di Marcello FAGIOLO
Il 23 giugno inaugura a Roma, nel Museo Hendrik Christian Andersen la Mostra “Atelier. Giuseppe Modica 1990-2021” (aperta fino al 24 ottobre 2021, da martedì a sabato, ore 9,30-19), curata da Gabriele Simongini e da Maria Giuseppina Di Monte, direttrice del Museo, la quale così scrive nell’introduzione:
“La Mostra di Modica è un tributo alla sua lunga carriera e, al tempo stesso, un omaggio a Hendrik Christian Andersen nella sua casa-museo. Il percorso espositivo s’incentra sul tema dell’Atelier, soggetto fra i più studiati dal pittore siciliano. Per Andersen l’atelier è stato la sua vita…”.
Il Catalogo (Silvana Editoriale) è dedicato al Centenario della nascita di Leonardo Sciascia, il primo illustre estimatore di Modica (sotto, due immagini interno del Museo H. C. Andersen)
Abbiamo chiesto una riflessione sulla Mostra al Prof. Marcello Fagiolo, il quale già in passato ha scritto per noi su Modica ( cfr. https://www.aboutartonline.com/tondo-doni-crocifissione-gibellina-teofania-delle-immagini-un-saggio-marcello-fagiolo/ agosto 2017).
Un prologo per questa serie di opere è a mio avviso La stanza, un quadro del 1989 (non presente in mostra) in cui esplodono tutti i temi della solarità mediterranea di Modica: una stanza deserta con pavimento di maioliche rotte e pareti con intonaci sbreccati), i due varchi aperti sul mare e soprattutto, appoggiato obliquamente al muro, lo Specchio-personaggio che riflette una terrazza sul mare luminoso.
Il trittico Labirinto-atelier (2013) – in consonanza col trittico della Crocefissione di Gibellina del 2010 (di cui ci siamo già occupati in “About art”) – presenta tre rispecchiamenti sempre più complessi: il primo specchio inclinato riflette il quadro sul cavalletto e una sfera a terra; il secondo riflette il retro di un quadro e una macchina fotografica sul cavalletto con l’occhio puntato su di noi; il terzo riflette un quadro-specchio in cui si riflette la modella e a terra appare l’inquietante poliedro della Melancolia di Dürer.
Nell’Atelier con Dürer e Man Ray (2015) si aggiunge un ulteriore protagonista, l’”Oggetto indistruttibile” di Man Ray, il metronomo con l’occhio, assunto da Modica come forma simbolica dello spazio-tempo esatto-oscillante e apparentemente oggettivo come l’obiettivo fotografico. Vengono così di volta in volta alla ribalta le forme simboliche di uno spazio creazionale: “Più volte nelle mie note scritte” afferma Modica “mi sono soffermato sullo studio-atelier come labor-oratorium: è nell’Atelier che si riordinano e chiariscono le idee; è in questo luogo magico che avviene la conversione alchemica dei pensieri, dei frammenti di memoria e delle annotazioni (schizzi, prove colore, collage, foto) che si organizzano e prendono forma”.
Un più antico Atelier simbolico viene messo in scena nell’Omaggio ad Antonello (1990-91): Modica si rappresenta seduto nello studiolo di san Gerolamo, sostituendo al minuzioso spazio fiammingo con calligrafici quadri-finestre lo stanzone col pavimento sbreccato e inerbato e con la coppia di finestre aperte sugli accordi blu del mare e del cielo.
In un quadro del 2002-2003 Atelier (pittore e modella) Modica si affaccia aldilà della sua tela per cogliere il respiro della carne palpitante distesa sull’onda del lenzuolo (anche il pavimento di ceramica è metafora di ondeggiamento geometrico), e si tratta di una ouverture che prelude ai paesaggi marini che si squadernano sullo sfondo.
Va ricordato anzitutto che moltissimi quadri di Modica sono visti come traguardati attraverso un Vetro ovvero riflessi in uno Specchio con segni corrosione e macchie di ossidazione, dato che, come chiarisce Modica, “subiscono l’azione del tempo, del mare e della polvere e quindi presentano i segni del degrado… ed entrano nel ritmo compositivo del quadro, diventano struttura essenziale del dipinto”. Va aggiunto che le macchie hanno un ruolo attivo, rendendo impossibile la visione, l’attraversamento del Vetro e dello Specchio e obliterando parti delle figure rappresentate.
Lo specchio è connesso con la riflessione, in senso sia fisico che intellettuale, di introspezione e talvolta di autoritratto. Claudio Strinati ha parlato di “Riflessione come metafora della pittura” (nel catalogo della Mostra del 2004). Lo stesso Modica così aveva dichiarato in una precoce intervista del 1986:
“La pittura per me incarna la dimensione della riflessione e della rifrazione … Lo specchio è la superficie sulla quale si distilla e cristallizza la luce nelle sue minime trasformazioni. I miei sono specchi d’atelier: vogliono catturare l’aria, il tempo, la magia, il mistero stesso dell’alchimia della pittura. Non sono però specchi narcisisti: sulla loro superficie si rifrange l’esterno, gli accadimenti del tempo, la realtà e la sua trasposizione visionaria e reinvenzione. Sono specchi guardanti e lo spettatore ha la sensazione di essere coinvolto come interlocutore nella circolarità dello sguardo”.
Oggi Modica aggiunge una riflessione su Las Meninas di Velázquez:
“E’ un’opera che coniuga la spazialità della prospettiva di Piero della Francesca con una dimensione altra e di superficie. Una spazialità piatta di tipo fenomenico, riscontrabile nella tela rovesciata e nella teoria di figure disposte in orizzontale in primo piano, in contrapposizione con la profondità e illusorietà prospettica: uno spazio della finzione che si prolunga sia all’indietro (si percepisce incontrando lo sguardo dei Reali in posa riflessi nello specchio) sia in avanti, all’infinito … Questo intreccio e incontro di spazialità antinomiche crea una dimensione magnetica nuova, invisibile ed enigmatica. Osservando questo quadro ho articolato da trent’anni una lunga riflessione sulla pittura e sullo specchio. Lo specchio in sé incarna la dimensione della superficie e nel contempo la dimensione della profondità e dello spazio illusorio”.
“Speculum” è il titolo di molti trattati filosofici del medioevo e del Rinascimento: basti ricordare lo Speculum quadruplex (Doctrinale, Naturale, Morale, Historiale) di Vincenzo di Beauvais, lo Speculum astronomiae di Alberto Magno e poi varie opere dallo Speculum Fidei allo Speculum principis e allo Speculum lapidum.
Lo Specchio è la manifestazione dell’enigma dello Spazio, del Tempo e dell’umanità, se si pensa alla meditazione di san Paolo sulla enigmatica visione speculare come preludio per metafisiche visioni ravvicinate post mortem (“Videmus nunc per speculum et in aenigmate: tunc autem facie ad faciem”, I Cor. 13, 12). Il concetto, ripreso più volte dai Padri della Chiesa, viene chiarito in senso simbolico dal gesuita Kircher:
“Tutte le cose create altro non sono che specchi in cui si riflettono per noi i raggi della sapienza divina… Dio è la fonte della luce, l’Angelo lo specchio della prima luce, l’uomo il secondo specchio” (A. Kircher, 1646).
Modica riprende più volte l’immagine dello specchio come viaggio e attraversamento: e si tratta ovviamente di un mistero impenetrabile, senza le chances che Lewis Carrol aveva offerto ad Alice nella “Casa dello Specchio” con la sequenza di avventure surreali.
Non parlerò qui della Luce, protagonista assoluta dell’opera di Modica, rinviando al mirabile saggio di mio fratello Maurizio (quasi un testamento, elaborato nel 2002, poco prima della morte). Mi limito a segnalare come Modica si proponga esplicitamente di “imprigionare” la Luce, forse in sintonia con un principio mirabilmente formulato nella epigrafe che commenta i mosaici ravennati di Galla Placidia, “aut lux hic nata est, aut capta hic libera regnat”: “O la luce è nata qui, o fatta prigioniera qui regna libera” (l’epigrafe proseguiva misticamente così: “Forse è luce di prima, donde ora viene beltà di cielo; forse le mura discrete generarono il dì splendente, e il chiuso lume rifulge, esclusi gli esterni raggi. Vedi i marmi fiorire in uno scintillio sereno e i riflessi in ogni pietruzza della purpurea volta… Chi viene in questo luogo, pianga, e dal pianto avrà gioia… Spesso il pensiero della morte è fonte di vita beata…”).
Solo apparentemente contrapposta alla Luce è l’obscuritas: basti ricordare la Camera oscura (1997), un intrigante gioco di parole tra l’oscurità dell’ambiente e il meccanismo della camera fotografica basato sulla “camera oscura”. Il tema della “Camera obscura” è uno dei leit-motiven di Modica, che riconduce allo strumento della camera ottica, studiato da artisti universali come Leonardo e poi impiegato nelle prospettive di Vermeer, limitate spesso a una stanza, o nelle grandi vedute di Van Wittel e dei vedutisti veneti. Si pensi poi alle “Camere obscurae” che sono diventate attrazioni turistiche in varie città d’Europa. Ma la Camera ottica per eccellenza, per un artista come Modica, non è altro che l’occhio umano, il quale è in grado di costruire ogni realtà prospettica con o senza l’ausilio di strumenti meccanici.
Già nel 1984 Modica osservava che
“dal profondo del tempo, ovvero dello spazio del tempo emerge la memoria … Le immagini vengono messe a fuoco dalla ragione, la quale contribuisce a rendere trasparente e chiaro, a portare in superficie (concetto caro a Savinio) e alla luce questi elementi nascosti e dispersi nelle acque torbide della nostra memoria”.
Negli ultimi anni si è accentuato il senso dell’enigma, aldilà dei primi dialoghi con l’arte di De Chirico e di Man Ray; scrive nel catalogo Maria Giuseppina Di Monte:
“Si respira un’atmosfera misteriosa che ricorda le surreali immagini magrittiane che, surrogando tempo e spazio, ci gettano in una dimensione ignota e segreta che affascina e turba allo stesso tempo”.
Nelle Rotte della tragedia (2017) il Mediterraneo del Dolore presenta una sorta di inversione della geografia in una tela scandita dai numeri delle vittime sommerse.
Il consueto quadro sul cavalletto rappresenta una mappa a testa in giù del Canale di Sicilia, mentre il quadro visibile allo specchio è un Mediterraneo paradossalmente non invertito dalla riflessione (irridendo l’oggettività della macchina fotografica); fuori e dentro la stanza sono sparsi al suolo i teschi di una danza macabra. Si tratta di una estrema esternazione della poetica di Modica: “L’occhio del pittore” scrive oggi l’artista “rileva e rivela le cose, dando loro una fisionomia e una identità prima sconosciuta: l’artista rinomina il mondo e lo fa vedere attraverso il proprio sguardo in una luce singolare magica”.
L’artista-demiurgo riprende evidentemente il racconto del Genesi, là dove la creazione coincide con la denominazione, fin quando “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza, affinché possa dominare sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame della terra…” (Gen. 1, 26). E poi Dio condusse gli animali “all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati, e perché ogni essere vivente portasse il nome che l’uomo gli avrebbe dato” (Gen. 2, 20). Ed è così che l’artista può proseguire lo spirito della creazione …
Nello Studium del 2016 vengono squadernate le pareti chiare, fatte della stessa materia cromatica del mare e del cielo, incorniciati come quadri dalle aperture murarie, mentre il quadro sul cavalletto è trasparente come il velo delle sperimentazioni prospettiche albertiane, al centro dei due produttori di immagini, la macchina fotografica e lo specchio
Due anni dopo Modica capovolge la scena nell’Atelier nero (2018): lo stesso spazio si presenta al negativo, come una camera oscura, svuotandosi di ogni oggetto per far concentrare l’attenzione sulle finestre-quadri dove la fosforescenza del mare si comprime infine in un indaco piatto che sembra riflettersi nel colore del cielo alla sommità.
Nella lunga gestazione del Labirinto Atelier 3 (2019-2021) si esce infine all’esterno dell’Atelier, nell’apparente banalità di un fronte stradale scandito da numeri civici, sportelli elettrici e impianti di condizionamento, con uno specchio appoggiato al muro che finalmente fa brillare la luce mediterranea. L’errare “labirintico” è prodotto dagli oscuri spazi interiori: una prima camera illuminata da uno specchio con riflessione incongrua di spazi chiari e una seconda camera con un quadro marino intorbidato dal contatto col blu notte delle pareti.
L’itinerario di Modica, come scrive nel catalogo Gabriele Simongini, attraversa “innumerevoli germinazioni e memorie di atelier di e con altri artisti in un andamento circolare, senza fine, nel sogno della pittura sognata a sua volta da altri artisti, chissà quando e chissà dove… Riflesso e riflessione coincidono nell’onnipresente specchio che espande l’illusione dell’ampiezza del nostro sguardo… Fra miraggi, riflessi, rifrazioni, rispecchiamenti, ci lasciamo andare perdendoci in questi labirinti della visione mediterranea”.
E possiamo chiudere col quadro più recente, Spazio circolare (viaggio infinito), del 2021, dove le superfici dialogano coi volumi della Sfera e del Cono (la base tronco-conica dei mulini a vento nelle saline trapanesi) traducendo minimalmente il tema architettonico lecorbusiano del “gioco dei volumi puri sotto la luce”. Il quadro rilancia indefinitamente in una sorta di ping-pong visivo la danza degli specchi magici che inglobano prima l’occhio fotografico e poi la scala dell’ascesa possibile, esaltando l’asse delle sfere celesti (un colore che è tutto un programma armonico). Signori e signore, restiamo con le cinture di sicurezza allacciate: il viaggio continua …
Marcello FAGIOLO Roma 20 giugno 2021