Le “Memorie ritrovate” in un esemplare progetto didattico. Archeologia, Storia e Cultura in un liceo di Paternò (CT).

di Francesca SARACENO

UN’INEDITA MOSTRA DI REPERTI ARCHEOLOGICI ALL’INTERNO DI UN LICEO DI PATERNÒ (CT): QUANDO LA SCUOLA DIVENTA MUSEO.

In un momento in cui arte e cultura vengono asservite, sempre più spesso, a logiche commerciali che ne sviliscono il ruolo sociale e formativo, il Liceo Statale “Francesco de Sanctis” di Paternò (CT) si è reso protagonista di un progetto virtuoso, assolutamente gratuito, ospitando una splendida mostra il cui titolo ha già in sé tutto il grandissimo valore dell’evento: “MEMORIE RITROVATE. Il ruolo della scuola nella promozione del patrimonio culturale”.

La mostra, che si è protratta dal 29 aprile al 31 maggio 2024, ha visto in esposizione 55 reperti archeologici di epoca greco-romana di provenienza ignota ma che si ritiene appartenenti al territorio siciliano e peninsulare, facenti parte di una raccolta privata e detenuti nei depositi della Soprintendenza ai BB. CC. AA. di Catania che ne ha concesso il prestito al Liceo paternese.

È la prima volta in assoluto in Sicilia (la seconda in Italia, dopo il Liceo Tasso di Roma) che una scuola organizza e ospita una mostra, diventando di fatto sede museale. Luogo eletto di conoscenza e formazione, il Liceo “F. de Sanctis” si è imposto quale magnifico esempio ed efficiente modello di didattica e divulgazione culturale di alto livello, coinvolgendo e rendendo protagonisti dell’evento gli studenti delle terze classi di indirizzo Umanistico e Linguistico, dal percorso di studio e conoscenza fino all’allestimento e alla presentazione della mostra ai visitatori. E vengono i brividi al pensiero di quanto e come, in un tempo “decadente” come il nostro, una gestione “illuminata” come quella della dirigente del Liceo paternese, prof.ssa Santa Di Mauro, possa restituire all’istituzione scolastica dignità e valore, culturale e sociale; e agli insegnanti, con il loro costante e prezioso lavoro fianco a fianco con i ragazzi, quel ruolo primario e autorevole di guida e supporto, in un percorso di conoscenza e crescita che si imprime come DNA nel bagaglio culturale di ogni studente.

E proprio loro, gli studenti, sono stati gli straordinari “Ciceroni” che hanno accompagnato i tanti visitatori che si sono avvicendati lungo il percorso espositivo, illustrando con estrema chiarezza, nonché padronanza di linguaggio e di argomenti, tutti i reperti in mostra, con un sincronismo perfetto nel passarsi tra loro il testimone, teca dopo teca; ciascuno raccontando la storia affascinante di quei manufatti, descrivendone puntualmente denominazione, materiali e destinazioni d’uso, dimostrando una sicurezza e una competenza che non così spesso si ritrovano anche tra le guide museali più esperte. Ma è questa la differenza che si produce dalla scuola fatta bene, dalla sinergia virtuosa tra professionalità, organismi ed enti culturali che lavorano insieme a un obbiettivo comune: “fare” cultura.

Ed è stato così che ragazzine dai volti luminosi hanno accompagnato chi scrive, e numerosi altri visitatori, alla scoperta di antichissime ceramiche, databili dal VI al II secolo a.C.; reperti ritrovati e conservati incredibilmente integri. Anfore e miniature usate come corredo funerario (fig. 1 e 2),

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vasi detti “crateri” dei quali uno “a campana” (fig. 3) decorati con scene dionisiache, dove gli antichi greci mescolavano acqua e vino, poiché – ci tengono a precisare, le nostre zelanti guide museali – la preziosa bevanda in purezza era destinata solo agli dei.

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E poi monili (fig. 4, reperto 43), splendide “pissidi” (fig. 5 reperto 4) decorate con figure umane e zoomorfe (sentire la parola “zoomorfe” dalle labbra di una sedicenne del XXI secolo è meraviglioso!), “skyphos” a figure rosse, oggetti in bronzo come le “fibule” (fig. 4 reperti 41-42, una sorta di spille o fermagli), o lo “strigile” utilizzato per detergere il corpo dalla miscela di oli e polveri usati per pulirsi (fig. 4 reperto 40);

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fino al “guttus” a vernice nera (fig. 6) che, ti spiegano le ragazze con una leggerezza disarmante, altro non era che un antico “biberon”.

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In mostra anche statuette fittili raffiguranti figure femminili a uso decorativo o di culto, alcune delle quali assemblate con elementi appartenenti a esemplari diversi, insieme a dei manufatti dichiaratamente falsi (fig. 7), allo scopo – utilissimo – di spiegare (non solo ai ragazzi) come spesso oggetti di questo tipo arrivino nelle collezioni private, e di quanto sia necessario saperli distinguere dagli originali autentici.

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Ma non finisce qui, perché le preziose guide dai volti radiosi, ti portano poi a vedere come il trapassato più remoto possa dialogare e trasmettere la propria essenza al presente futuristico che loro vivono, quello tecnologico, attraverso l’uso di una stampante in 3D – acquistata dalla scuola con i fondi del PNRR – con cui si possono riprodurre i manufatti, o uno scanner di ultima generazione utile per “leggere” e digitalizzare volumi fragili che non possono essere sfogliati (fig. 8);

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e ancora l’uso didattico – intelligente e divertente – di un maxi schermo touch-screen (fig. 9) dove gli studenti mostrano ai visitatori dei giochi digitali in forma di “quiz”, con domande a risposta multipla, da loro stessi progettati e creati con le immagini digitalizzate e le informazioni sui reperti in mostra. Una maniera creativa, efficace e piacevole per approcciarsi a una materia ostica ma affascinante com’è, per l’appunto, l’archeologia.

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Una particolarità, che ha testimoniato ulteriormente l’estrema cura con cui si è disposto l’allestimento, sono state le teche costruite in legno e vetro, sul modello delle tipiche “cassette” usate dagli archeologi durante gli scavi (fig. 10), come ha spiegato il prof. Francesco Finocchiaro curatore della mostra

“per trasformare l’ambiente che caratterizza i depositi di reperti archeologici in un linguaggio iconico, usando materiali e tecniche a basso costo e afferenti alla modalità dell’autocostruzione”.
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Il percorso espositivo si completava di alcuni strumenti usati proprio dai professionisti della ricerca archeologica, e di una parete appositamente allestita con pannelli divulgativi realizzati in quattro lingue (fig. 11), curati dai ragazzi della sezione linguistica, in cui si illustrava il progetto culturale, e si fornivano informazioni sui reperti, sui territori presunti di provenienza, e sul periodo storico di riferimento.

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Della mostra – ha affermato la dirigente Di Mauro – verrà anche pubblicato un catalogo, a suggello di un progetto vincente che certamente avrà un seguito.

Tutto questo splendido lavoro di studio, creatività e divulgazione, si deve all’operosità infaticabile di docenti come Angela di Salvo, Santa Longo ed Enrico Santaniello quali tutors scolastici PCTO che hanno guidato i ragazzi nella formazione, progettazione e realizzazione della mostra, e di professionisti di settore come l’archeologa Letizia Blanco, Francesco Finocchiaro della Direzione Nazionale Archeoclub d’Italia, che ha curato il progetto museografico; e ancora, Rosalba Panvini e Michela Ursino che hanno curato il coordinamento Scientifico, nonché gli apparati didattici e didascalici con la Soprintendenza ai BB. CC. AA. di Catania, la cui prima carica dott.ssa Donatella Irene Aprile è stata tra i promotori più entusiasti dell’evento insieme all’architetto Angelo Perri, presidente della sezione Ibla Major dell’Archeoclub d’Italia che, insieme al gruppo di Officina21, hanno lavorato al progetto.

La mostra curata dalla Soprintendenza catenese insieme al Liceo “F. de Sanctis” e all’Archeoclub d’Italia, è stata finanziata dal Presidente dall’ARS, dott. Gaetano Galvagno, e patrocinata dalla Regione Siciliana e dalla Fondazione Federico II di Palermo.

Il progetto espositivo realizzato in ambito scolastico, che si apriva ai cittadini residenti e alle comunità limitrofe, ha perseguito e raggiunto l’obbiettivo di portare nella periferia di una grande città d’arte come Catania un polo di attrattiva culturale di notevole spessore, promuovendo e valorizzando in maniera eccellente un patrimonio storico-artistico altrimenti invisibile  e improduttivo, creando così un’occasione di vera crescita culturale per le comunità del territorio e non solo; ma soprattutto ha realizzato, nella sua valenza più ampia e trasversale, quell’intento formativo “totalizzante” – inclusivo e laboratoriale – che la scuola dovrebbe sempre prefiggersi, individuando strategie metodologiche e didattiche che riescano a coinvolgere fattivamente i ragazzi; solo così si riesce a farli “innamorare” di materie altrimenti percepite “pesanti” o peggio “inutili”. Bastava guardare gli occhi limpidi ed entusiasti delle giovani guide di questa mostra per avere conferma che ciò che avevano appreso e stavano divulgando, non resterà lettera morta, ma germoglierà e darà frutti sani; creerà cittadini ancora capaci di emozionarsi, di provare interesse e passione. Qualcosa che fa sperare ancora – nonostante tutto – in un futuro possibile in cui la parola Cultura avrà ancora un valore sociale.

©Francesca SARACENO, Catania, 5 giugno 2024.