Le interviste che fanno discutere. Dopo Strinati e Sgarbi prosegue il confronto sullo stato della cultura.

di Francesca SARACENO

Fra le numerose reazioni – prevalenti quelle a favore- che abbiamo potuto registrare sull’intervista concessa ad About Art da Vittorio Sgarbi (che segue quella a Claudio Strinati cfr https://www.aboutartonline.com/claudio-strinati-non-temo-un-attacco-alla-cultura-di-sinistra/ ) decidiamo di pubblicare per la chiarezza e l’attenzione oltre che con l’obiettività con cui si è espressa, quella della nostra valorosa collaboratrice Francesca Saraceno perchè con l’acutezza che non le fa difetto propone ulteriori spunti che certamente contribuiscono ad allargare la discussione sul tema che styiamo affrontando circa la condizione della cultura in Italia oggi.

Caro Direttore

ho letto d’un fiato la intervista di Sergio Rossi a Vittorio Sgarbi e devo dire anzitutto due cose: Sgarbi sorprendente, ma pure Rossi… non male.

Direi lucidissima l’analisi di Sgarbi sul discorso cultura di destra o di sinistra; concordo con lui quando dice che non se ne può fare una questione ideologica perché l’ideologia, quando arriva al potere, si scontra proprio con il potere. Ovvero con un sistema che prescinde e trascende l’ideologia perché risponde a dinamiche e logiche che nulla hanno a che vedere con l’ideologia, ma appunto con l’esercizio stesso del potere. E la cultura non ha rappresentanza politica.

La penso come lui quando dice non ha senso boicottare l’intellettuale o l’artista russo, solo in quanto russo. Ricorderai, penso, quell’articolo che scrissi tempo fa sul boicottaggio della cultura russa. E temo non abbia tutti i torti quando sostiene che, continuando a inviare armi all’Ucraina non si lavori certo per la pace. Solo non so valutare quanto a uno come Putin, o anche agli Stati Uniti, possa convenire davvero una guerra atomica; mi chiedo invece se non sia uno specchietto per le allodole per continuare a tenere il mondo sotto scacco e giustificare certe politiche economiche, ma anche quella corsa agli armamenti che costituisce, di fatto, la vera unità di misura del potere.

Attendevo Rossi sul discorso scuola; nel senso che immaginavo la sua posizione. Da insegnante si sente investito di una specie di missione salvifica dell’istituzione “scuola”. Ma, come giustamente gli fa notare Sgarbi, non basta essere insegnanti, bisogna essere dei “bravi” insegnanti (definizione tutta da costruire…). Rossi evidentemente ritiene di esserlo e non ho ragione di credere il contrario. Detto ciò, gli intellettuali, ma non solo loro, a mio parere, hanno tutti i motivi del mondo per denigrare la scuola italiana; anche se facendolo buttano dentro nel calderone anche gli insegnanti, in realtà il problema sta a monte. Nella sistematica opera di depauperamento del ruolo sociale della scuola, e di conseguenza del ruolo dell’insegnante. Non si creano più cittadini ma consumatori, che in quanto tali, fanno risiedere il loro potenziale di affermazione personale nella possibilità o meno di possedere beni di consumo; con tutto ciò che ne consegue in termini di coscienza sociale, ambientale, politica, ecc…

Ma Sgarbi forse ha torto, in questo caso, quando dà la colpa dello stato pessimo della scuola italiana al fatto che a un certo punto l’insegnamento sia diventato un “mestiere per donne” e che queste abbiano sostituito gli uomini (e la loro visione). Se la scuola di oggi è in crisi è perché dagli anni settanta si è cercato non più di elevare l’individuo verso la cultura per farne un cittadino intellettualmente consapevole e socialmente utile, ma di abbassare la cultura al livello dell’individuo. Ufficialmente con la scusa di dare a tutti le stesse opportunità, non si è facilitato l’accesso al sapere, ma si è reso “facile” il sapere stesso, spogliandolo, un po’ alla volta, di contenuti fondamentali come la letteratura, la storia, la geografia, l’arte stessa, in favore di altri che, man mano che il mondo cambiava, diventavano più importanti perché garantivano maggiori possibilità professionali, e quindi maggiore potere d’acquisto.

E’ per questo che la scuola italiana è in decadenza e i nostri ragazzi sono quelli che scrivono e parlano peggio in Europa, non certo perché gli insegnanti sono per lo più donne o perché gli intellettuali sono cattivi con gli insegnanti. Il ruolo dell’insegnante, svilito e declassato a quello di impiegato avventizio, è una conseguenza di tutto questo. Ma la verità è che, oltre a una seria e rigorosa formazione, l’insegnante dovrebbe avere – innata – anche la capacità, per nulla scontata, di trasmettere il sapere coinvolgendo gli studenti, facendo loro AMARE la conoscenza, facendone percepire il valore universale. Quanti inseganti sono capaci di questo…?

Sono rimasta particolarmente e piacevolmente colpita dalla domanda di Rossi (molto ben formulata) e dalla risposta di Sgarbi sullo Jus Soli o Jus Scholae. Non si può continuare a strumentalizzare la questione come un fatto ideologico di sinistra, o “non di destra”, allo scopo di consolidare il consenso elettorale da una parte e dall’altra. Non è una questione politica ma di civiltà. Come giustamente faceva notare Sgarbi

“non si capisce perché un ragazzo che frequenta le scuole italiane non debba essere considerato italiano, dal momento che la sua percezione del mondo è legata a quella dei suoi compagni di scuola che hanno fatto le stesse scuole e quindi non può essere una questione di sangue, una questione geografica, ma ripeto di visione del mondo, di quello che si ha in testa. […] non vi è alcun motivo per cui un ragazzo che ha vissuto 18 anni in Italia non debba essere considerato italiano.”

Sarebbe ora di capire che gli immigrati vanno anzitutto rispettati in quanto esseri umani, e poi considerati una risorsa, economica e demografica. Non certo un problema, meno che mai un potenziale “pericolo”.

Rispetto alla crescita dell’arte non ho ben capito se Rossi lo chiedesse sempre in riferimento alla scuola, come materia scolastica intendo; ma se così fosse, non mi pare che sia cresciuta, anzi. Se è cresciuta lo ha fatto come materia di ricerca e per questo è diventata qualcosa di elitario, riservata solo agli addetti ai lavori. I quali non mi sembrano molto propensi a rendere più “orizzontale” il loro sapere, le loro scoperte. Questo compito lo svolgono i divulgatori, che però spesso rispondono più a logiche di attrattiva che di reale volontà di divulgazione del sapere, e per questo selezionano dal sapere ciò che ritengono maggiormente affascinante, tralasciando elementi importanti ma che potrebbero risultare noiosi. Per la serie: meglio male informati che totalmente disinformati… e no, non sono d’accordo.

D’accordo, invece, con Sgarbi sull’aperture delle chiese, ma non solo quelle romane. Sulle mostre sono sempre molto cauta, perché movimentare le opere d’arte è sempre qualcosa di potenzialmente pericoloso. Però mi rendo conto che anche questo deve sottostare alle leggi del profitto… che non è solo quello economico.

Bene, detto ciò, grazie per le sempre utili opportunità di riflessione e confronto.

Auguro a te e a tutti i nostri affettuosi lettori una serena Pasqua,

Francesca, Catania 9 Aprile 2023