di Nica FIORI
Nell’agosto del 2019 quattro lastre in terracotta dipinta, pronte per essere trasferite clandestinamente in America, sono state recuperate dalla Guardia di Finanza nel territorio di Cerveteri.
Quando la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e l’Etruria meridionale venne contattata per prendere visione dei materiali, descritti come “tegole” con pitture irriconoscibili, gli archeologi capirono già dalle prime foto che si trattava di reperti particolarmente importanti, che, dopo un periodo di restauro e di studi e un ragionevole ritardo dovuto alle restrizioni legate alla pandemia da covid, sono stati finalmente presentati lo scorso 17 giugno, in occasione della prima delle Giornate Europee dell’Archeologia 2022, a Palazzo Patrizi-Clementi, sede operativa della Soprintendenza per l’Etruria Meridionale.
Il soprintendente Margherita Eichberg ha annunciato con orgoglio la restituzione al pubblico di questi capolavori, che saranno prossimamente collocati nell’antiquarium ceretano, in fase di allestimento nel Castello di Santa Severa, sorto nel sito dell’antica Pyrgi (il porto di Caere, ovvero Cerveteri). “Ancora una volta – ha dichiarato la Eichberg – abbiamo avuto la dimostrazione che tutela e valorizzazione fanno parte di una filiera continua e ininterrotta”.
Il ten. col. della Finanza Alberto Franceschin ha spiegato che l’eccezionale recupero è il frutto di un lavoro di indagine, condotto dai finanzieri del Comando Provinciale di Roma, nell’ambito delle attività che il Corpo svolge a tutela del demanio e del patrimonio dello Stato, nonché a contrasto del reimpiego dei proventi di condotte illecite nei cosiddetti beni “rifugio”, quali possono essere le opere d’arte.
Probabilmente l’interesse per questo genere di oggetti da parte del mercato illecito d’arte era dovuto al rimpatrio, nel 2016, di una ricca serie di lastre fittili dipinte dello stesso tipo, in seguito a sequestri, rogatorie internazionali e operazioni di diplomazia culturale. I risultati di queste operazioni sono stati presentati dalla Soprintendenza in più riprese, a partire dall’esposizione e convegno “Pittura di terracotta. Mito e immagine nelle lastre dipinte di Cerveteri” presso il Castello di Santa Severa nel 2018, quindi in una più ampia mostra a Roma, intitolata “Colori degli Etruschi. Tesori di terracotta alla Centrale Montemartini” (Musei Capitolini – Centrale Montemartini, 2019-2020) e ultimamente a Venezia nella mostra “Massimo Campigli e gli Etruschi. Una pagana felicità” (Palazzo Franchetti, 2021).
Diversamente dalle pitture murali di Tarquinia, che decoravano le tombe, le lastre di terracotta dipinte dovevano decorare parti di edifici di prestigio, anche templari, a maggiore protezione delle pareti, e sono testimonianze preziose di un artigianato d’eccellenza che aveva a Cerveteri il centro di produzione, come ha illustrato Rossella Zaccagnini, funzionario archeologo responsabile per Cerveteri.
Dovevano essere note anche a Plinio, perché nella sua Historia naturalis, e più esattamente nel libro XXXV dedicato ai colori minerali, ci fa sapere dell’esistenza di pitture templari, anteriori a quelle di Roma e di Ardea, a Caere, affermando che
“chiunque le esamini accuratamente potrà confermare che nessuna arte raggiunse la perfezione più rapidamente di questa”.
Prima dei ritrovamenti degli ultimi anni, lastre dipinte della stessa qualità e conservazione erano state rinvenute solo nel XIX secolo, quando le necropoli di Cerveteri avevano restituito le serie di lastre note come “Campana” e “Boccanera”, oggi conservate rispettivamente a Parigi al Louvre e a Londra al British Museum.
Anche nel caso di quest’ultimo recupero, le terrecotte, letteralmente ricoperte di incrostazioni e depositi inorganici che ne offuscavano la lettura, e in parte danneggiate da maldestri interventi di ‘restauro’ dei tombaroli, sono state sottoposte dalla Soprintendenza a una serie di analisi tecnico-scientifiche finalizzate a ottenere informazioni relative alla datazione, ai materiali utilizzati e alla tecnica esecutiva.
Gli esami hanno confermato che le lastre sono opere originali di epoca etrusco-arcaica, da datare agli ultimi decenni del VI secolo a.C., di grandissimo valore storico e sostanzialmente integre, dopo il riassemblaggio dei numerosi frammenti (dagli oltre 40 della prima lastra agli 8 della terza), dovuti forse a crolli o alla volontà di rompere i manufatti.
Le lastre di questo tipo, che potevano essere singole o disposte in sequenza a formare una scena più ampia, venivano prodotte conformando l’argilla entro telai di legno o casseforme. Dopo una prima fase di essiccazione si applicava un rivestimento di argilla depurata, di color bianco-avorio, sul quale venivano tracciate con una punta sottile le linee di riferimento per l’esecuzione delle cornici decorative e delle raffigurazioni, prima di applicare a pennello i colori costituiti da miscele argillose diluite; tra le sostanze utilizzate vi erano l’ossido di manganese per il nero e le sfumature di grigio, e i composti del ferro per i gialli, le gradazioni di rosso e di arancio. Per ottenere contemporaneamente tutte le colorazioni era sufficiente una sola cottura di tipo ossidante a circa 850-900°.
Il lungo ed elaborato intervento conservativo, eseguito da Antonio Giglio (Consorzio Kavaklik Restauro), ha riportato alla luce una serie di scene figurate mitologiche e rituali del tutto inedite, rese con colori vivaci e dettagli ricercati, che sono state illustrate nel corso della presentazione dal funzionario archeologo Daniele Maras.
Nella lastra A sarebbe rappresentato il combattimento tra Achille e Pentesilea, in cui la regina delle Amazzoni si lancia, bella e terribile, contro l’eroe greco che la sconfiggerà, racchiuso nella sua armatura. Il volto di Pentesilea è talmente significativo che potrebbe diventare ben presto una delle icone dell’arte etrusca arcaica.
Nella lastra B è raffigurata un’eroina armata di arco, impegnata in una gara di corsa contro un avversario biondo, che brandisce un ramo. Si potrebbe pensare ad Apollo e Artemide, ma più probabilmente si tratta della sfida tra la cacciatrice Atalanta, che era velocissima nella corsa, e Melanione o Ippomene, che sarebbe diventato suo marito, dopo aver vinto la gara grazie all’espediente di gettare dei pomi d’oro, che lei avrebbe raccolto perdendo così del tempo.
La lastra C è meno conservata nella parte superiore, tuttavia si riconosce il messaggero degli dei Hermes (l’etrusco Turms), dalle ricche ali e dai calzari alati, che scorta una donna in atto di svelarsi (forse una dea che faceva parte di un quadro del giudizio di Paride).
La lastra D, infine, dovrebbe raffigurare una scena rituale etrusca, ovvero una coppia di aruspici, esperti nell’interpretazione della volontà degli dèi.
L’uomo a sinistra è raffigurato a piedi nudi, con il lituo (bastone cerimoniale) e con il dito puntato, mentre l’altro si volta all’indietro, forse in un gesto rituale che non conosciamo. Come ha precisato Leonardo Bochicchio (funzionario archeologo per le province di Pisa e Livorno):
“L’analisi tecnica e stilistica ha dimostrato che le raffigurazioni sono opera di almeno due maestri diversi – – uno dei quali, più raffinato, si è specializzato in scene del mito con protagonisti dai volti luminosi ed espressivi, mentre l’altro – forse un allievo – ha lavorato anche nell’officina delle lastre Campana del Louvre”.
La presentazione di queste lastre ceretane recuperate dalla Guardia di Finanza sembra proprio una degna celebrazione del nuovo corso che ha assunto da quest’anno il contrasto ai crimini contro il patrimonio culturale, con la riforma del Codice Penale entrata in vigore a marzo 2022, ed è quasi coincisa con la creazione del “Museo dell’arte salvata”, inaugurato il 15 giugno nella Sala Ottagona delle Terme di Diocleziano, dove vengono esposti i reperti archeologici recuperati dal nucleo dei Carabinieri del TPC (Tutela Patrimonio Culturale), in attesa della loro definitiva assegnazione al territorio di origine.
Nica FIORI Roma 19 Giugno 2022