L’arte della “relianza”; i 100 anni di Edgar Morin, uno dei maggiori intellettuali europei viventi

di Marcello AITIANI

Dialogo con Marcello Aitiani, pittore, musicista e saggista, chiamato a offrire la propria testimonianza su Edgar Morin, uno dei maggiori intellettuali europei viventi

Per celebrare i 100 anni compiuti nel recente 8 luglio da Edgar Morin, il filosofo Mauro Ceruti ha invitato 100 italiani a scrivere sul suo pensiero. Si tratta di figure provenienti dal mondo accademico – di istituti culturali anche stranieri – e da altri contesti come, in modo non esaustivo, quelli della musica, dell’arte, delle attività produttive, dell’architettura, del cinema, dell’editoria, della psicoterapia, della promozione di valori sociali, civili e spirituali (come Luigi Ciotti e Carlo Petrini), delle istituzioni italiane ed europee (come David Sassoli, Presidente del Parlamento europeo). I contributi hanno dato vita a un libro di oltre quattrocento pagine, curato dallo stesso Ceruti, con la collaborazione di Gianluca Bocchi, Giuseppe Gembillo, Sergio Manghi, Alessandro Mariani, Oscar Nicolaus, Chiara Simonigh.

Il volume, 100 Edgar Morin, edito da Mimesis, uscito in questi giorni, è introdotto da uno scritto di Ceruti, sintesi preziosa sulla vita, le opere e il pensiero di Morin.

Ci sembra importante che per rendere omaggio a un importante filosofo e sociologo siano stati chiamati anche alcuni esponenti di settori artistici.

Edgar Morin è stato definito un uomo planetario; nello steso tempo radicato nei luoghi della sua giovinezza e della sua vita. Tra questi, l’Italia ha esercitato un grande richiamo, come c’informa l’esergo del libro, tratto da I ricordi mi vengono incontro, edito da Raffaello Cortina nel 2020; tanto da scrivere che fin dall’infanzia risuonava in lui l’aria di Mignon nell’opera di Ambroise Thomas:

«quel “là dove vorrei vivere, amare e morire”, che già mi sconvolgeva, con l’età mi attanaglia sempre più le viscere e mi rende umidi gli occhi».

La ricerca di Morin ha un carattere prismatico, nella consapevolezza che i fenomeni della realtà risplendono di moltissimi colori e anche si ottenebrano di molte ombre. Una simile configurazione si riflette nel modo con cui Ceruti ha pensato di rendergli omaggio. Far emergere la figura di Morin, appassionata e rigorosa, da differenti sensibilità e prospettive disciplinari è la forma più adatta per invitare a una lettura corretta della complessità del suo pensiero. È una scelta apprezzabilissima.

Molte sono state le celebrazioni dedicate a Edgar Morin, anche dai massimi organismi internazionali come l’UNESCO a Parigi. Vorrei perciò prima di tutto ringraziare il filosofo Mauro Ceruti, da decenni allievo, amico e collega di Morin, anche per aver pensato e curato la pubblicazione, rendendo in tal modo partecipe l’Italia dei festeggiamenti per un simile intellettuale.

-Il breve ritratto che in questo libro hai tracciato ha un titolo particolare: L’arte della relianza. Potremmo iniziare da questo, per poi passare al tuo scritto. Quali aspetti del pensiero di Morin per te sono stati importanti?

R. La parola “relianza” traduce in italiano un neologismo di Morin, che fonde i termini relier (collegare, legare) e alliance (alleanza). Nella loro unione già s’incarna una condensazione di significati, com’è tipico della complessità (ricca di intrecci, appunto). Il titolo richiama allora un punto essenziale del pensiero di Morin, e suggerisce anche un’inclinazione analoga che l’arte non può trascurare; o comunque che io sento fortemente. Poi osservo che in pittura come nelle opere letterarie il ritratto non può scadere a copia fotografica e letterale del soggetto raffigurato. Del resto già Petrarca sosteneva che chi vuole rappresentare qualcosa o qualcuno deve stare attento che ciò che scrive sia simile, ma non del tutto identico, a ciò che si propone di imitare. In ogni ritratto traspare sempre qualcosa della soggettività del suo autore. Ritengo che anche nel testo che ho preparato emerga qualcosa, più o meno consapevolmente, del mio sentire. Ad ogni modo penso che questi «cento brevi ritratti» «affettuosi e rigorosi», come scrive Ceruti all’apertura del volume, si compongano in una più ampia effigie, come fosse la figura di un mosaico che prende vita dalle tante tessere, dal ritmo della scansione musiva e dai differenti cromatismi soggettivi che pulsano nei vari scritti. Segni tangibili anche dei molti e vari riflessi ed esiti che il suo pensiero ha fatto evolvere.

-E circa alcune idee che ti accendono, di cui hai scritto nel tuo intervento o che hai toccato più di sfuggita?

R: In Morin ho sempre apprezzato, tra l’altro, la presenza di un pensiero che si forma e si struttura come un arazzo in continuo divenire, tessuto di tanti fili dai colori cangianti. E tra questi fili, prima di tutti, l’ordito della vita e della morte e la trama del pensiero, con l’infaticabile e intenso desiderio di rispondere a domande importanti senza cedere ai conformismi, presenti anche nel mondo della “cultura alta”. E il coraggio di pagarne il prezzo. Questo intreccio di pensiero e vita, di saperi diversi e rigore morale, per recuperare sapienza e ragionevolezza, è un esempio di grande importanza, una bussola per indicare anche all’arte, nel cielo oscuro che di frequente incombe sul pianeta, una stella polare. Infatti ho scritto che:

«Un’arte consapevole dei caratteri del nostro tempo non può che proporre una simile prospettiva che guarda all’uomo nella sua complessità, esprimendo ciò che ne agita e rasserena il cuore; un fare estetico attento anche al dialogo fra i linguaggi e all’armonia tra i saperi. Un’arte come quella da sempre collegata ai luoghi dell’esistere: fossero le piramidi o le chiese romaniche medievali, il tempio di Delfi alle pendici del Parnaso, o le tombe etrusche, le sale dei palazzi pubblici dei nostri Comuni affrescate dagli artisti; o grotte come quelle di Altamira e Lascaux, con incisioni e pitture di uomini di quasi ventimila anni fa! Luoghi d’arte che celebravano e suggerivano e si immergevano nelle esigenze archetipiche e profonde degli uomini. Allora gli artisti non si affaticavano nell’ingrato compito di costruire trovate mediatiche; anche perché i media non c’erano. E di certo non si può, e forse anche per fortuna, tornare al punto di partenza; ma qualcosa tuttavia si può recuperare: muoversi ancora nella rotta di un’arte implicata nella vita e di una vita implicata nell’arte».

La relazione tra vita concreta e intelletto, tra pensiero del cuore e ragione è uno dei modi con cui si esprime il suo forte senso delle connessioni; un aspetto rilevante per la gestione delle molte sfide che ci aspettano e che richiede non tanto di ampliare le nostre conoscenze, quanto di trasformare il tipo di conoscenza che ormai si è sedimentato. Ecco «la pietra angolare della grande lezione di Morin», scrive in modo fulmineo e avvincente il filosofo della scienza Silvano Tagliagambe, nella sua riflessione inserita nel libro, che si articola attraverso un racconto di Jorge Luis Borges sulla ricerca di Averroè; una

«storia della conoscenza che svanisce, nel momento in cui si cessa di credere in lei, perché non insegna a vedere, nella vita, ciò che i libri non ci possono dire. Per sventare questo pericolo […] abbiamo bisogno di una “conoscenza della conoscenza” che sappia spiegarci cosa (e perché) merita davvero di resistere all’oblio, di conquistare quell’alfa privativa che, premessa al nome Lete del fiume della dimenticanza, la consegna all’immortalità di quella che per i Greci era l’alètheia, la verità».

-L’apertura di orizzonti sul cielo dell’arte, non sempre limpido, è quanto mai gradita, per una rivista che proprio su questo cielo è focalizzata. Immagino siano molte, ma quale altra dimensione del pensiero di Morin, un filosofo, potresti qui indicarci, che sia intrecciata col tuo mondo artistico.

Marcello Aitiani, Solitudini nella massa, 1968 (ph. Bruno Bruchi)

R. Intanto mi colpisce anche lo stile di una scrittura dinamica, ricchissima di metafore, di colori, di passioni, di riferimenti, di ossimori, di neologismi … uno stile di spessore anche letterario, eidolopoiòs, creatore di immagini, usando un termine platonico, un filosofo che infatti era anche un grande artista. Morin è a mio parere un simile filosofo, come quelli che hanno amato il racconto, il dialogo, il saggio narrativo per dire ciò che il discorso lineare ed esclusivamente logico non può dire. D’altro canto penso che anche la pittura, la musica, il teatro, il cinema, la poesia, la stessa canzone, se hanno un senso, e un’anima, hanno anche un pensiero; non sono mera decorazione, passatempo, tèchne tecnica per vendere meglio un prodotto. L’arte accende emozioni, ragioni e spirito, portando alla luce qualcosa ch’è nascosto en el màs profundo centro, per usare il verso di san Juan de la Cruz; per carpire un frammento di fuoco dal segreto del cuore e reimmetterlo nel mondo. Così, oltre allo stile, anzi insieme all’estetica della forma, penso all’importanza del recupero dell’immaginario e del sogno attuato da Morin, filosofo e primo docente di sociologia del cinema alla Sorbona, con studi pionieristici come Il cinema, o l’uomo immaginario, del 1956. Dal mio punto di vista questo dell’immaginario è un aspetto fondamentale. Perché l’arte guarda alla realtà ma la proietta nello stesso tempo in un mondo diverso e desiderato, col quale una comunità può riconoscersi e unirsi. A sua volta restituendo nuovi spunti d’ispirazione e altri sogni, in un processo continuo. Per questo nel mio testo ho ricordato quanto ha scritto Edgar Morin sui sogni:

«essi ritorneranno nella nostra vita da desti per modellarla, per insegnarci a vivere o a non vivere. Noi li riassimiliamo, socializzati, utili, oppure essi si perdono in noi, noi ci perdiamo in essi. Eccoli, ectoplasmi immagazzinati, corpi astrali che si nutrono delle nostre persone e ci nutrono, archivi d’anima… Bisognerà tentare di interrogarli – vale a dire di reintegrare l’immaginario nella realtà dell’uomo” [1]».

Sì, credo che l’arte, soprattutto quando sia capace di rompere schemi sclerotizzati e condizioni prima di tutto mentali che appaiono inamovibili, sia portatrice di equilibrio, di armonia; ma al contempo di una certa indisciplinata s-regolatezza, che può aprire brecce nei muri che imprigionano il nostro sguardo. E allora la vista s’apre a panorami impensati.

-Si legge nella parte iniziale del tuo scritto – ma traspare anche nelle cose che sei venuto dicendo – di grandi forze positive e negative che «si confrontano e affrontano». Di speranze grandi ed energie intellettuali e spirituali mentre «sul nostro telefono intelligente (?) arrivano notizie degli effetti del virus (domani forse di altri mali) e degli strazi di intere popolazioni. Adulti e bambini innocenti, colpevoli solo di trovarsi in zone di guerra, travolti dalle sofferenze, da fame e morte. Immagini di corpi feriti, occhi che ci guardano muti… Ma giungono anche annunci confortanti, esempi luminosi di grande altruismo, di avanzamenti del pensiero»…

R. Sono moltissimi anni che Morin ci segnala i pericoli, e le realtà, distruttivi in cui viviamo e in cui potremo trovarci inviluppati nel prossimo futuro. Ci invita così a guardare in faccia gli aspetti anche brutali del mondo, che spesso evitiamo di vedere, forse anche per paura, preferendo stordirci con i narcotici dell’evasione che ci vengono offerti a piene mani. Ma nello stesso tempo, e vicino al mondo di Dostoevskij che Morin ha molto amato, ci chiama a resistere alla sua crudeltà. Penso che questo doppio registro sia particolarmente valido anche per tutte le arti. Morin spalanca i nostri occhi di fronte ai pericoli gravissimi che corriamo: sui conflitti spesso camuffati da scontri di religione o di civiltà per nascondere interessi di supremazia economica e politica; sulla presenza di armi terribili; sull’ideologia del transumanesimo con la sua ricerca di una illusoria immortalità che rinverdisce il tragico mito della hybris, dell’arroganza umana; sulle degradazioni dell’ambiente sfruttato oltre ogni limite ragionevole; sul rischio connesso a una “ecologia profonda” che assolutizza la Terra come nuovo idolo, così differente dalla “ecologia integrale” di cui parla Papa Francesco. Anche io penso che sia importante essere consapevoli del carattere epocale del nostro tempo, ma senza ignorare, come osserva René Girard, che «la speranza è possibile solo per chi osa pensare i pericoli del momento» [2]. Trovo concorde in questo Edgar Morin, che non si nasconde le molte negatività e minacce ma anche invita a mettersi in cammino, indica vie d’uscita possibili, non dogmatiche, incerte, da sottoporre a costante verifica e aggiustamenti. Una strada importane, quanto ancora trascurata, è come ho detto l’attitudine a pensare in modo complesso; una propensione che dovrebbe essere insegnata e promossa a partire dalla scuola e dall’università. E altrettanto fondamentale, la consapevolezza che siamo tutti all’interno di un comune destino planetario. Dunque un’altra strada, che il buon senso e la dignità di esseri umani ci invitano a prendere, è quella che va nella direzione di una profonda compassione fraterna, in particolare con chi soffre; per emarginati e poveri nel corpo, nella dignità, nella cultura, nello spirito… Siano singoli o gruppi sociali. Accendere il senso di una fratellanza fattiva, praticare una concreta giustizia d’amore nei confronti degli altri e di noi stessi sarebbe bene diventassero usuali, forme morali e intelligenti del vivere. Morin lo ribadisce nella premessa al libro di Mauro Ceruti Sulla stessa barca, osservando che la lettera enciclica di papa Francesco Laudato si’ «segna una presa di coscienza, è un incitamento a ripensare la nostra società e ad agire. E indica il cammino della costruzione della “casa comune” planetaria, che io chiamo Terra-Patria» [3]. Simili pensieri possono apparire utopici, ma indicano prospettive. L’arte, soprattutto in altri periodi, ha avuto simili tratti visionari, che penso sarebbe bene ritrovare. Per questo ritengo che figure come quella di Edgar Morin siano una guida nel nostro tempo; e, come ho scritto, «anche per me di grande importanza, per sostenere il mio sogno, farlo maturare e nutrirlo con nuove visioni e vie».

Siena 18 luglio 2021

____________________________________________

Marcello Aitiani, Caos e silenzio nel teatro del mondo, 2020

Marcello Aitiani, Caos e silenzio nel teatro del mondo. 2020 (ph. Bruno Bruchi)
«Adulti e bambini innocenti, colpevoli solo di trovarsi in zone di guerra […] Immagini di corpi feriti, occhi che ci guardano muti…»

NOTE

[1] Edgar Morin, Il cinema o l’uomo immaginario, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016, p. 212.
[2] René Girard, citato da Marco Guzzi in http://marcoguzzi.it/2019/01/14/ringiovanire-il-mondo-2/  (pubblicato il 14 gennaio 2019).
[3] Mauro Ceruti, Sulla stessa barca. La “Laudato si’” e l’uomo planetario, Edizioni Qiqajon – Comunità di Bose, Magnano (Bi) 2020, p. 8.