L’architettura “trasparente e cristallina” di Gio Ponti e il rinnovamento della casa di abitazione

di Francesco MONTUORI

Migranti su About

  1. M. Martini & F. Montuori

 EREDITA’  DEL  MODERNO

 Gio Ponti,  dalla  casa  esatta  alla  forma  finita

Seconda  Parte

“Uno stile esatto, modulato da elementi perfetti ed intercambiabili” che favoriscano un’architettura precisa adeguata ai tempi nuovi.

Gio Ponti

Nel dopoguerra Ponti approfondisce i suoi studi sulla casa d’abitazione, sulla esatta distribuzione interna e sulle possibilità  dell’intervento dell’industria, in forte espansione in particolare nel settore edilizio.

I partiti murari come le coperture ridurranno al minimo i loro spessori e la tecnica permetterà l’avvento di quell’architettura “trasparente” e “cristallina” da  lui sognata negli anni del conflitto mondiale. La tecnica consentirà quella sperimentazione della casa che nei nuovi materiali e metodi costruttivi troverà un oggettivo processo di modernizzazione.

Alla luce di quest’aspirazione alla leggerezza, la tecnica viene accolta da Ponti con ingenuo entusiasmo in un ottica liberatoria.

“La tecnica – scriverà su “Domus” – apre prospettive di interesse eccezionale”, offre nuovi materiali incorruttibili, permette precisione, rapidità di lavoro, metodi stupefacenti di prova e di calcolo. Dalla casa all’italiana alla casa esatta del dopoguerra fino alla casa adatta degli anni ‘70 Ponti delinea un percorso di umanizzazione della tecnica e di rinnovamento profondo della casa di abitazione.

La casa esatta

Alla X Triennale di Milano del 1954, precorrendo le soluzioni che adotterà nella casa per me di via Dezza, Ponti propone la casa esatta, la casa unifamiliare industrializzata, un Alloggio uniambientale per quattro persone, un grande ambiente unico contornato da servizi ristrettissimi e da letti ribaltabili in alcova: una soluzione grande per un piccolo spazio (fig.1).

Fig.1 Alloggio uniambientale per quattro persone (ArchiDiap)

Quinte di muro e pareti a fisarmonica, creano schermi variabili sia unendo tutto lo spazio quanto aggregando più spazi e chiudendone altri. Non ci sono porte, non vi è spazio perduto in corridoi e disimpegni. Aria e luce sono passanti e la visuale prosegue oltre le vetrate poste alle due estremità dell’appartamento. Le quinte murarie attutiscono i rumori; il soffitto è fonoassorbente; la luce è diffusa, schermata, in modo da creare  un’atmosfera luminosa graduabile. Il pavimento di un colore unico è in plastica o ceramica; i mobili rivestiti di plastica colorata; la cucina si apre sullo spazio per il pranzo. I pannelli possono accogliere le varie attrezzature – le mensole, gli scaffali, i ripiani le cassettiere e telefoni, luci, radio.

Dalla casa all’italiana alla casa esatta del dopoguerra, fino alla casa adatta, Ponti delineerà un percorso di umanizzazione della tecnica, che si impone dopo il 1945, per l’industrializzazione forzata e l’adozione di elementi modulari: “la casa deve essere ammirevole come fosse vuota e intima come fosse piena.”

La casa per me

Nella sua lunga vita la sorte permise a Gio Ponti di abitare in ben quattro case da lui progettate: la casa di via Randaccio e la casa Brin a Milano, la “casetta di guerra” a Civate Brianza, presso Como,  e la casa di via Dezza anch’essa a Milano.

 A via Dezza Ponti era già proprietario di un’ex autorimessa, un grande capannone che trasformò nel suo studio e nella sede della redazione di “Domus”. Subito dopo costruì la casa, la Domus Attica, un condominio di nove piani dove risedette, al settimo piano, fino al  termine della sua vita.

Fig.2 Milano. La casa di abitazione di via Dezza
In Gio Ponti Venti cristalli di architettura di Gloria Ardito e Cesare Serratto

La casa di via Dezza, realizzata fra il 1956 e il 1957, sintetizza tutte le riflessioni di Ponti sul tema dell’abitazione; la pianta libera rappresenterà uno dei filoni principali di ricerca ed i suoi risultati saranno comunemente adottati da quanti, ingegneri o architetti, lavoreranno sullo stesso tema in una fase di ricostruzione e grande espansione delle città italiane.

La facciata, inserita su due costruzioni è caratterizzata da lunghi balconi, divisibili secondo la convenienza. La geometria delle balconate elemento ordinatore della stretta facciata, è impostata a sbalzo su un basamento di un piano e mezzo che permette l’illuminazione del piano interrato. L’insieme è delimitato da due lesene laterali in pietra per tutta l’altezza del fronte su strada (fig.2).

Fig.3 Milano.Pianta della casa di via Dezza In Gio Ponti Venti cristalli di architettura di Gloria Ardito e Cesare Serratto

Ponti scrive nella relazione al progetto: ”Queste balconate ad ogni piano possono corrispondere ad appartamenti più grandi o più piccoli, od unici una variazione imposta dalla vendita preventiva degli appartamenti. Ogni condomino può modificare le finestre diversamente dagli altri. Anche le balaustre dei balconi entrano in questo gioco di spazi e di colore”. Nell’appartamento al settimo piano Ponti stabilì la sua residenza: la sistemazione dell’intero piano fu l’occasione per una verifica della delle sue convinzioni per la “pianta aperta” con le “pareti mobili”. E’ un appartamento di 160 mq.; a nord sono posti i locali di servizio e lo studio dell’architetto; verso strada il soggiorno e le camere da letto, che, a pareti aperte, costituiscono un unico grande ambiente pensato per ottenere punti di vista molteplici che consentissero la percezione di un ambiente unitario (fig.3);

i soffitti ed i pavimenti, rigati in diagonale, contribuiscono in modo determinante al risultato di una spazio aperto, disponibile, modificabile. Tre successive pareti a soffietto permettono di unificare i quattro ambienti che si affacciano sul viale, le due camere per i figli, la camera dei genitori, il soggiorno (fig.4).

Fig.4 Milano.La casa di via Dezza interno In Gio Ponti Venti cristalli di architettura di Gloria Ardito e Cesare Serratto

Quest’ultimo si può unire sul retro ad una camera-studio dello stesso Gio Ponti (fig.5)

Fig.5 Milano.La casa di via Dezza. Lo studio di Ponti ArchiDiap

La parete di facciata è continua ad una sola vetrata; Ponti sperimenta la “finestra arredata”, intesa come diaframma umano fra interno ed esterno, per non rinunciare ai vantaggi delle grandi superfici vetrate che possono ospitare “mobili autoilluminanti”, scaffalature, piani aggettanti, sostegni per vasi da fiori,ecc. (fig.6).

Fig. 6 Milano.La casa di via Dezza, la finestra arredata Architettura ecosostenibile.it

La finestra si trasforma di notte, illuminandosi, dissolve l’immagine della facciata in un insieme di superfici luminose e colorate grazie alle quali “isolamento e unità si possono graduare a piacere: tutta la casa è trasformabile” (fig.7).

Fig. 7 Milano.La casa di via Dezza, “Giorno e notte” In Gio Ponti Venti cristalli di architettura di Gloria Ardito e Cesare Serratto

Un interno con i suoi molti oggetti, i ricordi dei numerosi viaggi, una casa all’italiana ricca di suppellettili ed opere d’arte ben ordinate nello spazio.

Una farfalla appoggiata su un terreno collinoso

La vitalità dello studio di via Dezza e gli studi che Ponti portava avanti sulla casa, flessibile, modificabile, attenta ai mobili e alle opere d’arte, affascinò Anala e Armando Planchart, due grandi amici di Ponti, residenti a Caracas. La loro fu una richiesta chiara: desideravano una Villa moderna, con struttura puntiforme che si appoggiasse in cima al cerrito, una collina aperta verso la città di Caracas, una megalopoli di quattro milioni di abitanti, in tumultuosa espansione.

E’ l’occasione per Ponti di compiere un viaggio in America latina; è impressionato dai volumi profondamente radicati nel terreno roccioso e lavico del Pedregal a Mexico City di Luis Barragan e dai volumi leggeri, appoggiati sul terreno, del Museo di Caracas di Oscar Niemayer. Quanto il Pedregal è radicato nella roccia di lava, tanto al contrario la Villa Planchart ne apparirà distaccata.

Ponti apre una fase completamente diversa da quella sino ad allora praticata. Nella Villa Planchart l’idea dello spazio “chiuso” da piani si rifà all’immagine geometrica del “cristallo” di architettura. L’unità plastica dell’edificio è realizzata dalla continuità delle vedute collegate le una alle altre.

La Villa si affaccia con una meravigliosa infilata sulla città di Caracas, la facciata “piegata” quasi a difendersi dal vento (fig.8).

Fig.8 Caracas. Villa Planchart Archdaily.mx
Fig.9 Caracas. Villa Planchart Foto aquiscopio

E’ un edificio con una “forma chiusa” da piani fra loro indipendenti; il superamento della pianta rettangolare ad angoli di 90° che conduceva a creare gerarchie (prospetto principale, fianco, retro) comporta il passaggio da un parallelepipedo volumetrico ad una forma delimitata da piani: le pareti esterne tra loro semplicemente appoggiate, determinano uno spazio continuo, non più un volume; pareti e copertura, superfici fra loro staccate, delimitano lo spazio dell’abitazione e definiscono la leggerezza della costruzione (fig.9).

L’ampia e sottile linea di gronda della copertura appare come la continuazione del soffitto del salone. Ciò che è antico è pesante, opaco; al contrario la costruzione moderna è leggera, trasparente.

L’architettura della Villa Planchart si basa sull’evidenza delle “superfici portate” dal telaio costruttivo: i muri e i tetti il cui esiguo spessore rappresentano la tipica leggerezza dei piani verticali ed orizzontali consentite dalla tecnica moderna; le finestrature, poste al filo esterno non bucano la superficie ma ne fanno parte integrante; il muro “portato” si risolve in un’espressione di leggerezza, in contrasto con la sensazione di peso che caratterizzava l’architettura del cosidetto novecento.

Ponti mette in evidenza come la struttura in cemento armato regga le pareti murarie e la copertura che da difese divengono semplici piani di separazione. La costruzione si “appoggia sul terreno”, come una grande farfalla con le ali dispiegate al suolo, senza peso, né volume né massa; l’indipendenza della facciata permette a Ponti di concepire l’organismo architettonico come una sequenza di libere superfici. Ponti cercava qualcosa che apparteneva si ad una tecnica costruttiva che avesse nella mia espressione, le grazie di disegno, di forma, di esilità che Niemeyer ci aveva rivelato (fig.10).

Fig.10 Caracas.Villa Planchart Designsourebook.net

La veduta notturna evidenzia la separazione delle superfici piane e della copertura e ne rivela “l’esiguo spessore e la leggerezza”. La luce ne scolpisce il volume, catturata di giorno è restituita di notte in un bagliore di luce propria (fig.11).

Fig.11 Caracas. Villa Planchart Artdocfestival.com
Fig.12 Caracas.Villa Planchart Pinterest

Dal punto più alto della collina Caracas appariva come il sogno realizzato di una nuova modernità, la capitale di un Venezuela in piena crescita economica.

La villa è risolta all’interno attraverso lo studio della visuali interne e delle visuali dall’interno verso il panorama esterno “perché l’architettura, senza essere scenografia, è però uno spettacolo di spazi…..il mio lavoro mi ha portato a realizzare in questa villa tutti i miei principi e particolarmente quello della leggerezza” (fig.12).

Tutto à stato oggetto di una minuziosa progettazione; dai marmi alle posate disegnate da di Ponti, i quadri di Morandi, le ceramiche di Melotti, le sedie “parlanti” di Fornasetti. Si chiude in un trionfo del made in Italy il periodo della “casa all’italiana” cosi cara alla cultura alto-borghese di Gio Ponti.

La forma finita

Nel complesso della biografia professionale di Gio Ponti due palazzi per uffici hanno avuto un ruolo significativo; si tratta rispettivamente del Palazzo della Montecatini, realizzato nel 1938, e del grattacielo Pirelli, completato nel 1960.

Nel Palazzo della Montecatini Gio Ponti rinnova alle radici la tipologia del Palazzo, come si è venuta a delineare dal palazzo trecentesco fino al novecento; il Palazzo della Montecatini si rivelò, suo malgrado, un’opera aperta; fu in parte sopraelevato in una delle due ali laterali della forma ad H.

Fig.13 Milano.Grattacielo Pirelli Artribune.com

Questa esperienza convinse Ponti a concepire il grattacielo Pirelli, che domina la città di Milano nella piazza della stazione centrale, come un’ opera immodificabile, una forma finita: in pianta due elementi poligonali e speculari, accostati senza toccarsi, definiscono il lungo spazio a fuso della galleria centrale; in alzato, nella parte terminale, la copertura staccata dalla massa dell’edificio appare sospesa sul solaio dell’ultimo piano. La separazione dall’esterno è un’unica vetrata agganciata alla struttura in cemento armato realizzata da Pier Luigi Nervi; per ciascuna delle due parti, la struttura è composta da quattro sostegni, due terminali triangolari e due pilastri, rastremati ed equidistanti nel corpo centrale degli uffici, calcolati esattamente per il volume realizzato (fig.13).

L’architettura deve determinare una forma definita. Non il volume fa l’architettura, ma la forma, chiusa, finita, immodificabile”.

La forma finita è la risposta di Gio Ponti al ritmo senza fine ed alla stanca ripetizione degli elementi che caratterizzavano il tramonto l’International style.

Francesco MONTUORI  Roma 21 febbraio 2021