di Nica FIORI
L’imponente complesso architettonico situato all’altezza del km 87 della via Salaria, non lontano da Rieti e più esattamente a Cittaducale (in località Cesoni), anche se sembra rispecchiare nella sua struttura a terrazze i modelli dei santuari ellenistici, è indubbiamente legato allo sfruttamento delle acque di Cotilia, le cui proprietà curative erano conosciute fin dall’antichità. L’acqua in questo caso non è più presente, ma sono rimaste una grande vasca destinata alle cure termali e alcune infrastrutture connesse.
Il vicus dove sorgevano le terme è menzionato in più occasioni, quali la marcia di Annibale verso Roma e la morte di Vespasiano, avvenuta nel 79 d.C.
Questo imperatore era un frequentatore delle terme e possedeva nella zona una grande villa (da identificare forse con i resti ritrovati in località Ortali), dove sarebbe morto due anni dopo anche Tito. Dato questo legame, anche se non del tutto felice, con gli imperatori della dinastia Flavia, il complesso archeologico di Cittaducale è noto con il nome di Terme di Vespasiano.
Di Vespasiano, padre di Tito e di Domiziano (attualmente protagonista di una bella mostra a villa Caffarelli), sappiamo che era nato a Falacrinae, vicino Rieti, nel 9 d.C. da una famiglia non propriamente aristocratica, tanto che la sua nomina a imperatore fu nella storia dell’impero romano un evento di portata epocale. Alla morte di Nerone nel 68 d.C. era seguito un periodo di violenza e guerre civili, che aveva visto ben tre imperatori succedersi e morire violentemente nel giro di pochi mesi (Galba, Otone e Vitellio). Vespasiano fu acclamato imperatore dal suo esercito, al ritorno dalla Giudea nel 69 d.C., dopo aver eliminato Vitellio, che aveva osato assediare il Campidoglio, incendiare il tempio di Giove Capitolino, e fatto uccidere Flavio Sabino (fratello maggiore di Vespasiano), allora prefetto di Roma.
Il nuovo imperatore cercò di incontrare il favore del popolo contrapponendosi agli abusi di potere del periodo precedente e vi riuscì grazie a quelle doti italiche come la parsimonia, la prudenza e la concretezza che si rifacevano ai valori delle origini, che – non dimentichiamo – erano anche sabine, in quanto i Romani si erano uniti alle donne della Sabina con il notissimo “ratto”.
Con tutta probabilità sono state proprio le gelide aquae Cutiliae ad accelerare la morte di Vespasiano, come racconta Svetonio (Vita di Vespasiano, 24):
“Durante il suo nono consolato fu colto, in Campania, da leggeri attacchi di febbre e subito tornò a Roma, poi si recò a Cutilia, nella campagna di Rieti, dove era solito trascorrere l’estate. Lì un’infiammazione intestinale, causata dall’abuso di acqua gelata, aggravò ancora più la sua malattia, senza peraltro che cessasse di svolgere le sue funzioni di imperatore, in quanto arrivò perfino a dare udienza, standosene a letto, a diverse delegazioni; prossimo alla morte a causa di un’improvvisa diarrea, disse che un imperatore doveva morire in piedi e mentre faceva uno sforzo per alzarsi, morì tra le braccia di coloro che lo sostenevano, il nono giorno prima delle calende di luglio all’età di sessantotto anni, un mese e sei giorni”.
Abbiamo avuto modo di visitare le cosiddette Terme di Vespasiano, sotto la guida del suo direttore Alessandro Betori, lo scorso 30 luglio 2022, in occasione di una delle aperture speciali che la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Roma e per la provincia di Rieti organizza nei siti archeologici di sua competenza.
Il complesso, che nella sua fase più antica risale alla tarda età repubblicana (II metà del II secolo a.C.), era ancora attivo nella tarda antichità, epoca in cui viene indicato con grande risalto nella Tabula Peutingeriana. Edificato alle pendici meridionali di un rilievo in prossimità della via Salaria, rappresenta una delle emergenze archeologiche più rilevanti di tutta la Sabina.
È proprio un tratto di ca. 30 metri dell’antica via Salaria la prima cosa che ci colpisce appena varchiamo il cancello di ingresso: è stato riportato alla luce, meno di 15 anni fa, in seguito al alcuni sondaggi archeologici effettuati in occasione della costruzione dell’attiguo Centro Visite.
La strada è abbastanza larga (circa 4,5 m), come tutte le vie consolari, in modo da poter permettere il passaggio di due carri nei due sensi opposti: non era basolata, ma glareata (cioè inghiaiata) e sono rimaste le tracce dei carri dovute all’attrito sulla ghiaia. È rimasto anche il lastricato di copertura di un cunicolo (un condotto idraulico), che attraversava la strada perpendicolarmente, mentre una roccia che notiamo si è formata dalle concrezioni calcaree dello scarico delle terme, quando esse erano già fuori uso.
L’area del complesso, solo parzialmente indagata, si sviluppa su tre grandi terrazzamenti aperti verso mezzogiorno. Sia i rinvenimenti ottocenteschi, effettuati dal proprietario Augusto Bonafaccia e documentati dallo studioso Nicolò Persichetti, che quelli dovuti agli scavi sistematici più recenti, si sono concentrati sul secondo terrazzamento, che accoglie al centro una vasca rettangolare, che doveva essere chiusa sui lati da una serie di ambienti uniti a formare un portico, in origine forse articolato su due livelli.
La vasca (ca. 60 x 24 m) ci colpisce per le dimensioni veramente notevoli: sicuramente una delle più grandi dell’antichità e paragonabile alle odierne piscine olimpiche. A questa natatio (piscina delle terme) si accedeva mediante due doppie scale poste sui lati lunghi. Una di esse è in parte obliterata da una concrezione calcarea sul tipo di quella già vista sul tratto della via Salaria.
La vasca, scavata direttamente nella roccia, era forse pavimentata con lastre di travertino (ne sono state trovate piccolissime tracce).
Le indagini geofisiche condotte dalla British School at Rome nel 2020 per conto delle università canadesi titolari del progetto di ricerca sul complesso della cosiddetta Villa di Tito a Castel Sant’Angelo, hanno evidenziato come quello che inizialmente si credeva fosse un portico ad “U”, disposto su tre lati della grande piscina, risulti invece un portico chiuso sui quattro lati, con l’ingresso situato probabilmente nell’angolo sud-orientale.
La tecnica edilizia impiegata è l’opera incerta e quadrata con successivi restauri e riprese in laterizio. Dall’angolo nord-orientale dell’area si diparte un criptoportico con pianta ad “L”, che conduceva agli ambienti retrostanti e al piano superiore (del quale è in vista solo un piccolo tratto, oltretutto bisognoso di restauro).
Lungo il prospetto orientale si aprono una serie di ambienti voltati a pianta rettangolare alternati ad absidi.
Il prospetto settentrionale, munito di un grande muro di sostegno a monte, è pure scandito da una serie di nicchie ed esedre ed è arricchito da un ninfeo quadrangolare con abside sul fondo. Nella parte superiore si vedono ancora 10 fori quadrangolari disposti superiormente, dai quali fuoriusciva l’acqua che serviva presumibilmente al riempimento della piscina; in alternativa, data la mancata individuazione di canali di adduzione dell’acqua, essa doveva essere alimentata da una polla d’acqua sorgiva sottostante.
Accanto al canale che dal ninfeo conduceva l’acqua nella grande natatio, è una piccola vasca absidata in laterizio con pavimentazione in cocciopesto, identificabile come un piccolo ambiente termale. In questo caso l’impiego del laterizio, al posto dell’opera incerta che caratterizza le altre murature, farebbe ipotizzare un intervento successivo, forse connesso alla frequentazione da parte degli imperatori Flavi.
Lasituazione del lato occidentale è più problematica perché è quello che ha subito più modifiche nel corso dei secoli: parte dell’area è occupata dai resti della pieve medievale di S. Maria in Cesonis (XII secolo) e ha visto l’impianto di un mulino che sfruttava le sorgenti presenti in epoca medievale. La stessa chiesa, di stile romanico, a navata unica e campanile a vela, sembra sorgere al di sopra di strutture romane e utilizza materiale di reimpiego.
Nei paraggi si vedono i resti di un piccolo complesso termale in laterizio, la cui edificazione, sulla base delle tecniche edilizie impiegate (in particolare l’uso dell’opera vittata, una muratura a blocchetti con bande di mattoni, chiamate vittae), dovrebbe essere del II-III secolo.
L’abbandono delle terme romane risale all’inizio del V secolo, ma c’è stata una rioccupazione in età medievale, con il gastaldato di Rieti e poi la donazione nel 766 della curtes (l’azienda agricola sorta sul luogo) all’abbazia di Farfa, che ha imposto il culto di San Vittorino di Amiterno, su una precedente piccola pieve dedicata a San Vittore. La sostituzione di questo culto è legata al fatto che San Vittorino sarebbe morto, secondo il martirologio di Adone di Vienne (IX secolo) “presso quel luogo che viene chiamato Cotilia dove sgorgano acque maleodoranti solforose” (eum locum qui Cotilias appellatur ubi putentes aquae emanant et sulphureae) e, appeso a testa in giù, fu costretto a respirare i vapori delle acque termali, finché non ne fu avvelenato.
In epoca romana le acque curative di Cutilia vengono menzionate da molti autori, tra cui Vitruvio (che le definisce “gelide e nitrose”), Plinio, Strabone, Celso. Erano considerate depurative e benefiche per le malattie dello stomaco, del sistema nervoso, e dell’intero corpo.
Dovevano essere collegate al lacus Cutiliae, che era considerato da Varrone (originario di Rieti) l’Umbilicus Italiae.
Non sappiamo se nelle terme, che hanno restituito un’epigrafe con dedica ai Dodici dei, ci fosse anche un culto dedicato a Vacuna, una divinità sabina sulla cui natura lo stesso Varrone era incerto e il cui santuario era legato al lacus Cutiliae (un lago da identificare probabilmente con l’attuale lago di Paterno).
Macrobio nei Saturnalia riferisce:
“A settanta stadi da Rieti vi è l’illustre città di Cotilia, sita presso un monte: non lontano da essa è un lago di quattro plettri di diametro, alimentato da sorgenti proprie, che scaturiscono senza posa, di profondità come raccontano abissale. I pii abitanti del luogo lo ritengono sacro a Vittoria (Vacuna) …. in particolari periodi dell’anno gli incaricati del culto vi svolgono le cerimonie sacre, salendo su un’isoletta che vi si trova. Quest’isola presenta un diametro di circa cinquanta piedi ed emerge dalle acque per non più di un piede. Essa non è immobile, ma galleggia lentamente ora in una direzione, ora nell’altra, sospinta dal vento. Su di essa cresce una pianta simile al giunco ed arbusti di modesta grandezza”.
Va precisato che 70 stadi corrispondono a ca. 12,5 km; 4 plettri a ca. 120 m; 50 piedi a ca. 15 m e un piede a 30 centimetri.
Anche Dionigi di Alicarnasso nelle Antichità italiche sostiene di aver visto quella strana isola galleggiante e aggiunge:
“Essa porta su di sé degli alberi e nutre delle erbe, ma è sostenuta dall’acqua e non viene sospinta di qua e di là solo dal vento, ma anche da una lieve brezza, non restando mai ferma per un giorno o per una notte; a tal punto basta a muoverla anche una bava di vento”.
Doveva trattarsi di un’isola che sarebbe nel tempo sprofondata; del resto Vacuna, il cui nome sembra legato al termine vacare, doveva in qualche modo proteggere da quelle cavità o voragini circolari (dette sinkhole) che si creano in maniera subitanea, dando origine anche a laghi.
Certo ci troviamo in una delle zone con più acqua dell’Italia centrale e proprio a due passi dalle Terme di Vespasiano si trovano i resti della chiesa secentesca di San Vittorino (che ha preso il posto di una più antica, a sua volta innestatasi su quella di San Vittore), in parte sommersa dall’acqua: un’acqua che sgorga ora all’interno dell’edificio e che era ritenuta miracolosa un tempo dalle donne che volevano avere un figlio. Questo luogo così particolare ha incantato il regista Andrej Tarkovskij, che l’ha utilizzato come set per il suo film Nostalghia, girato in Italia nel 1983.
Nica FIORI Rieti 7 Agosto 2022