lo stile razionalista trasmuta dunque nella metafisica proprio perché riflette qualche cosa che avrebbe voluto esserci e non ci fu, un’assenza, una velleità, un’aspirazione, un sogno forse. Il sogno della redenzione di un territorio voluta dalla volontà politica del colonialismo fascista.
Francesco Montuori Roma 6 settembre 2020