di Massimo MARTINI
Migranti sull’About
di M. Martini e F. Montuori
DIMENSIONE ESTETICA DI UN ORTO
L’ORTO RICCI FILESI A VASANELLO
(La prima parte dell’articolo è stata pubblicata il 23.02.19 su About Art on Line https://www.aboutartonline.com/il-fascino-dellorto-ricci-filesi-a-vasanello/)
Parte seconda: Come rimescolare le carte. Fidando nella buona sorte
Carlo Emilio Gadda, Le meraviglie d’Italia, Il mercato di frutta e verdura (1935-36). (Ed. Einaudi, pg 188) “Gli idrati ed i grassi, i Sali e gli acidi e le inimitabili vitamine (A, B, C, D, E) che il popolo fronzuto di Pomona e di Vertumno ha elaborato nei campi, nei disegnati orti, (patrie saluberrime del rigoglio), sono voracemente domandati, pagati a contanti dal locomobile popolo di sangue rosso: il quale fonda miglior salute nei sedani: come pure negli spinaci, né carciofi, nelle mele, nelle patate, nelle zucche e zucchette, nelle noci, nei fichi, nei cacchi, nei finocchi: e nei funghi non velenosi, nelle dolcissime uve, nelle diureticissime carote, nelle barbabietole cotte e ustulate al forno, e messe in agra insalata….” (fig 1)
Ancora Gadda (pg 188-189): “… Donde quei materiali preziosi e quei succhi, appunto, che nessun laboratorio dé suoi gli procura così felicemente complessi, nessuna delle sue fiale accoglie così limpidamente tramutabili in vita. Nel circolo amplissimo della vita, nel labirintico metabolismo di lei, barbabietole e carote, ed anche le pere, sono il più accreditato precedente del mio cervello. E chiedete al biologo qual parte giuochino le vitamine nel dramma della vostra persona… le A B C D E vi hanno permesso di costruire la vita, e di preservarne la sanità. Se non siete gobbi, il merito è loro. Il genio della creazione si è celato nella terra e ha suggerito alla barbabietola e alla rapa una misteriosa formula, la più pregevole e giusta: ed esse hanno perseverato nei loro nobili sforzi, ed hanno spedito la ricetta: e quella sua medicina la rapa me la porta nella zuppiera, ed insiste, fino a che mi farà diventare intelligente….” (fig 2)
E ancora (pg 189): “I labili e nobilissimi succhi impregnano la intimità delle polpe o la tenacità dei tessuti; la dovizia dei materiali termogeni è accumulata nei semi, sacri a Pale e a Cerere, di cortica dura: succhi ed amidi non il medico ce li inietta né glutei con l’ago talora pungente, tal’altra meno: ci pensa il dottor Mezzogiorno a farceli arrivare dopo ogni mattina alla bocca. Per arrivare hanno capsula, hanno grossa scorza che pesa: e pure li serba. Hanno buccia d’arancia e di fico d’India, guscio di castagna e di noce, baccello di fave….” (fig 3)
Nei meandri letterari del signore della prosa, diventano letteratura la complessità casareccia, la scienza manipolata dal buon senso popolare, i fantasmi ambientali di una cultura molto cittadina ancora campestre. Dove la vita sgorbia il sapere. Un orizzonte vivissimo, quanto lontano dal subdolo candore del mulino bianco. Un orizzonte sporco. Un ceppo di insalata tutta da lavare, al lavello, in cucina. Mentre leggo, (ben infisso come sono sulla terra dell’orto Ricci Filesi), leggo che nella Tuscia irrisolta, non solo ai giardini di Villa Lante devo volgere lo sguardo per dirmi architetto, ma anche alle aule della locale università di agraria. Laddove, assieme alla Scuola Sant’Anna di Pisa, di lignaggio mondiale, si è provveduto a creare il Sun Black, il Sole Nero, il super pomodoro, non OGM però. Memorizzo il nero, ovvio. E mi domando cosa dirà Leonardo Filesi quando gli chiederò lumi sugli OMG. Per non negarmi nulla. Nell’invidia per la tavolozza arricchita. E mi viene in mente ora, con un certo ritardo, che un grande artista di successo, Anish Kapoor, ha da poco acquisito i diritti per l’uso artistico di un nuovo nero, il nero Kapoor, il nero più nero del mondo, detto anche Vanta Black (Vertically Alligned Nano Tubes Arrays). Perché la sfida non è trovare il fico sotto la cui ombra stendersi e riflettere… bensì trovare l’ombra e basta. (fig 4,5)
L’architetto ostenta il dire del suo mestiere 1) L’orto è una piazzola organizzata-non-delimitata per la coltivazione dei vegetali. Questa piazzola vede il succedersi, lungo segni lineari continui, di singole piante, ognuna con un suo proprio modo di crescita. Un procedere longitudinale, di episodi puntiformi. La distanza fra vegetale e terreno, ove ci sia, mediata da strutture leggere, ponteggi a tutti gli effetti. 2) La piazzola destinata all’orto, si allunga spesso verso porzioni di terreno destinate al frutteto. Gli alberi da frutto, se in numero ridotto e diversi fra loro, non sono quasi mai messi in ordine lungo un filare, con l’eccezione della vite. Costellazioni di alberi. I frutti, lontani dal terreno, appesi come sono ai rami, ondeggiano con il fogliame, ma meno, molto meno. Ballano, come. 3) Il sistema orto genera un super-sistema dei rifiuti dell’orto che, unitamente a piccoli manufatti di servizio, sovrasta figurativamente la missione primaria del luogo stesso. Effetto (ai miei occhi, ovvio) di una modernità che si estende fino al riciclo di sé. Effetto suggerito di chi, in un tempo che sembra lontano ma lontano non è, si mise a dipingere la pittura, piuttosto che l’oggetto della pittura. (fig 6)
Mentre mi accorgo che questo viaggio, questo lungo viaggio nella Dimensione estetica di un Orto, va assomigliando sempre più a un Lungo viaggio dentro Wikipedia. Una sorta di antimateria generata dallo stesso sapere enciclopedico quando, in una serie infinita di rimandi e depistaggi, ammiccamenti e tranelli, tutto ma proprio tutto sembra a portata di mano. Con qualcosa di più attraente sempre affiorante in qualcos’altro. Più oltre. Che meraviglia, però! E nella fitta nebbia ancora, vive la dimensione estetica dell’orto Ricci Filesi. Se ne ha traccia nell’istinto, ma i sensori registrano solo la presenza di un medium. L’enigma che sta pensieroso alle nostre spalle. Un’ombra creata dalla propensione a riflettere, quella che porta a reinventare il reale. Perché il reale sfugge. Oggi più che mai. Affogato come è nella foresta delle mille sovra strutture. Quelle, usa e getta, via via necessarie per decodificare il cammino. La vita semplice e naturale una balla colossale. I selfie una disperata invocazione ad esistere. L’arte una dimensione gratuita, ma sfuggente, mutante, effimera, l’Araba fenice che risorge da se stessa ogni 500 anni. L’artista a fare il performer per dirsi tale. (fig 7)
L’orto è un cantiere perenne. L’orto ha la dimensione estetica di un cantiere perenne. E’ tutto un convenire di materie. Nessuna forma chiara e distinta, però. Le si attende, le si attende eccome, per il tempo della raccolta. Il tempo incommensurabile di un parto.
“Troveranno gli spettatori, entrando nella sala del teatro, alzato il sipario, e il palcoscenico com’è di giorno, senza quinte né scena, quasi al bujo e vuoto, perché abbiano fin da principio l’impressione di uno spettacolo non preparato… Spenti i lumi della sala, si vedrà entrare dalla porta del palcoscenico il Macchinista in camiciotto turchino e sacca appesa alla cintola; prendere da un angolo in fondo alcuni assi d’attrezzatura; disporli sul davanti e mettersi in ginocchio a inchiodarli. Alle martellate accorrerà dalla porta dei camerini il Direttore di scena…”(fig 8)
(Il seguito in uno dei prossimi numeri di About Art on Line)