di Donatella BIAGI MAINO
Pubblichiamo il testo dell’intervento che Donatella Biagi Maino ha svolto durante la sezione dedicata alle arti visive del convegno Patrimonio culturale condiviso: viaggiatori prima e dopo il Grand Tour (Ravenna, 21-23 novembre). Donatella Biagi Maino insegna all’ Alma Mater Studiorum Università di Bologna, si occupa in particolare di pittura del XVII e XVIII sec., oltre che di salvaguardia dei beni culturali e di restauro, dirigendo una collana di studi al riguardo; è autrice di numerose pubblicazioni scientifiche, tra le quali i volumi su Ubaldo, Gaetano e Mauro Gandolfi; fa parte come socio fondatore e come membro di vari istituti fra cui l’Istituto per la Storia della Chiesa di Bologna, della Società Italiana di Studi sul Diciottesimo Secolo e del comitato scientifico dei simposi internazionali annuali Days of Justinian. Con questo intervento inizia la sua collaborazione con About Art.
Nei giorni 21, 22, 23 novembre si è tenuto presso il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università degli Studi di Bologna, Campus di Ravenna, il convegno internazionale dedicato a Patrimonio culturale condiviso: viaggiatori prima e dopo il Grand Tour, ideato e curato da Fiammetta Sabba, il cui comitato scientifico è composto da Donatella Biagi Maino, Saverio Campanini, Nicoletta Guidobaldi, Elisabetta Marchetti, Mauro Perani, Donatella Restani e Fiammeta Sabba. La sezione relativa alle arti visive è stata curata da Donatella Biagi Maino, il cui intervento introduttivo pubblichiamo.
Dall’epoca del cosmopolitismo all’età della globalizzazione attraverso le arti visive
Ad introdurre gli interventi dedicati alle arti visive nell’età dei Lumi un’immagine notissima, quanto di più iconico si possa in merito alla suggestione visiva del Grand Tour, un fenomeno la cui formalizzazione avviene nel secolo del cosmopolitismo illuminato: è giocoforza quasi avviare con questo dipinto, il Ritratto di Goethe nella campagna romana (fig.1),
la sezione delle arti visive, o meglio delle arti del disegno come erano chiamate nel secolo dei Lumi prima di essere definite belle arti e poi, nella nostra epoca, beni culturali, un dipinto di Tischbein così celebre e soprattutto significativo del personaggio e del suo ruolo nell’universalizzazione della cultura letteraria e artistica da essere stato usato anche per un francobollo e la locandina del salone internazionale del libro di Torino (fig.2).
Il resoconto del Viaggio in Italia, condotto tra il 1786 e il 1788 ed edito solo nel 1816 nella prima delle tre parti, era destinato in origine alla ristretta cerchia degli amici, e fu scritto per non lasciare nell’oblio gli anni decisivi del suo soggiorno italiano.
“Solamente a Roma ho sentito cosa voglia dire essere un uomo. Non sono mai più ritornato ad uno stato d’animo così elevato, né a una tale felicità di sentire. Confrontando il mio stato d’animo di quando ero in Roma, non sono stato, da allora, mai più felice” (1).
Un sentimento che ci riempie di invidia e che nel tempo fu condiviso da molti, dai tanti che scelsero per il piacere di conoscere, per crescere, di intraprendere viaggi avventurosi e spesso travagliati sulla scorta dei molti diari e relazioni e guide che nel tempo erano stati editi e sui quali ci hanno resi edotti gli interventi di questo convegno: ma un elemento non secondario alla “istituzionalizzazione” del Grand Tour furono le suggestioni offerte da immagini che documentavano le bellezze naturali ed artistiche che gli itinerari definiti nel tempo indicavano per accostabili.
Come ha scritto Francis Haskell (2), le rappresentazioni di luoghi e persone spesso sono state create come “documenti storici”, dato il “trionfo dell’arte sulla caducità” – sono parole di Hegel (3); e chi ha voluto tramandare la propria effigie per ostare l’annullamento ha spesso scelto di sottolineare il proprio status sociale e di intellettuale ottenendo di essere rappresentato in un teatro immaginario, oltre uno scenario di vestigia dall’antichità (fig.3).
Poiché “le arti, viste nel loro insieme, sono l’espressione più fedele della società” (4), le immagini dei viaggiatori e di ciò che colpì la fantasia di pittori e committenti restituiscono il significato della percezione del “luogo” entro l’universale che la cultura settecentesca circoscrisse nel concetto di cosmopolitismo, che fu tra le innovazioni più significative dell’età dei Lumi. E’ un concetto che si è imposto per la volontà di innovazione del Settecento e che appare strettamente connesso con la sottolineatura della cittadinanza universale che sposta l’accento dal carattere dell’universalismo cristiano ad una nuova forma di civitas che fonda sui diritti comuni che non derivano dallo Stato o dalla nazione, ma da appartenenza e identità umana.
“Fra l’universalismo cristiano -che è alla base del concetto di cosmopolitismo, e quest’ultimo- c’è continuità, ma anche una profonda differenza, nutrita di secolarizzazione”, che ha aperto alle grandi conquiste dell’Illuminismo che si esplicitano nei concetti di uguaglianza, democrazia, libertà (5).
Il fenomeno del Grand Tour ha in vario modo contribuito a questo cambiamento sostanziale per tramite anche delle arti visive, che attraverso la ricerca di nuovi mezzi di espressione e quindi di conoscenza – l’arte è conoscenza – ha contribuito a diminuire le distanze e a far comprendere e di conseguenza accettare e apprezzare le diversità. Si guardino i ritratti, qualitativamente modesti per resa e semplici nell’invenzione, dei Quattro Re, un Mahican e tre Mohawk che dal Canada andarono in Inghilterra nel 1710 (6), un viaggio di conoscenza e di scambio per le due diverse civiltà, effigiati in questi termini da John Verelst (fig.4):
protagonisti di un Grand Tour di nuovo conio, tra i primi che dalle terre lontane del Nuovo Mondo vennero spontaneamente in Europa, i quattro personaggi contribuirono ad accorciare grandemente le distanze anche attraverso la diffusione di un’immagine che presto venne replicata in stampe e divenne documento e tale è ancora ai giorni nostri, quando ai benefici del cosmopolitismo si sono sostituiti gli esiti della globalizzazione, i cui primi danni sono già prefigurati nello sguardo consapevole di Joseph Brant, il nipote di uno dei Re, il cui magnifico ritratto si deve a Gilbert Stuart (fig.5) che ha saputo evidenziare, nell’espressione nostalgica del personaggio, il senso di una identità perduta.
Ma il fenomeno del Gran Tour nell’arte non è solo ritratto e veduta, non ha solo offerto a molti possibilità d’espressione altrimenti impossibili – non solo Batoni, Canaletto, Bellotto, ma anche la Vigée Le Brun, la Kaufmann, per parità di genere – ma ha contribuito ad aprire la strada ad un sistema di interrelazioni che hanno portato a quella che ho definito, in un convegno tenutosi proprio qui, promosso dall’Università di Bologna e patrocinato dalla Società Italiana di Studi sul XVIII secolo (7), la Repubblica delle Arti del Disegno, parallelo visivo alla Repubblica delle Lettere che degli scambi culturali resi possibili anche dai viaggi di scrittori e appassionati si è assai giovata (8).
Ma il Grand Tour non ha portato solo esiti ad straordinari; in linea con la volontà di una nuova valutazione delle arti decorative, quasi in accordo con l’attenzione per l’artigianato che è delle tavole dell’Enciclopédie, la fenomenologia del viaggio d’istruzione quale anticipo del turismo ha avviato nuove forme di collezionismo, aprendo al mercato di, ad esempio, micromosaici significativi dei principali monumenti
ventagli raffinatissimi per le dame
(fig.7),
cammei, sino alle raccolte di marmi colorati di cui ci parlerà Caterina Napoleone, tra le più attente studiose anche di questo particolare fenomeno nei termini in cui fu realizzato tra sette e ottocento (9).
Il cosmopolitismo dunque fu un fenomeno riservato a molti, non a tutti; la globalizzazione invece ci riguarda tutti, e purtroppo nel campo delle arti figurative sta portando le opere d’arte alla “ riduzione e degradazione a beni culturali”: cito dalla Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno del 1947 (10), che immagini come quella che tutti abbiamo visto e che ci ha fatto rabbrividire, l’invasione incontrollata e incontrollabile e di nessuna utilità della Reggia di Caserta, o i danni che un turismo efferato ha creato a Venezia, a Firenze, a Roma tragicamente confermano.
Da tutto il mondo si levano proteste contro il turismo incontrollato, che sta travolgendo tutte le città e soprattutto le antiche città italiane, che ha portato all’abbandono di Venezia da parte degli abitanti, a danni a monumenti e ambiente, creando situazioni non più tollerabili e alle quali è difficile porre rimedio: è del 14 novembre un articolo di Raffaele Simone sull’Espresso relativo a situazioni quasi paradossali che attestano della “metamorfosi profonda di alcuni aspetti del vivere nella modernità” che era nella previsione dei due filosofi. In anni assai più vicini ai nostri rispetto alla Dialettica citata sopra, nel 1983, Jean Clair scriveva: “L’opera d’arte è preda di una secolarizzazione: derogata dall’eternità scade nel quotidiano; l’arte non è altro che una forma degradata della religione” (11). “Da tempo la vita ha abbandonato il corpo dilaniato dell’arte”.
Siamo arrivati a questo; ma si può invertire la rotta, se sappiamo elaborare quanto ci è trasmesso dal passato attraverso lo studio della storia in tutti i sistemi complessi che ci sono offerti. La conoscenza del passato è esiziale per creare il fururo; gli strumenti, classici e d’avanguardia, devono essere applicati a questo fine, nella difesa della nostra disciplina che resta alla base della civiltà.
L’oggetto di ricerca che può trascorrere nello studio dei carteggi d’artista, un’impresa di cui ci parlerà Serenella Rolfi, un progetto in itinere di grande interesse (12); lo scambio di conoscenze che le diverse attitudini d’indagine che archeologici e storici d’arte possono attuare, come ci chiede con il suo intervento Anna Maria Riccòmini (13), bravissima a superare le barriere che tra le due discipline, sorelle sino all’Ottocento, sono state alzate a detrimento di tutti, e che in luoghi di ricerca come quello che oggi ci ospita possono e devono essere abbattute.
E’ necessario che l’Università si occupi di creare una convergenza della ricerca su un’ottica ecocentrica che rispetti i diritti degli esclusi, accetti le pluralità ma insista sulle responsabilità universali.
A dimostrazione di quanto asserisco, cioè del fatto che le arti visive sono, o possono divenire/essere, strumento di civilizzazione tale da invertire la deriva pericolosa che tutti conosciamo e che nelle disparità sociali e la perdita delle identità locali vede due degli aspetti più minacciosi, non solo ciò che abbiamo discusso nel recente convegno organizzato, ancora in questa sede per l’anno europeo del patrimonio culturale, da Annalisa Furia e da me, sulle chance di inclusività che l’istituzione museale offre ai migranti per cancellare l’alterità mantenendo i caratteri fondamentali delle culture altre (14), mostro, in chiusura, due immagini che introducono al contributo di Duccio Marignoli (15), che attraverso la pittura ci farà conoscere un ponte tra Europa e America, cioè la magnifica scenografia dei Fuochi d’artificio a Castel Sant’Angelo, quale ci è trasmessa nell’opera di Wright of Derby
e nel nuovo allestimento, recentissimo, dell’artista cinese Cai Guo-Qiang (figg.8,9).
Donatella BIAGI MAINO Bologna dicembre 2018
NOTE
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Dalla Prefazione di R. Fertonani all’edizione de I Meridiani, Mondadori 1983, del Viaggio in Italia di J. W. Goethe, p. XIII.
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F. Haskell, Le immagini della storia. L’arte e l’interpretazione del passato (Yale University Press 1993), ed. it. Torino 1997, p. 4
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G. W. F. Hegel, Aestetics- Lectures on Fine Art ((ed. Oxford 1975I), in F. Haskell, op.cit. 1997, p. 4.
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F. Haskell, op. cit. 1997, p. 5.
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G. Ricuperati, Universalismi, appartenenza, identità: un bilancio possibile, in “Rivista storica italiana”, vol. 116 n.3, 2004, 718-776
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Immagini tratte da Between Worlds. Voyagers to Britain 1700-1850, catalogo della mostra a cura di J. Hackforth-Jones, National Portrait Gallery, London 2007, pp. 28-29,30 (i Quattro Re) e p. 65 (Joseph Brant)
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Il convegno internazionale di studi, tenuto presso il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, nel 2014 (19-20-21 marzo), era dedicato a Il Settecento del XXI secolo; ideato e diretto da chi scrive, si è avvalso di un comitato scientifico costituito da D. Biagi Maino, R. Loretelli, O. Rossi Pinelli, B. Sani. Gli interventi sono stati di R. Loretelli, l. Braida, D. Mangione, V. Ferrone, E. Agazzi, G. Maino, D. Biagi Maino, G. Maurer, A. Tosi, C. Napoleone, B. Sani, C. Piva, I. Graziani, A. Agresti, A. Postigliola, D. Generali, R. Turchi, B. Toscano.
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Il mio testo, di prossima pubblicazione, si intitola La Repubblica delle Arti del Disegno ed è relativo all’ipotesi, che sostengo, dell’esistenza di un fenomeno che acquista carattere nella consapevolezza degli artisti, parallelo alla Repubblica delle Lettere.
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Caterina Napoleone (Roma): Campionari in marmi colorati dell’epoca del Grand Tour: dalla Litoteca di monsignor Leone Strozzi alla collezione del conte Giuseppe Maria Sebregondi.
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M. Horkheimer, W. Adorno, Dialettica dell’Illuminismo ( 1947), ed. it Torino 1966.
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J. Clair, Critica della modernità. Considerazioni sullo stato delle belle arti, (Parigi 1983), ed. it Torino 1984, p. 19. La successiva citazione è da p. 11.
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Serenella Rolfi (Università degli Studi Roma3): Il viaggio come laboratorio di stili e carriere attraverso il carteggio d’artista.
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A. M. Riccomini (Università di Pavia), Alla scoperta delle antichità del Piemonte: Auben-Louis-Millin e Antonio Canova a Torino.
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Tenuta a Ravenna, Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, la giornata di studi curata da Annalisa Furia e da chi scrive era intitolata a Spazi, sguardi, incontri. Il museo come luogo di inclusione sociale; hanno partecipato Isber Sabrine, Giulio vaglio Laurin, Giovanna Brambilla, Giuseppe Maino, Sarah Walker, Irene Maria Olavide, Roberto Balzani, Sophie Ko, Maurizio Tarantino.
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Duccio K. Marignoli (Fondazione Marignoli di Montecorona, Spoleto): Da Napoli a Hawaii: vulcani nell’arte dal Grand Tour al turismo.