Leggere Caravaggio (parte II). I primi rapporti del giovane Caravaggio a Roma.

di Michele FRAZZI

Leggere Caravaggio

I primi rapporti  del giovane Caravaggio a Roma

Inizieremo il percorso di questo capitolo approfondendo i contenuti di una Accademia artistica i cui membri ebbero una importanza fondamentale per la fase iniziale della pittura del Caravaggio a Roma. Egli ebbe solidi rapporti con i più importanti membri romani di questa istituzione, che lo ospitarono nelle loro case, lo protessero, furono suoi amici, datori di lavoro, promotori, cantori della sua arte, e soprattutto suoi acquirenti. Questo accadde fin dalla realizzazione di quello che la maggior parte della critica considera il suo primo quadro romano: il Mondafrutto, un dipinto che fu acquistato proprio da colui che ricopriva la carica più importante  dell’ Accademia, ne era il Presidente o come si diceva all’epoca ne era il Principe: il canonico Cesare Crispolti. Approfondiremo dunque i rapporti che il Caravaggio ebbe con tutte le personalità che facevano parte della Accademia.

Inizieremo  cercando per primo di comprendere chi erano queste persone, quali erano gli scopi che si proponevano di raggiungere  attraverso la loro appartenenza a questo circolo e quale ambiente culturale e sociale venne a crearsi per opera loro

Gli  “Insensati”

L’ Accademia degli Insensati di cui abbiamo già incontrato alcuni membri nel corso capitolo precedente, fu una importante associazione di studiosi che venne fondata a Perugia nel 1561 (1 ), a questo circolo culturale appartennero molti rilevanti poeti, pittori, cardinali e uomini di potere. Essi non provenivano solo dal capoluogo umbro, ma venivano anche da diverse zone d’ Italia e molti erano originari di Roma, attirati in città per studiare legge dato che l’ateneo perugino era famoso per gli  studi di giurisprudenza ed in particolar modo nel campo  dell’utroque iure e cioè il diritto civile e canonico.

Per comprendere lo scopo di questo sodalizio pare opportuno fare riferimento alla loro impresa (Fig.1) , cioè a quel simbolo che sinteticamente li caratterizza e con il quale vogliono identificarsi, lo possiamo osservare nella Fig. 1, essa era costituita da uno stormo di gru che volano con un sasso appeso alle loro zampe. Questa raffigurazione deriva da uno degli Emblemi  di Andrea Alciato (Fig.2 ), che scrisse uno dei più   importanti trattati sul significato allegorico delle immagini (2).

Fig.1 Impresa degli Insensati, Vel cum pondere
Fig.2 Alciato, Emblema XV, Che l’huomo dee cosiderar quello, ch’egli ha operato, & quello c’ha lasciato d’operare

Nella cultura dell’epoca lo studio e la creazione dei linguaggi simbolici ebbe un ruolo rilevante ed era molto diffuso soprattutto nel contesto delle Accademie culturali, la sua storia si snoda in occidente attraverso alcuni testi-cardine che sinteticamente possono essere identificati con gli Hieroglyphica, commentati da Pietro Valeriano, comunemente detti Ieroglifici come li chiamava in volgare il Lomazzo, gli Eblemata di Andrea Alciato che vengono circa un secolo dopo ( 1531),  per passare poi alle Immagini degli dei di Vincenzo Cartari ( 1556) o alle le coeve Imprese di Paolo Giovio, per terminare infine con l’ Iconologia del Ripa (1593), che fu senza dubbio il più importante testo di questo genere nella seconda metà del ‘500; anche il Tasso, che pure fu un Insensato, ne scrisse uno: Il conte overo de l’imprese.

L’importanza del linguaggio simbolico ebbe importanti conseguenze anche sul secolo Barocco ad opera del Marino e del Tesauro, come scrive Fabio Giunta:

A lungo nel Novecento si è discusso della presunta ‘qualità’ della letteratura di Giovan Battista Marino, la svolta forse più incisiva per la sua fortuna critica avviene con gli studi di padre Giovanni Pozzi a partire dagli anni Cinquanta. È attraverso la ricognizione delle fonti di Marino e Tesauro che Pozzi riscopre il rinnovato linguaggio dell’emblematica e dell’impresistica che viene a costituire, a partire dal secondo Cinquecento, una sorta di teoria figurata dell’universo, dove la parola, nell’intelaiatura visibile e invisibile del cosmo che si esprime per cifre e geroglifici, diviene anche immagine. In particolare, il Pozzi ricompone quella compiuta tradizione nella quale l’emblema diventa lo strumento di un linguaggio figurato che riscopre nuove relazioni nell’universo, recuperando Valeriano, Ruscelli, Giovio, Aresi e soprattutto Tesauro” (3).

A questa corrente di pensiero così attenta alle immagini allegoriche appartenevano senz’altro anche i membri degli Insensati, infatti per essere ammessi tutti i membri dovevano creare la propria impresa con un motto esplicativo ed inoltre scegliere un soprannome accademico. Questo testimonia quanto fosse ben viva la sensibilità alla cultura delle immagini all’interno dell’Accademia e più in generale a Perugia, che fu la patria di Cesare Ripa, che era in ottimi rapporti con l’Accademia, a cui secondo alcuni autori egli stesso appartenne (4), nel suo libro la esalta chiamandola meraviglia del mondo, inoltre il Ripa fu stretto amico degli insensati Fulvio Mariottelli e Prospero Podiani che parteciparono alla stesura della sua Iconologia. Nel suo testo il Ripa fece frequentemente ricorso agli emblemi dell’Alciato di cui era un grande conoscitore e sotto questo aspetto la cultura perugina si apparenta fortemente con quella milanese che diede i natali all’Alciato stesso.

Il significato dell’emblema degli insensati lo si può  leggere nel manoscritto 1717 della Biblioteca  Augusta di Perugia:

Con questa impresa vogliono questi Insensati mostrare al mondo che, sì come queste grue, vel cum pondere, etiandio col peso di quei sassi, che tengono nei  piedi, volano in alto e si allontanano da terra; così essi, come che siano aggravati dal gravissimo peso de i sensi, i quali sono tanto gravi, che per lo più ci tirano alle cose basse, terrene, mortali e transitorie, cercano tuttavia da quelle allontanarsi e inalzarsi alla contemplatione delle cose alte, celesti, immortali ed eterne.

In altre parole gli insensati si prefiggono lo scopo, per mezzo dei loro studi, di liberarsi il più possibile dal peso del richiamo dei sensi, che è necessariamente indirizzato verso le cose mortali ed in questa maniera sperano di  innalzarsi verso la comprensione delle cose alte, celesti.

Nelle loro intenzioni, anche il nome: gli Insensati doveva avere un carattere emblematico e quindi avere  due significati, uno palese ed un secondo nascosto, in modo che il vero valore della parola non potesse essere compreso da tutti ma solamente da coloro a cui era stato spiegato. Questo è ben interpretato dalle parole di Lorenzo Sacchini che parafrasano il contenuto del manoscritto, nel quale si spiega  che il termine Insensati:

aveva una «doppia significatione, ciòè una in apparenza, nella scorza, e l’altra in sostanza nella medolla» (155r).

Se il primo significato, riservato «alle persone volgari» (155r<v), risulta finanche troppo ovvio (Insensato è colui «che o per infirmità di corpo abbia perso il conoscimento, […] o pure che di natura sia scemo di cervello»: (156v); il secondo valore della parola è ad appannaggio esclusivo degli «huomini dotti e intendenti» (155v). Definendo se stessi «Insensati», gli  accademici  in realtà intendevano dirsi ‘non sensati’, cioè liberi dagli «appetiti» e dai «sensi» che offuscano e combattono la «ragione».“(2).

E’ interessante anche notare che per spiegare il significato allegorico del loro nome, essi utilizzino l’analogia con il rapporto che esiste tra l’interno (la medolla) e l’esterno di un frutto (la scorza). Forse questo particolare modo di dire può essere stato ripreso da un passo della vita del più famoso santo umbro, San Francesco:

È la semplicità che in tutte le leggi divine lascia le tortuosità delle parole, gli ornamenti e gli orpelli, come pure le ostentazioni e le curiosità a chi vuole perdersi, e cerca non la scorza ma il midollo, non il guscio ma il nòcciolo, non molte cose ma il molto, il sommo e stabile Bene.”( Tommaso da Celano,Vita seconda di San Francesco d’Assisi). 

Possiamo intuire, fin da queste brevi note, come il cammino individuato dagli Insensati sia un cammino di perfezionamento che deve essere attuato per mezzo di studi che permettono di liberarsi dagli inganni e dalle lusinghe dei sensi e che alla fine porterà all’ottenimento della “Virtù” più ricercata, cioè quella celeste. I suoi membri lo dichiarano apertamente nella spiegazione della loro impresa :

Fra tutti i sentieri che alla virtù ci guidano, nessuno per mio avviso ce ne è che più agevole e più ispedito sia e che più dirittamente a quella ci conduchi, quanto lo studio delle belle lettere, al quale ora noi attendiamo” (5).

Che cosa sono le  Virtù celesti ? Dai loro scritti risulta chiaro che

Il cammino di perfezionamento etico degli Insensati era inquadrato in una dimensione schiettamente religiosa”,

questo fatto risulta chiaramente dimostrato nell’ammonimento che

non debbiamo amare le cose terrene e mortali, se non in quanto elle sono creature di Dio, e ciò facendo, amar sempre Iddio sopra tutte le cose.”(6);

cioè occorre liberarsi dal desiderio dei sensi e dedicarsi solo all’ascesa verso il divino, il che è una ripresa testuale di quanto e contenuto nella  Bibbia ( Lettera ai Romani 1,25:  poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen).

Il presupposto del loro percorso è quindi  la consapevolezza che non bisogna amare le creature, bensì il Creatore, attraverso il riconoscimento  della sua opera nella bellezza delle creature. Quello che inseguono è dunque un bene spirituale: si tratta della Grazia, come risulta chiaro dal filo che lega tutti i loro soprannomi accademici:

Questa [Gratia] è quella che fa ricordar gli Smemorati fa tornar in sé gli Astratti illumina i Ciechi fa udire i Sordi, dà mangiar a gli Affamati, insegna i Rozi rende il sonno a gli Svaniti ”(7).

Una volta chiarite le intenzioni ed il pensiero di fondo presente all’interno della Accademia si capisce con tutta evidenza quale fosse il tipo di legame che univa il Goselini con diversi suoi membri di rilievo, dato che il pensiero espresso dal milanese nelle Rime è molto simile al loro.

Il luogo fisico dell’accademia e la sua organizzazione costituiscono lo strumento ideale per consentire ai suoi membri di sostenersi l’un l’altro nel cammino verso l’obiettivo comune del miglioramento spirituale. Sul piano pratico questo avviene scambiandosi mutualmente le idee e i raggiungimenti ottenuti da ciascuno, quindi, a ragione essi si definiscono come delle stelle che disunite non fanno molta luce, ma che tutte insieme possono arrivare  ad illumunare il mondo (8). Lo scambio dei punti di vista fra i suoi componenti avveniva principalmente per mezzo di un dibattito, dato che l’ oralità aveva un posto preminente, le lezioni venivano tenute attraverso la “recitazione” di discorsi aventi un taglio oratorio,  che venivano chiamati per questo motivo orazioni ( 9).

Accanto alla forma di espressione orale vi era anche una forma scritta, che avveniva per lo più attraverso lo strumento dei manoscritti. Infatti molti dei suoi membri erano avversi alla pubblicazione, primo fra tutti lo era Cesare Crispolti, che ne fu il principe ed il fondamentale animatore a partire dal 1592 fino al 1608. Questo indirizzo si farà apertamente palese con la “Invettiva… recitata per dimostrare che non sia bene lo stampar le compositionii accademiche “ del 1597, introdotta dalla consenziente premessa del Crispolti (10). Questo fatto  privò la Accademia di una riconoscibile e forte immagine pubblica (11), dato che il suo pensiero, ma soprattutto l’evoluzione temporale dello stesso, non risulta perfettamente leggibile per la mancanza di opere a stampa che consentono di seguirne il cammino.

La conseguenza di questa prassi fu che molte delle loro opere vennero pubblicate postume dentro compendi, privandoci quindi della possibilità di una esatta valutazione della collocazione storica dei componimenti. Lo stesso problema, relativo ad  una corretta collocazione cronologica, si ripete per le opere che si sono conservate solo nella forma di manoscritti, anch’essi privi di datazione; immaginiamo poi quanti saranno andati perduti dato l’esiguo numero delle copie.

Insomma la corretta datazione delle opere degli Insensati e la loro consultazione risulta un esercizio  difficoltoso e per forza di cose lacunoso. Anche la preziosa testimonianza del loro statuto è andata perduta (12), però dai documenti rimasti gli studiosi sono riusciti a ricostruire una fisionomia delle idee di questo consesso abbastanza ben delineata, che abbiamo qui sinteticamente esposto.

L’importanza politica ed artistica degli Insensati.

Chi furono  i membri degli insensati ? Vi possiamo trovare in primo luogo i poeti: Gaspare Murtola, Filippo Lauri, Leandro Bovarini, Marcantonio Bonciari, Torquato Tasso, Battista Guarini, Filippo Massini, Filippo Alberti, Cesare Caporali, Sforza degli Oddi e poi Cesare Crispolti, Scipione Tolomei, Prospero Podiani (il fondatore della biblioteca Augusta di Perugia), Lucullo Baffi, il Cardinal legato di Perugia Bonifacio Bevilacqua Aldobrandini, il cardinale Ippolito Aldobrandini, il cardinale Silvestro Aldobrandini ed il marchese Ascanio II della Corgna (13).

Quest’ultimo merita un particolare riguardo perchè fu senza dubbio una personalità di spicco nella città umbra e fu anche tra i principali protettori degli Insensati (14) di cui ospitava le riunioni nel suo palazzo di Castiglione del Lago. Queste si tenevano in tre stanze segrete appositamente allestite  (15) e decorate con dei cicli di affreschi rappresentanti: i trasgressori puniti, il mondo alla rovescia e le metamorfosi, l’altra sede ufficiale delle riunioni fu invece la casa di Cesare Crispolti (16). Ascanio II aderì fin da giovanissimo al consesso dato che Aurelio Orsi (che morì nel 1591) gli dedicò una poesia ( Carmina pag. 129 ) ( 17 ) e la sua Orazione funebre venne tenuta nella Accademia.

All’elenco appena stilato dobbiamo aggiungere anche un ulteriore gruppo di membri che però risiedevano a Roma: Maffeo Barberini,  Melchiorre Crescenzi, il Cavalier D’Arpino, Paolo Mancini, Giovan Battista Marino, Cesare Nebbia, Federico Zuccari, il cardinale Emanuele Pio di Savoia (che fu uno di più importanti collezionisti di quadri del Caravaggio), i cardinali Aldobrandini  e soprattutto Aurelio Orsi, fratello del pittore Prospero.

Aurelio oltre ad essere un poeta di valore fu senza dubbio un importante personaggio del potere romano in quanto ricopriva la carica di segretario personale del Cardinal Farnese, oltre ad essere il maestro di Maffeo Barberini ed intrinseco di Papa Sisto V che gli fece assegnare una pensione. Molti dei membri più prestigiosi della accademia furono romani, questo accadde perché molte  famiglie  nobili di Roma vi mandarvano i loro figli a studiare. Le relazioni personali intessute fra gli affiliati (18) romani servirono poi di fondamento per le riunioni che in seguito cominciarono a tenersi autonomamente anche a Roma fra i membri locali degli Insensati.

Per comprendere con ancora maggiore ampiezza quale sia stata l’importanza e l’influenza della cultura perugina ed  in particolare quella legata agli studi dell’ateneo di legge nell’ambito del potere vaticano, dobbiamo tener conto che a parte il breve intermezzo di Gregorio XV durato tre anni: i papi che regnarono tra il 1593 ed il 1644  cioè per 50 anni furono tutti in qualche modo legati all’università di legge di Perugia, infatti Paolo V Borghese ( 1605-1621) e suo nipote Scipione avevano entrambi studiato legge a Perugia, papa Clemente VIII Aldobrandini che regnò dal 1593 al 1605 aveva studiato legge utroque iure ( diritto civile e canonico) all’università di Perugia ed anche a Padova dove era entrato nel circolo erudito di Gian Battista Pinelli, infine Maffeo Barberini divenne papa Urbano VIII (1621-1644).

Non deve sorprendere dunque se gli accademici perugini ebbero un ruolo culturale importante non solo durante il pontificato di Sisto V Peretti che era legato personalmente ad alcuni membri della Accademia, ma anche durante il papato Aldobrandini, dato che ben tre cardinali Aldobrandini appartennero a questa istituzione: Ippolito junior, Silvestro e Bonifacio Bevilacqua Aldobrandini, questi ultimi due oltre ad essere i protettori ufficiali dell’Accademia furono  anche i Cardinal Nepoti di Clemente VIII.

Questo fu ciò che accadde sotto il profilo del potere, l’Accademia però ebbe un ruolo determinante  anche per quanto riguarda la pittura infatti i suoi appartenenti: Nebbia ed Arpino furono i pittori preferiti  dai papi tra il 1585 e il 1605; se a questo fatto aggiungiamo l’importanza di un altro suo membro: Federico Zuccari, che fondò l’accademia di San Luca nel  1593, possiamo renderci conto che i tre pittori che appartennero agli Insensati furono anche quelli che dominarono la scena artistica romana tra il 1585 e gli inizi del ‘600, cioè fino a quando cominciò a sorgere il genio del Merisi.

Anche per l’aspetto che riguarda la cultura letteraria gli Insensati giocarono un ruolo determinante addirittura a livello europeo, infatti fra le loro fila vi furono i poeti più importanti dell’epoca, il Tasso, il Marino e Giovan Battista Guarini che dominarono il panorama letterario della prima metà del ‘600.

I rapporti degli Insensati con l’ambiente milanese e Caravaggino

Entrando ora più approfonditamente nel nostro discorso cercheremo di delineare un quadro più preciso di quale fosse la rete di conoscenze che ruotava attorno agli Insensati, facendo  particolare attenzione alle relazioni col mondo di provenienza del Caravaggio, il territorio milanese e le famiglie nobiliari che  dominarono il Marchesato di Caravaggio: gli Sforza, i Colonna, i Peretti.

Fig.3 Medaglia di Faustina Sforza di Santa Fiora Marchesa di Caravaggio

Gli Sforza di Caravaggio ebbero certamente relazioni rilevanti con il consesso, in primo luogo per il legame di parentela  che li univa  al loro Principe e protettore:  il marchese Ascanio II della Corgna,  che aveva sposato Francesca (II) Sforza di Santa Fiora, un ramo cadetto degli Sforza.

La zia di Francesca, (Fig.3) Faustina Sforza di Santa Fiora era stata la marchesa di Caravaggio, ed ebbe un ruolo rilevante sul marchesato bergamasco dato che il consorte Muzio I morì giovanissimo nel 1553 e  lei fu la reggente per 14 anni, fino a quando il figlio Francesco raggiunse la  maggiore età e cioè fino quando combinò le nozze con Costanza Colonna nel 1567, questo poi fu quasi un matrimonio in famiglia, dato che Costanza Colonna e Faustina Sforza Di Santa Fiora  erano parenti; infatti la sorella di Faustina: Francesca Sforza di Santa Fiora (I) era la nonna di Costanza Colonna, a questo si aggiunge che  anche la madre di Ascanio II della Corgna era una Colonna: Porzia Colonna di Zagarolo.

I rapporti tra i Peretti ed i Colonna sono una cosa piuttosto nota per gli studiosi di Caravaggio, infatti nel 1589 Felice Orsina Peretti sposò in prime nozze un nipote di Costanza Colonna,  ed in seconde nozze suo figlio: Muzio II Sforza  Marchese di Caravaggio, per cui le relazioni tra Costanza e Orsina dovettero essere buone fin dai tempi del primo matrimonio, dato che quando poi ci fu da scegliere la sposa per Muzio la scelta ricadde proprio su di lei. In sintesi, rapporti di parentela legavano gli Sforza di Caravaggio, i Colonna, i Peretti, gli Sforza di Santa Fiora e come vedremo più avanti anche il cardinale Francesco Maria del Monte.

Le trame famigliari appena esposte trovano un preciso riscontro oggettivo nella  letteratura prodotta dagli Insensati che appunto riflette i rapporti personali degli accademici con i membri di queste famiglie. Da questo punto di vista l’Accademia degli Insensati, l’ambiente dove si coltiva il dibattito e si sviluppano le connessioni tra le persone, rappresenta il luogo ideale per scandagliare i collegamenti ed i rapporti esistenti tra di esse: l’immagine che ne risulta è  senza dubbio uno specchio fedele ed oggettivo di tutta una serie di relazioni che altrimenti rimarrebbero nascoste alla nostra vista. Dopo aver parlato del protettore degli Insensati Ascanio della Corgna passiamo al cuore del discorso accademico e cioè all’analisi delle conoscenze personali dei più importanti poeti che ne facevano parte:

Aurelio Orsi

Aurelio nacque a Stabia in provincia di Viterbo tra il 1547 ed il 1557, territorio compreso nella giurisdizione ecclesiastica del cardinale Alessandro Farnese che provvide ai suoi studi superiori facendolo entrare nel 1569 al Seminario romano. Egli fu senza dubbio un personaggio importante nel contesto dei circoli del potere, ed uno degli uomini di cultura di maggior rilievo della seconda metà del ‘500 a Roma; dopo la morte di Annibal Caro divenne il segretario del potente Cardinale Alessandro Farnese, ottimo mecenate delle arti e per questo soprannominato il Gran Cardinale, del quale un altro importante uomo di cultura: Fulvio Orsini fu il bibliotecario (19), ma soprattutto Aurelio fu il maestro  di Maffeo Barberini (Papa Urbano VIII), il papa più influente dell’epoca barocca ed ambedue appartennero agli Insensati.

Fu un buon amico anche del papa  Sisto V, Felice Peretti  (Felice Orsina Peretti la moglie di Muzio Sforza II era sua nipote), a cui dedicò uno dei suoi componimenti più famosi, la “Perettina” per questo motivo il papa gli assegnò una pensione di 100 scudi l’anno; le relazioni tra Aurelio e  la  famiglia dei Peretti dovettero essere quindi e ottime (Treccani alla voce Aurelio Orsi). Fu un eccellente poeta in latino, purtroppo morto giovane ma molto apprezzato, il Marino gli dedicò una delle sue poesie de La Galeria. I suoi Carminum furono editi nel 1589  per i tipi di Viotti (a Parma) e ripubblicati postumi sotto gli auspici della Accademia degli Insensati.

In questa raccolta egli dedica alcune poesie a persone che evidentemente conosceva e stimava, la raccolta si apre con due poemi di Maffeo Barberini dedicati al suo maestro Aurelio, a cui fanno seguito altre due con lo stesso tema create da Melchiorre Crescenzi che apparteneva ad un’ altra delle famiglie più in vista di Roma: da questo risulta ovvio che questi due Insensati furono tra i più stretti amici  di Aurelio e  questi  saranno anche fra i due più convinti sostenitori e committenti del  Caravaggio nel suo primo momento romano.

L’Orsi dedicò le sue poesie anche a Marco Antonio ed Ascanio Colonna, il padre e il fratello di Costanza,  Alessandro ed Odoardo  Farnese, il Cavalier d’Arpino (pag.175),  a Melchiorre e suo padre Ottavio Crescenzi, a Maffeo Barberini, Francesca Sforza di Santa Fiora ed Ascanio della Cornia, a Marco Pio di Savoia, ed infine ve ne è anche una dedicata alla nobile famiglia romana dei Mattei, altri importanti committenti del Caravaggio. Il suo componimento descrive la bellissima vista di antichità romane che si gode dai giardini della loro villa Celimontana che sarà decorata dagli affreschi di suo fratello Prospero Orsi. Ma  soprattutto vi è un componimento celebrativo in morte del poeta milanese Giuliano Goselini dove  Aurelio si  rivolge direttamente alla vedova, a dimostrazione di quanto profondi fossero i loro rapporti.

IN OBITUM GOSELINI

Quae, Goseline, tuae te vis mala surripit Alba, / Et negat optatae coniugis ore frui? / Illa toro incumbens, tota te nocte requirit / Anxia per fletus, te petit illa die: / Contenta tuo superesse in carmine, vitam, / Quae fine te mors est, contribuisse cupit. / Si tamen egregius quid prosunt scripta poetis, / Ipse tuo vives carmine, et illa tuo.

A conti fatti le conoscenze di Aurelio: i Mattei, i Peretti, i Crescenzi, Maffeo Barberini, il Cavalier d’Arpino, i Colonna, ed infine i Vittrice, suoi parenti, furono tutti personaggi che giocarono un ruolo fondamentale sia nella vita del Merisi ma anche in quella di Prospero Orsi che lavorò per i Peretti, i Mattei e il Cavalier d’Arpino. Questo è un fatto di notevole rilevanza per il nostro discorso, poichè Prospero fu la persona che più di tutte rappresentò la chiave del successo del Caravaggio a Roma, Prospero lo aiutò fin dai primi anni romani e per tutta la sua permanenza nell’Urbe, tanto che all’epoca venne soprannominato il Turcimanno del Caravaggio, oggi diremmo il suo Manager. Passiamo ora alle opere di un altro accademico di sicuro  rilievo:

Filippo Massini

Massini nel 1599  pubblicò a Pavia un libro dal titolo “ Il Lucherino “ (un piccolo uccellino della famiglia dei fringuelli). Il testo è diviso in due parti, la prima è dedicata all‘Abate Ludovico Sforza, figlio di Costanza Colonna e fratello di Muzio, con cui il poeta dovette essere in rapporti molto stretti,  la seconda parte  invece è dedicata a Felice Orsina Peretti la moglie di Muzio Sforza .

Sappiamo che Massini  a partire dal 1596  si trasferì ed insegnò a Pavia, ma i suoi contatti con la città natale e con l’Accademia in realtà non terminarono mai, prova ne è che le sue Rime del 1609 furono edite per il tramite degli Insensati, ed  entrambe le sue mogli furono perugine, anche la seconda che sposò quando già risiedeva da tempo a Pavia (Treccani ad vocem ). Non sappiamo in quale occasione ebbe modo di incontrare questi componenti della famiglia Sforza-Peretti, ma considerando che viene citato l’abate Ludovico, l’incontro dovrebbe essere avvenuto in lombardia, tra il 1596, anno del suo trasferimento a Pavia, e il ’97, anno del trasferimento della coppia Sforza- Peretti a Roma.

La  permanenza di Felice Orsina nel territorio lombardo deve essere stata molto breve, non più del  tempo per consumare il matrimonio, infatti come riporta Marco Pupillo (20), nei capitoli matrimoniali, alla data del 10 settembre 1597, Muzio Sforza si impegnava a risiedere per almeno tre anni a Roma, appena dopo la consumazione dello stesso, per consentire alla moglie di accudire il bambino nato nel 1595 dal precedente matrimonio col  Colonna. Da ciò si deduce che la coppia risiedette stabilmente a Roma tra la fine del 1597 ed almeno  la fine del 1600 , e questa deve essere stata l’occasione per Muzio di rivedere il suo coetaneo Merisi, come suggerito da Pupillo.

Il figlio di Orsina Peretti era Marcantonio IV Colonna signore di Paliano, e dunque la coppia Sforza-Peretti molto probabilmente in questi tre anni risiedette a Paliano o a palazzo Colonna a Roma, dove risiedeva Marzio Colonna che era anche un tutore del bambino; dunque, come avanzato da Pupillo, è piuttosto logico comprendere il motivo per cui il Mancini scrisse che Marzio Colonna ed il Caravaggio si conoscevano molto bene. Che il Merisi frequentasse Muzio Sforza era un fatto del tutto naturale date le solide relazione che esistevano fra Muzio ed i Merisi, sua zia Margherita era stata la balia di Muzio, e la sorella del Caravaggio Caterina fu la balia dei figli di Muzio(21).

Le  Rime del Massini furono stampate nel 1609  sotto l’egida degli Insensati, che composero la prefazione dedicatoria, il testo è un  compendio di più di 20 anni di componimenti poetici (22). In particolare all’interno di quelle pagine possiamo leggere una poesia dedicata a Muzio Sforza II Marchese di Caravaggio (pag.221), con il quale evidentemente era in buoni rapporti: ricordiamo che anche il marchese fu un poeta, di ambito petrarchesco come  gli Insensati. Le altre personalità menzionate nelle rime furono : Girolamo Preti, la principessa Orsina Peretti Sforza Marchesa di Caravaggio ( pag.220 ), il Papa Clemente VIII Aldobrandini ( pag.216), il poeta Marco Antonio Bonciari, l’attrice Isabella Andreini, il Tasso, il Marino, Federico Zuccari (pag.29), Cesare Nebbia (pag. 30), ed infine Pirro Visconti ( pag. 226 ),  il protettore-mecenate degli Accademici Rabisch  e il proprietario della villa ninfeo di Lainate ( realizzata all’incirca fra il 1585 e 1589 )( 23), che viene descritta minuziosamente  in un altro suo componimento ( pag.222). Nella poetica del Massini il vino ed Anacreonte hanno un posto di rilievo fin dall’inizio della sua attività, come ci conferma Aurelio Orsi che nei suoi Carminum dell’89 ci dice che già all’epoca il perugino stava  lavorando ad un libro di poesie sul vino.

Il proseguio dell’analisi ci conduce ora ad un altro esponente  di sicuro rilievo degli Insensati:

Filippo Alberti

La sua raccolta di Rime fu stampata nel 1602, ma la premessa  dedicatoria  di Cesare Crispolti è del 1600,  e fu proprio quest’ultimo a raccoglierle pazientemente durante gli anni con il proposito di pubblicarle, si tratta dunque anche in questo caso di un compendio antologico. Tra le sue poesie troviamo le dediche a Paolo Mancini ( fondatore dell’Accademia degli Humoristi) ( pag. 33), al Tasso, a Papa Clemente VIII Aldobrandini, Papa Sisto V ( Felice Peretti ) (pag. 47), Ascanio della Corgna ed a sua moglie Francesca Sforza di Santa Fiora, a Lucullo Baffo ( Baffi), al Bonciari, Cesare Caporali, ed anche al poeta greco Anacreonte ed infine a  Giuliano Goselini.

La  raccolta mette in luce la conoscenza diretta anche di altre personalità milanesi, infatti vi è una poesia dedicata ad una donna amata dal nobile Giovan Giacomo Resta ed un’altra  dedicata al pittore Figino allievo del Lomazzo. L’Alberti dunque ebbe rapporti  piuttosto solidi con l’ambiente culturale milanese, il tramite per queste conoscenze fu molto probabilmente proprio Giuliano Goselini, il poeta che egli considerava come suo maestro ed il cui influsso si riflette nella sua poetica. L’Alberti lo conobbe in giovinezza sicuramente prima della sua morte avvenuta nel 1587, infatti gli dedicò una lirica: De la vostra dolcezza effetti sono Le rime mie…., alla quale ricevette una risposta: A le gratie di lei… (24) ed infine gli dedicò la commemorativa:

Nel sepolcro del sig. Giuliano Goselini…

Udite o Meraviglia / O miracol altiero: / Posteri, udite, e trovi fede il vero /… Pianse l’ALBA dolente il suo Titone / Dal celeste suo Balcone

Paiono a questo punto piuttosto chiare le relazioni  esistenti tra l’ambiente degli Insensati e quello del circolo culturale milanese legato ai Rabisch, per il tramite dell’Alberti, del Massini, del Guarini, di Aurelio Orsi, del Goselini, di Pirro Visconti del Caporali ed anche di Muzio Sforza che ebbe contatti con entrambe queste due Accademie.

Al di là delle relazioni di amicizia personale, le relazioni fra questi due ambienti furono facilitate dalla condivisione di alcuni temi di ricerca come l’elevazione spirituale nel caso del Goselini, e dall’interesse per le tematiche della poesia anacreontica o per il vino, un tema caratteristico sia della l’Accademia dei Rabisch che degli Insensati: Alberti, Massini e Leandro Bovarini. E’ utile a questo punto osservare che i temi principali della poesia anacreontica: la Musica, Bacco, il Vino e l’ Amore furono anche i soggetti scelti dal Caravaggio per i suoi primi dipinti.

I poeti perugini di cui abbiamo parlato furono  tra i protagonisti della fase accademica degli ultimi decenni del’500 e che si inoltra solo di qualche anno in più rispetto allo scadere del secolo. A questi poeti va aggiunto anche un altro allievo di Aurelio Orsi: Maffeo Barberini ( papa Urbano VIII), anch’egli dedicò un poema proprio ad Anacreonte, ma non tratteremo ora il suo pensiero, infatti data la sua importanza nel panorama romano e soprattutto dati i suoi rapporti col Caravaggio sarà oggetto di un apposito paragrafo a parte. Mi pare alla fine che questo resoconto sia in grado di far comprendere quanto fossero solide le relazioni tra l’ Accademia degli Insensati e le famiglie Sforza, Colonna e Peretti,  cioè fondamentalmente le tre componenti del marchesato di Caravaggio, e di quanto fossero altrettanto solide le relazioni che legavano alcuni membri degli Insensati con l’ambiente culturale milanese dei Rabisch.

L’arrivo del Caravaggio  in città

Mancini scrive che dopo il fatto di sangue probabilmente commesso a Milano il Caravaggio passò un anno  in carcere mentre, dal canto suo Bellori ci riferisce che per questi fatti se ne andò da Milano e raggiunse Venezia, dopodichè  in una data imprecisata egli giunse a Roma. Secondo il Mancini (l’unico a tramandarci questa notizia), egli fu in un primo momento ospitato da Pandolfo Pucci un beneficiato di San Pietro proveniente da Recanati che risiedeva in una casa a Borgo Novo nella zona del Vaticano: il primo quesito che sorge spontaneo è dunque rivolto a comprendere come sia nato il rapporto col Pucci.

Un punto fermo di cui siamo a conoscenza è che il religioso era legato alla famiglia Peretti dato che nell’autunno del 1588 entrò al servizio della sorella di Sisto V: Camilla, un incarico che lasciò alla fine del 1591, le buone relazioni tra il monsignore ed i Peretti continuarono di certo anche dopo l’uscita dal servizio di Camilla, infatti  nel 1604 i Peretti, marchigiani come lui, lo nominarono arciprete di Loreto (23). In questo periodo conobbe di sicuro bene i tre nipoti di Camilla, sia Felice Orsina (futura moglie di Muzio Sforza di Caravaggio) che Michele Peretti in favore dei quale stipulò un atto di donazione nel ’91 che anche Alessandro Peretti (il cardinal Montalto). Infatti il Pucci al seguito di Camilla dimorò nella residenza del Cardinal Montalto a partire dal giugno del ’90 presumibilmente fino alla fine del suo servizio nel ’91(23). In quell’anno andò poi ad abitare nella sua casa di Borgo che aveva acquistato nel gennaio del ’90: un ulteriore fatto di cui tenere conto è che nel ’91 il Cardinal Montalto iniziò a servirsi con costanza del pittore Prospero Orsi, il fratello di Aurelio.

Sappiamo poi che Pucci era in rapporti anche con i Colonna presso i quali dimorò sempre al seguito di Camilla negli anni 1588-89; riassumendo: Pucci conosceva bene i Peretti, i Colonna e probabilmente nel ‘91 ebbe modo di incontrare anche Prospero Orsi.

Un ulteriore fatto degno di rilievo ai fini del nostro discorso è che il Pucci nella stessa epoca di Caravaggio diede ospitalità ad un altro pittore, Giovan Giacomo Pandolfi (24), un collaboratore dell’ insensato Federico Zuccari, che  lo utilizzò per le commitenze papali (1588-89)  e forse anche per il cantiere della decorazione della villa Peretti Montalto, all’epoca in cui il Pucci era già maestro di casa di Camilla.

Massimo Moretti avanza l’idea di un possibile legame tra la permanenza del Pandolfi in casa del Pucci in virtù del rapporto che il Pucci dovette avere con lo Zuccari durante le decorazioni effettuate a casa Peretti Montalto, dove la committente era Camilla Peretti. Lo studioso avanza inoltre anche l’ipotesi che Pandolfi dovette avere dei rapporti con il circolo degli Insensati

Il filo rosso che lega Pandolfi, Perugia e l’ambiente culturale degli insensati con la casa romana del Pucci trova una conferma possibile nei rapporti che Federico Zuccari, con cui Giovanni Giacomo viveva in familiarità nel 1589, ebbe con il sodalizio accademico perugino al quale fu affiliato qualche anno prima con il nome di Desioso e poi di Sonnacchioso. Pandolfi dovette dunque avere un legame almeno indiretto con l’ambiente degli insensati di Perugia. “(24).

Bisogna ulteriormente osservare che esiste un legame molto solido tra i Pandolfi, la città di Perugia ed i protettori degli Insensati, la famiglia Della Corgna, che furono suoi committenenti, infatti suo padre Giovanni Antonio Pandolfi si trasferì in questa città dal 1573 fino alla sua morte nel 1580 per dare seguito alle numerose commissioni che stava ricevendo. Egli divenne un pittore di riferimento per i Della Corgna,  sia del Cardinale  Fulvio, che gli fece decorare il Duomo, che di suo fratello Diomede, che fu marchese fino al 1596, il quale invece gli fece affrescare la sala dell’Eneide nel palazzo dove si riunivano gli Insensati e cioè quello di Castiglione del Lago.

Giovan Giacomo  dunque passò la sua fanciullezza proprio a Perugia e fu avviato alla carriera dal padre, divenendo probabilmente collaboratore di Federico  Zuccari favorito dalla conoscenza paterna. Questo circuito di relazioni che gravitavano attorno agli Insensati dunque potrebbe aver portato il Pandolfi a casa del Pucci, un fatto che potrebbe essersi ripetuto anche nel caso del Caravaggio.

Cristina Terzaghi individua ragionevolmente l’intermediario per il rapporto tra il Pucci e Caravaggio nel pittore Prospero Orsi  (25)  che in effetti che potrebbe aver conosciuto il Pucci durante i lavori eseguiti in casa Montalto, come ha suggerito anche Gabriela Habich (26), e dunque potrebbe essere stato proprio lui a trovare al Caravaggio l’alloggio presso il Pucci, un tipo di  preoccupazione  che del resto Prospero ripetè successivamente diverse volte nei confronti dell’amico, sia quando lo ospitò a casa sua, sia quando gli trovò la sistemazione presso Fantino Petrignani, sia quando lo sistemò a Casa del Cardinal Del Monte, come ci dice nella sua biografia Gaspare Celio, e probabilmente avvenne la stessa cosa anche per quanto riguarda i Mattei.

Per inquadrare meglio la figura di Prosperino noi sappiamo che era in ottimi rapporti col pittore Cesare Nebbia, con il Cavalier d’Arpino e quasi sicuramente anche con l’allievo di suo fratello: il cardinale Maffeo Barberini che abitava vicino a lui; tutte queste persone facevano parte degli Insensati. Inoltre Prospero era certamente un protetto della famiglia Peretti, come ci dice il Baglione:

Orsi,  il quale fu romano, e negli anni di Sisto V, in tutti i lavori di quel sommo pontefice dipinse “, (Giovanni Baglione, Le Vite , alla voce Prospero Orsi).

Questo probabilmente avvenne ancora per i buoni rapporti del fratello Aurelio con Papa Sisto V.  Le ottime relazioni con la famiglia del resto continuarono anche dopo la morte di Aurelio avvenuta nel ’91; infatti tra quella data ed il ’97 il cardinal Montalto gli fece eseguire diversi lavori (27), così come anche dopo la morte del fratello continuarono i rapporti con i membri degli Insensati, come avvenne nel caso dell’Arpino.

Cesare Nebbia assieme al Guerra furono i principali gestori delle équipes di pittori che si occuparono delle committenze vaticane sotto il papato di  Felice Peretti, e realizzarono anche le decorazioni della villa Peretti-Montalto, alle quali collaborò anche Federico Zuccari. Prospero Orsi  lavorò sotto la direzione di Nebbia negli gli affreschi eseguiti per la biblioteca vaticana e il palazzo laterano (1587-90 ), dove, come abbiamo visto, lavorò anche Giovan Giacomo Pandolfi e dunque Prospero potrebbe in quella occasione averlo anche conosciuto. Nel ’96 le sue relazioni con gli appartenenti agli Insensati sono ancora ottime dato che lo troviamo impiegato nella  bottega del cavalier d’Arpino che durante il pontificato Aldobrandini assunse il ruolo egemone di pittore del Papa al posto del Nebbia.

Per riassumere alcune notizie, un punto fermo che unisce il primo ospite del Caravaggio Il Pucci e l’Orsi è il fatto che entrambi furono legati ai Peretti; un altro punto saldo è la certezza delle ottime relazioni dei Peretti con gli appartenenti alla accademia degli Insensati, infatti a Zuccari ed a Guerra affidarono le loro commissioni pittoriche, Prospero Orsi lavorava nella equipe di Guerra mentre Pandolfi che fu l’altro pittore ospitato dal Pucci collaborava con Federico Zuccari. Prospero successivamente si trasferì nella bottega di un altro importante pittore accademico, il Cavalier d’Arpino, al cui servizio entrò appunto anche il Caravaggio, che tra l’altro era amico anche di Federico Zuccari.

I rapporti con i membri degli insensati sono dunque un fattore che  accomuna questi tre pittori:  Pandolfi, Orsi e il primo Caravaggio.

Gli appartenenti agli Insensati come abbiamo visto esercitarono un ruolo egemonico sulla pittura romana, appare ovvio dunque che entrare in relazioni con questo circolo fosse un’ ottima strada per avere successo nell’Urbe. Entrare in rapporti con gli Insensati per un pittore era dunque un obiettivo decisamente appetibile ed importante da perseguire e  fu un percorso di carriera che  non mancò di interessare anche Prospero Orsi, che nei fatti passò dalla bottega del Nebbia a quella dell’Arpino, probabilmente proprio in virtù delle relazioni dell’Insensato Aurelio. Questa accademia tra l’altro aveva importanti relazioni anche con l’ambiente milanese da cui proveniva il Caravaggio e come vedremo fra poco i suoi esponenti ebbero un ruolo determinante per i primi tempi del pittore a Roma, gli Insensati furono dunque un circolo culturale fondamentale per la carriera artistica del Merisi.

I rapporti tra il  Caravaggio e i membri dell’Accademia degli Insensati

 Entriamo ora nel cuore del discorso e cerchiamo di verificare la consistenza delle relazioni tra il Caravaggio e gli Insensati attraverso fatti documentati. A questo riguardo, possiamo rilevare in primo luogo che il primo o uno dei primi quadri realizzati a Roma dal Caravaggio: il Mondafrutto fu acquistato da Cesare Crispolti che era il Principe degli Insensati e che tra l’altro non era nemmeno residente romano ma perugino, un fatto che a pensarci bene non può che risultare quantomeno singolare e testimonia la relazione diretta che il Caravaggio aveva con l’Accademia perugina.

Fig.4 Ritratto di Maffeo Barberini, Collezione privata, Firenze

Una seconda importante considerazione riguarda il fatto che il Caravaggio entrò in rapporti anche con Maffeo Barberini che fu il personaggio più di rilievo ed anche il baricentro aggregativo dell’attività degli Insensati romani, le cui riunioni si iniziarono a tenere sotto la sua egida e proprio nel suo palazzo in via dei Giubbonari  (28). Il Caravaggio fece per Maffeo alcuni ritratti come si legge nei testi del Bellori: ”Al cardinale Maffeo Barberini, che fu poi Urbano VIII sommo pontefice, oltre il ritratto, fece…” e del Mancini relative al primissimo periodo di Caravaggio a Roma:  “Fece ritratti per Barbarino” , di questi  ci rimane quello conservato a Firenze ritenuto unanimamente autografo ( 124×90 cm. ) ( Fig. 4) che Stefania Macioce (2003), identifica con quello elencato senza l’autore in un inventario di Maffeo Barberini del 1623: Un ritratto del S.C. Barber.o quando era chierico di Cam.a cò cornice nere.

Oltre a questa testimonianza esiste poi una ulteriore citazione per un dipinto del Caravaggio che corrisponde all’immagine del dipinto, si tratta dell’inventario Borghese del 1693 che questa volta cita anche l’autore:

Accanto a deto un quadro in tela di 5 palmi con un ritratto di un Prelato a sedere con una Carta in mano del N. 522 con Cornice dorata di Michelangelo Caravaggi,
Fig.5 Ritratto di Maffeo Barberini

che va verosimilmente individuato con il quadro oggi in collezione privata a Firenze che proviene dal mercato antiquario romano, nello specifico dall’antiquario Jandolo.

Un altro ritratto di Maffeo è sempre conservato a Firenze presso i Corsini ( 121×95 cm.) (Fig.5) , si tratta di un dipinto che Lionello Venturi, Voss, Marangoni, Friedlander, Mahon, Moir, Papi, Petrucci, Mina Gregori, e Christiansen  ritengono autografo e databile agli anni 1595-97.

Oltre ai ritratti Maffeo commissionò al Caravaggio, il più tardo Sacrificio di Isacco (  1604) (Fig. 6) che ora  è conservato al museo degli Uffizi, il pittore dunque riuscì a vendere i suoi quadri non solo al principe degli Insensati ma anche al leader della cerchia romana della Accademia: Maffeo Barberini e questo è  un fatto importante, da tenere in considerazione.

Fig.6 Il Sacrificio di Isacco, Uffizi, Firenze

Gli altri residenti romani appartenenti a questo consesso furono il Cavalier d’Arpino,  Melchiorre Crescenzi, Giovan Battista Marino, Gaspare Murtola, Aurelio Orsi, e il cardinale Emanuele Pio di Savoia, che evidentemente ne formavano la “sezione locale”. Ora se riflettiamo sopra i nomi che compongono questo gruppo, arriveremo ad una significativa ulteriore conclusione: infatti, a parte Aurelio Orsi che morì nel ’91, tutte queste persone, furono amici, collezionisti, oppure giocarono un ruolo  rilevante nella carriera di Caravaggio ed anche questo non può essere un caso.

Ai nomi appena fatti vanno aggiunti quelli di due pittori Insensati: Cesare Nebbia che dopo la morte di Sisto V perse potere, tanto che dopo il 1600 probabilmente se ne andò da Roma (Cfr. Dizionario biografico Treccani ad vocem) e Federico Zuccari, che sappiamo dalle parole stesse di Caravaggio fu un suo amico. Per quanto riguarda l’ultimo importante pittore appartenente agli Insensati, il Cavalier d’Arpino, la sua bottega fu una delle prime prime frequentate dal Caravaggio e dall’inventario della sua collezione redatto durante il sequestro Borghese, sappiamo che Arpino possedeva: Il Mondafrutto, il Ragazzo con una canestra di frutta ed il Bacchino malato.

Durante il periodo passato presso l’Arpino il Caravaggio eseguì anche  il ritratto di suo fratello, Bernardino Cesari che pure lavorava nella bottega, e che probabilmente gli era più affine per temperamento (29). Anche Giovan Battista Marino fu un suo stretto amico ed appassionato sostenitore oltre che acquirente, il poeta gli dedicò alcune poesie e il Caravaggio  gli fece un ritratto; è il  Marino stesso a descriverlo in un componimento de La Galeria, il dipinto inoltre è anche elencato negli inventari Crescenzi ( 29 ). Sempre per il poeta egli fece anche una dispersa Susanna ed i vecchioni, che il Marino cita in una lettera del 1620 indirizzata a Padre Agostino Berti (29). Sappiamo poi che il Caravaggio lavorò anche per l’altro importante Insensato: Melchiorre Crescenzi di cui eseguì il ritratto (29) oltre a quello dei suoi parenti Crescenzio e Virgilio, quest’ultimo morì nel 1592, quindi come ipotizza Sybille Ebert-Shifferer molto probabilmente fu un ritratto postumo (30).

Per quanto riguarda l’arco temporale in cui si devono situare i loro rapporti col Caravaggio abbiamo una  notizia a riguardo che ci viene data dal Bellori. Lo storico ci dice che fu il Marino, ospite presso il loro palazzo, a convincere Virgilio Crescenzi ad affidare al Cavalier d’Arpino gli affreschi della Cappella Contarelli ed al Caravaggio le tele. Ora noi sappiamo che Virgilio Crescenzi, che effettivamente era titolare della  esecuzione della Cappella Contarelli, morì nel 1592 e che la commissione delle tele a Caravaggio non fu fatta da Virgilio ma da Pietro Paolo, e fu ufficializzata il 23 luglio del 1599 (31) e per quello che ne sappiamo ad oggi la presenza del Marino a Roma è ascrivibile a date posteriori al 1599. Ci sono diversi fatti dunque che mettono in dubbio la veridicità del racconto, appare invece decisamente più attendibile il Celio che ci dice che fu Prospero Orsi a convincere il Del Monte ad intercedere per il Caravaggio.

Come sostiene Ebert Shifferer Melchiorre Crescenzi entrò in contatto col Merisi in date molto precoci per mezzo di Prospero Orsi o di Maffeo Barberini o di Pucci:

”…Melchiorre, quest’ultimo figura determinante nel contesto che stiamo delineando. Il suo ritratto ci è noto non solo perche ne parla Bellori, ma anche per il fatto che dopo la morte dell’effigiato Giambattista Marino compose alcuni versi in lode dal quadro, che vennero pubblicati molti anni dopo la loro composizione assieme ad altre poesie riguardanti opere di Merisi. Poeta dilettante, Melchiorre occupava una posizione centrale nella vita letteraria di Roma: nel 1589 partecipò allo scambio letterario tra Maffeo Barberini e il suo mentore Aurelio Orsi (nei Carmina pubblicati nello stesso anno, si trovano alcuni panegirici in lode di Melchiorre e suo padre) ed ebbe contatti con Marino già prima che questi approdasse a Roma nel 1599 e prendesse alloggio nel suo palazzo. Sembra quindi probabile che Prospero Orsi o Maffeo Barberini avesse messo in contatto Merisi con Melchiorre e la sua cerchia, o che addirittura a farlo possa essere stato il succitato Pucci che nel 1589 aveva posto la sua firma come testimone in un contratto stipulato da Melchiorre. Marino e Caravaggio divennero presto amici (verosimilmente grazie all’intervento di Melchiorre)…” (CFr. Amici e nemici: la rete sociale di Caravaggio).

Come ulteriormente nello stesso saggio argomenta  la studiosa, il Caravaggio non fu un pittore di ritratti, egli li realizzava invece per scopi utilitaristici:

il fatto che i ritratti di sua mano siano riconducibili prevalentemente a nomi della sua cerchia personale  ricordati dalle fonti, fa supporre che egli realizzasse questo tipo di opere in prevalenza come doni da distribuire alla sua cerchia, quale ringraziamento per qualche favore o per creare una rete di relazioni, oppure ancora nel caso in cui l’importanza del committente rendeva difficile il rifiuto” ( 30 ).

Alla luce di questa considerazione tenendo conto che il Caravaggio  fece i ritratti di Bernardino Cesari, Melchiorre Crescenzi, Maffeo Barberini e Giovan Battista Marino, pare piuttosto chiaro la sua volontà di accedere alla importante rete di amicizie degli Insensati.

Per quanto riguarda infine il poeta Insensato Murtola, noi sappiamo che nel 1603 pubblicò delle poesie  per celebrare i dipinti di Caravaggio, in particolare si ricordano quella dedicata alla Medusa (32), quella dedicata alla Buona ventura ( 32) e per un perduto “Amore” ( 32 ), tutti dipinti degli esordi del Pittore.

A questo punto,  pare evidente che dovettero esistere relazioni molto solide tra il Caravaggio e gli esponenti romani degli Insensati, dato che li conobbe praticamente tutti. A questi  fatti occorre aggiungere che Alessandro Vittrice, il primo proprietario di suoi tre quadri giovanili: la Buona Ventura conservata a Parigi, della Fuga in Egitto e della Madddalena Doria Pamphilji, aveva sposato la sorella dell’insensato Aurelio Orsi e di  Prospero. Prosperino fu il più convinto promotore e fattivo sostenitore della pittura caravaggesca e senza dubbio fu di fondamentale importanza per il successo del pittore,  le fonti storiche sono tutte concordi su questo, il Baglione lo chiama addirittura il “turcimanno del Caravaggio” cioè il sensale.

Prospero era un pittore romano specializzato nella esecuzione delle Grottesche e per tale ragione veniva soprannominato Prosperino delle Grottesche, ma faceva anche il rivenditore di quadri di altri pittori, ed in questo senso fu un appoggio ideale per il Caravaggio che era poco conosciuto a Roma ed il suo aiuto risultò determinante.

Infine Per quanto riguarda l’Insensato Emanuele Pio di Savoia, egli fu uno di più importanti collezionisti del Caravaggio, possedette il San Giovanni Battista e la Buona Ventura che acquistò dal Cardinal Del Monte ed ora sono conservati alla Galleria Capitolina.

In sintesi e per concludere, il principe degli Insensati Cesare  Crispolti fu un cliente del Caravaggio, così come lo furono ed entrarono in stretti rapporti con lui tutti gli affiliati romani di questo circolo culturale. Del resto la forte connessione   che doveva esistere tra il circolo degli Insensati ed il Caravaggio fu intuita anche da Spezzaferro:

– è indubbio che i cosiddetti quadri giovanili di Merisi furono acquistati soprattutto da alcuni personaggi quali quelli che facevano capo all’Accademia degli Insensati di Perugia” (33)

Le prime notizie  di Caravaggio a Roma

Il Caravaggio non fu molto contento e non rimase molto tempo a casa  del Pucci, che oltre a nutrirlo di sola insalata gli faceva fare “servitii non convenienti all’esser suo”, cioè lo trattava come se fosse un suo servo; il pittore realizzò per lui alcune copie di quadri di devozione (che il Pucci poi portò  a Recanati) probabilmente per ricompensarlo della sua ospitalità dato che era “poco provisto di denari”, quindi dopo alcuni mesi se ne andò, trovando rifugio presso un’osteria. Al contrario di quanto riferito dal Mancini che è l’unico a parlarci del Pucci, tutti gli altri biografi, Celio, Baglione ed anche Bellori (nelle sue note al testo di Baglione) fanno iniziare la sua permanenza a Roma a partire dal periodo in cui lavorò per il pittore siciliano Lorenzo Carli (34).

A ben vedere però le due cose non sono in contraddizione, infatti Mancini nel suo breve resoconto descrive solo l’elenco delle residenza romane del pittore citandole in sequenza (35), senza parlare delle botteghe presso cui lavorava, mentre gli altri storici invece si concentrarono su queste. I differenti  racconti quindi non sono in disaccordo, elencano solamente fatti differenti, dovrebbe poi anche far riflettere il fatto che durante il periodo trascorso a casa del Pucci egli realizzò per il suo ospite delle copie di dipinti di devozione, cioè esattamente quel genere di dipinti che si realizzavano nella bottega del Carli; potrebbe dunque essere che il Caravaggio lavorasse presso il Carli non solo successivamente alla residenza dal Pucci ma anche contemporaneamente, come appunto propone Francesca Curti (36).

Ad ogni modo la prima attività lavorativa di Caravaggio nell’Urbe fu veramente di basso livello, bisogna proprio dire che cercò di adattarsi, infatti la sua prima occupazione fu presso i pittori che lavoravano nella contrada della Scrofa, che usualmente erano soliti realizzare opere dozzinali, qui si trovava la bottega di Lorenzo Carli, dove il Caravaggio veniva pagato a cottimo, sappiamo anche quale era il suo salario, faceva tre teste al giorno per la cifra di un grosso l’una.  Secondo quanto riporta lo storico messinese Susinno, quando Caravaggio lavorava con Lorenzo Carli fece amicizia con il pittore siciliano Mario Minniti ed insieme a questo uscì dalla bottega del Carli ed affittarono anche un alloggio insieme. Dopo il Carli il Caravaggio trovò da impiegarsi presso la bottega di un altro pittore di copie e capocce: Antiveduto Grammatica, che aveva la bottega sempre in via della Scrofa, in quest’area della città dunque si situano gli esordi pittorici del Merisi a Roma.

I documenti storici ci aiutano a collocare temporalmente il periodo di cui stiamo parlando, il primo documento che testimonia la presenza del Caravaggio a Roma è del 11 luglio 1597. Si tratta della testimonianza del garzone di origini milanesi Pietropaolo Pellegrini che ad un processo testimonia che il Merisi era presente a Roma almeno a partire dalla Pasqua del 1596, cioè all’incirca da marzo di quell’anno e che a quell’epoca lavorava per il pittore siciliano Lorenzo Carli, morto poi   durante la quaresima del ’97. La sera dell’8 luglio aveva cenato assieme a Prospero Orsi e a Costantino Spada, un mercante di dipinti che incontreremo ancora nella vita del pittore, la cena si era svolta all’osteria della Lupa vicino a via della Scrofa. Quella stessa sera il Caravaggio  aveva raccolto e aveva consegnato al Pellegrini il mantello perso da Angelo Zanconi, un musico che era stato aggredito da ignoti quella notte. Il pittore nel luglio del ‘97 era già al servizio ed abitava nel palazzo del Cardinal Del Monte, mentre prospero Orsi abitava nelle adiacenze del palazzo di Maffeo Barberini in via dei Giubbonari.

Chiarita la data in cui Caravaggio era sicuramente a bottega dal pittore siciliano e considerando che Mancini ci dice che la permanenza a casa del Pucci fu di alcuni mesi si può desumere che la sua prima residenza nella città di Roma di cui abbiamo sicura conoscenza si deve situare nel secondo semestre del 1595. La successiva  notizia documentale che testimonia la presenza del pittore a Roma riguarda la sua partecipazione alla funzione religiosa delle quarant’ore di adorazione. Questo era un’evento a cui partecipavano di regola sia i pittori appartenenti ai Virtuosi del Pantheon che gli accademici di San Luca, che a coppie assistevano alla adorazione del Santissimo Sacramento, in quella occasione Caravaggio fece coppia con Prospero Orsi.

In quell’anno fu Federico Zuccari  ad inaugurare  l’evento che iniziò il giorno di San Luca: il 18 ottobre del 1597 e proprio in quell’anno l’altro insensato Cesare Nebbia fu il principe della Accademia di San Luca (37). A questa partecipazione non ne seguirono altre e dato che Caravaggio non apparteneva a nessuna delle due congregazioni organizzatrici, la sua partecipazione va dunque probabilmente inquadrata nell’ambito del tentativo di inserirsi all’interno del circuito artistico romano e probabilmente non è un caso che Nebbia e Zuccari avessero un ruolo importante proprio quell’anno; questo va ad ulteriore conferma dei suoi tentativi di entrare in rapporti diretti con i due importanti Insensati, probabilmente per il tramite dell’amico Prospero Orsi.

Un’ultima considerazione riguarda il fatto che  le prime due testimonianze certe di Caravaggio nell’Urbe sono del 1597 e che da questo momento in poi la sua presenza a Roma è documentata con assoluta continuità tutti gli anni, attraverso documenti ufficiali.

Michele FRAZZI  Parma 24 DSettembre 2023