Leggere Caravaggio (VI); significati e simboli nei dipinti a carattere musicale. Con uno sguardo sulla cultura musicale dell’epoca.

di Michele FRAZZI

Leggere Caravaggio

I Dipinti a soggetto musicale

L’importanza della musica nella cultura del periodo

I dipinti a soggetto musicale aprono un capitolo rilevante della pittura di Caravaggio dato che almeno quattro delle sue opere giovanili si inquadrano in questo contesto. La particolare attenzione verso il tema è dovuta al fatto che nel ‘600 la cultura musicale avrà un grandissimo sviluppo in seguito all’introduzione di un genere nuovo a cui sarà garantito un successo duraturo: il melodramma. Questo tipo di musica che ancora adesso noi ammiriamo come uno dei simboli della cultura italiana ebbe i suoi natali proprio in seno al Barocco. Data l’importanza di questo fatto e considerando che i proprietari dei dipinti furono due collezionisti: il cardinal del Monte ed il marchese Giustiniani, entrambi  fini conoscitori di musica e persone dotate di una cultura molto raffinata, vale la pena spendere due parole per inquadrare anche  da questo punto di vista l’atmosfera culturale che si respirava in quel tempo. Credo infatti sia importante per poter godere appieno delle opere d’arte inserirle nel clima intellettuale che le ha generate e tenere conto di questo mentre le si ammira. Il valore connaturato a questi capolavori ha sicuramente una portata  più ampia e diversificata rispetto alle considerazioni che riguardano semplicemente l’immagine dipinta; le arti visive in fondo sono solo l’aspetto più tangibile e duraturo di un movimento culturale più complesso.

In aggiunta a questo dobbiamo tenere conto che la ricerca artistica soprattutto in questo periodo aveva imboccato una direzione che ricercava la sintesi delle varie espressioni artistiche. Mi pare opportuno dunque fare uno sforzo per cercare di entrare nel clima culturale che ha generato i dipinti e che inevitabilmente li permea, in modo da poterli meglio comprendere e godere a tutto tondo delle varie sfaccettature della loro bellezza. Per questo motivo è consigliabile per chi voglia gustare pienamente le opere del pittore, leggere le poesie ed ascoltare la musiche che sono collegate al dipinto, in modo da avvicinarsi il più possibile al pensiero dell’artista nel  momento in cui l’ha create. Teniamo conto che i cardinali o i nobili dell’epoca si dedicavano proprio a questi diletti e passavano le loro giornate  più piacevoli in compagnia di altri amici leggendo poesie, discutendo di filosofia, di musica, di pittura.

Questo tipo di ricerca culturale  prevedeva l’ interazione tra le arti: tra la poesia, il teatro, la musica, e la pittura; questa sensibilità  fu caratteristica di quell’ quell’epoca e si diffuse in Italia tra la fine del ‘500 e gli inizi del ‘600, come testimoniano le ricerche di Marco Corradini su questo tema (61). Questa attitudine è il frutto del tentativo di raggiungere un risultato la cui portata a noi così temporalmente distanti è sfuggita, ma che rappresenta invece una dimensione molto rilevante e del tutto necessaria per comprendere le manifestazioni artistiche del periodo, come Elena Tamburini e Gerardo Guccini hanno ben puntualizzato.

Lavin nei suoi studi su Bernini ha dedicato molta attenzione a questa tendenza chiarendo gli aspetti che riguardano l’unità delle arti visive ricercata dalla geniale creatività di quello che si può definire il più grande artista del Barocco, che tra l’altro si applicò anche al teatro scrivendo commedie. Lo studioso non si è limitato a questo ma ha affrontato anche il tema dell’interdipendenza che esiste tra la musica e la scena dei teatri, fornendo diversi esempi di quanto a quell’epoca si fosse attenti a questo aspetto e di come fu affrontato e migliorato ( 62). L’ interazione tra Poesia e Musica  venne teorizzata da Francesco Patrizi, un intellettuale di spicco nell’ambiente romano, che nella sua Poetica del 1586, pone particolarmente in risalto il canto citaredo, l’antico canto monodico dei rimatori greci, laddove il poeta  accompagna i suoi versi con una cetra, da cui il termine citarista.

Nella stessa epoca, anzi probabilmente ancor prima, a Firenze alla corte dei Medici, iniziarono i primi esperimenti e lo sviluppo del “recitar cantando” ( sintesi paritetica di recitazione e canto)  incentrato sulla tradizione del canto monodico ( ad una  sola voce) che poi si svilupperà definitivamente nel melodramma, il genere musicale che nascerà tra Firenze e Roma.

Il primo a teorizzare l’idea del melodramma ed a utilizzare questa parola fu Vincenzo Galilei il padre di Galileo che nel suo Dialogo della musica antica e moderna del 1581 fonda il principio della teoria degli affetti e cioè che la musica deve accompagnare ed assecondare i sentimenti espressi nel testo per mezzo di  una singola voce, questo per restituire la dignità alla parola recitata e un corretto valore al suo significato, un aspetto che la musica rinascimentale polifonica tendeva ad  eclissare privilegiando invece il lato melodico. In questo testo, che sancì una vera e propria rivoluzione in ambito musicale, per sviluppare il suo indirizzo a carattere monodico, Galilei si servì degli esempi del  musico greco antico Mesomede di cui pubblicò per la prima volta i Tre Inni (63).

E’ interessante notare che se da una parte la ricerca nel campo musicale stava approfondendo gli studi sul poeta greco Mesomede vissuto in epoca adrianea, parallelamente su un altro fronte, e cioè nell’ambito della ricerca poetica, si stava sviluppando nei circoli letterari  un uguale interesse per gli esempi di un altro citaredo greco: Anacreonte. Il gruppo fiorentino  di uomini di cultura che diedero luogo al melodramma furono chiamati Camerata de’ Bardi, cui appartennero sia Galilei che Me. Il circolo si avvaleva di apporti di artisti appartenenti a diversi generi, musicisti, attori, cantanti, poeti e letterati; fra questi  si distinsero per il loro ruolo fondamentale alcune personalità: Lorenzo Giacomini, Giovan Battista Strozzi il Giovane, Gabriello Chiabrera, Ottavio Rinuccini e Battista Guarini ( 64), uomini di cultura che aderirono poi  alla Accademia romana degli Humoristi, a parte il Giacomini per ragioni anagrafiche.

Battista Guarini a quell’epoca faceva ancora parte degli Insensati ed ai nostri fini è interessante notare come in una sua lettera del 1589 indirizzata a Giovanni de’ Bardi lo prega di salutare il Cardinal Del Monte che ben conosceva e serviva personalmente ( 65 ). Alla Camerata appartennero anche artisti come Andrea Boscoli e Bernardo Buontalenti che si distinsero nella creazione delle scene teatrali; ci rimane una testimonianza visiva dei loro lavori attraverso due stampe di Agostino Carracci ( 1589-92), create  su loro disegno, che raffigurano l’Armonia delle sfere ed Apollo e Pitone (66).

Si tratta di due lavori teatrali realizzati in occasione delle nozze (1589) tra l’ex cardinale Ferdinando de’ Medici, protettore del cardinal Del Monte, e Cristina di Lorena; in questa occasione per intrattenere gli ospiti vennero rappresentate delle commedie, la Compagnia dei Gelosi rappresentò La Zingara e La Pazzia, a queste si aggiunse poi La Pellegrina di Scipione Bargagli. I 6 intermezzi musicali che vennero in quell’occasione composti sancirono anche l’affermazione dei componenti della Camerata de’ Bardi e del loro progetto sul melodramma. Probabilmente non a caso dunque vennero scelti da Agostino questi due temi per le sue stampe dato che documentano proprio quegli  intermezzi con cui esordì pubblicamente il tema del melodramma. La prima di queste, l ‘Armonia delle sfere, mostra la  scenografia del primo Intermezzo, mentre l’Apollo  quella del terzo ed è proprio in quest’ultimo lavoro che emergono con maggior chiarezza gli indirizzi del  canto monodico proposti dalla Camerata (67).

A Firenze successivamente questo tipo di ricerca giunse a completa maturazione, e finalmente nel gennaio del 1599 venne rappresentato il primo melodramma profano la Dafne  di Jacopo Peri; la messa in scena vide la presenza di poche scelte persone tra cui il cardinal Del Monte e il cardinal Montalto ( 68 ). A questa opera fece seguito nel 1600 l’Euridice musicata dal Peri su testo di Ottavio Rinuccini.

A Roma sempre nell’anno 1600 durante il carnevale si celebrò la nascita del primo melodramma a sfondo sacro, L’Anima e corpo di Emilio Cavalieri, il quale, come il Rinuccini e il Peri, apparteneva alla Camerata fiorentina de’ Bardi.  Emilio era figlio di Tommaso de’ Cavalieri il grande amico di Michelangelo e l’atmosfera culturale di tipo neoplatonico assorbita dal padre si ritrova nel libretto. Nell’ Anima e Corpo assistiamo ad una scelta fondamentale: al protagonismo degli attori sulla scena si affianca con pari dignità la abilità nel canto, e soprattutto si afferma l’importanza del  testo letterario e del suo significato morale; questo fu un tangibile esempio di quella interazione paritetica delle arti di cui abbiamo appena parlato e di cui si vedono i riflessi anche nei quadri del Caravaggio.

Il tema dell’opera riguarda gli allettamenti della carne, del mondo, in questo caso il piacere e i sensi sono  identificati come i principali responsabile dei traviamenti dell’uomo:

O qual felicità saria di tutti, se da i sensi si alzassero dove è l’intelletto! E qui vedessero che non ricchezze, non piacere, non  onore contenta il core in questa vita, ma solo il bene, ch’appresso a dio si trova: e scoprissero, ch’il tempo fugge a un batter d’occhi: e col vero consiglio apprendessero, che questa poca luce di vita in un momento tramonta: ch’il corpo co ‘ i sensi suoi sollecita ad  ogn’ora l’anima all’amor del fango.”.

Emilio de’ Cavalieri nella sua introduzione chiamata gli‘Avvertimenti’  specifica precisamente che il mondo e la vita mondana debbono essere abbigliati in maniera molto ricca, ma che una volta spogliati mostreranno la loro verità nascosta e cioè“gran povertà e bruttezza”; si ripete dunque anche in questo caso l’ammonimento ad abbandonare il mondo dei sensi e i loro inganni.

E’ opportuno tener presente che esisteva un  rapporto di stretta amicizia tra il cardinal Del Monte ed Emilio de’ Cavalieri che era spesso ospite del suo palazzo, il legame e la stima erano tali che il musicista nel suo testamento indicherà proprio il cardinale come suo esecutore testamentario. Il Del Monte era un amante ed un mecenate della musica e teneva a servizio nel suo palazzo dei  famosi cantanti tra cui Pedro Montoya. La musica e le rappresentazioni teatrali  erano una parte importante della vita degli uomini di cultura dell’epoca, si tratta di divertimenti a cui essi non potevano rinunciare ed a cui dedicavano giornate intere spese in compagnia di altri intellettuali dediti a queste occupazioni.

Si distinguevano particolarmente in queste attività, il cardinale Pietro Aldobrandini, il cardinal Montalto, il marchese Vincenzo Giustiniani, il duca Virginio Orsini ed ovviamente il cardinal Del Monte; quest’ultimo e Vincenzo Giustiniani oltre ad essere  i più importanti collezionisti del Caravaggio furono non a caso i propietari dei dipinti realizzati dal pittore aventi per tema la musica, che adesso ci accingiamo ad analizzare ( 69). 

Il Suonatore di liuto – (Allegoria dell’ Udito ?)   

Fig. 16 Caravaggio, Il Suonatore di liuto, Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo.

Secondo  il biografo Gaspare Celio, il primo quadro realizzato dal Merisi dopo il periodo dall’Arpino fu “un putto che sonava un leuto”, eseguito quando stava  a casa dell’amico Prospero Orsi.

Gli inventari dei suoi collezionisti riportano almeno tre note di dipinti di Caravaggio dedicati a questo soggetto: l’inventario Giustiniani del 1638 che descrive il quadro dell’ Hermitage (90×119 cm.) (Fig. 16), l’inventario del Cardinal Del Monte del 1627, che si riferisce invece al dipinto ex Metropolitan, e l’inventario di Alessandro Vittrice dove nel 1650 viene elencato

un  quadro grande di una donna vestita da Diana che sona il Cimbalo cornice arabescata mano del Caravaggio” (70 ).

Non sappiamo se il dipinto Giustiniani sia quello eseguito in casa di Prospero Orsi, ma possiamo affermare invece con certezza che questo fu dipinto prima dell’esemplare Del Monte come evidenziato dagli studi di Keith Christiansen ( 71 ).

Nella nostra analisi dunque partiremo dal dipinto conservato all’ Hermitage, che era di proprietà dei Giustiniani. Le fonti iconografiche più probabili per la creazione dell’ immagine devono con tutta probabilità essere individuate negli esempi delle suonatrici di liuto dipinte dal suo maestro Simone Peterzano. Un elemento speciale però si fa notare fin da subito, quando si osserva attentamente l’opera si vede che il liuto ha una corda rotta, un fatto che si ripete anche nell’esemplare Del Monte e nel Concerto di alcuni giovani, così come pure nel violino suonato dall’Angelo nella Fuga in Egitto ed anche negli strumenti a corda dell‘Amor vincitore, cioè in tutti i dipinti contenenti strumenti musicali realizzati da Caravaggio, e questo ovviamente non può essere un caso, piuttosto deve avere un valore simbolico ben preciso.

La spiegazione di questa scelta è ricondicibile ad una leggenda in cui si racconta che il musicista  greco antico Eunomio durante una gara di abilità musicale ruppe una corda, e mentre la partita per lui sembrava persa una cicala mandata da Apollo prese il posto della corda mancante e si mise a suonare magistralmente la melodia. Eunomio vinse la gara e da allora la cicala divenne il simbolo della  eccellenza musicale e della vittoria di Apollo protettore della musica. Tanto questa storia, quanto il valore simbolico della corda rotta e della cicala erano ben conosciuti nel circolo degli Insensati, al puntoi che il poeta Filippo Alberti dedicò a questi simboli una poesia delle sue Rime dove si celebra questa leggenda riprendendo dichiaratamente un componimento più antico, ancora una volta creato dal poeta greco Anacreonte:

La cicala ad imitazione di Annacreonte

 O te sempre beata, / Cicala mia, che sovra un faggio, e un’orno / A si lieto soggiorno / Canti tua dolce libertade amata

….

Ben mi sovvien; vola benigna, e pia  / Anco a la çetra mia , /E’l suo difetto co’l tuo canto adempi.

Dirò poscia come  / In picciol corpo ha si grand’ alma infusa  / O pargoletta Musa,  / Qual fallo è’l / tuo c’hai di Cicala il nome / Ma con qual aurea penna  / Far potrò mai tante tue lodi conte?  / Hai di rubini in fronte   Fregio regal, che te regina accenna.


Grata a Parnaso, e cara  / A Febo fe: s’altri la cetra il dono / Hebbe da Lui, tu il suono  / Di voce havesti si canora, e chiara.

La garrulletta, e vaga Rondinella  / Tu sovra i verdi rami  / Empi di gioia il Mondo,

La Cicala e le sue doti musicali rivestono un ruolo particolare nella poetica di Anacreonte, si tratta di una delle sue immagini simboliche più caratteristiche che come riporta l’Alberti, il poeta greco celebra in questa poesia:

Sopra la cicala

Cicala felicissima,/ Cantar vogl’io di te: / Beato altri non v’è / Tu bevi pria la brina, / E sola in cima agli alberi / Come regina — poi / Spieghi i tuoi canti. / Tuoi del terreno ov’abiti / I dolci frutti son, / Tuo quanto ogni stagion / Produce amica / Dei rozzi agricoltori / Tu pur sei la delizia, / Che non divori — mai / La lor fatica. / Qual Vate ancor ti venera, / Chi da te apprende e sa / Che teco tornerà / L’està cocente.

Cara alle Muse, e cara / Sei pure al biondo Apolline, / Che a te la rara — diè / Voce stridente. / Maestra sei de’ cantici, / Figlia del verde suol, / Cui non apporta duol / L’età senile. / Te non affliggon mali, / In te sangue non circola, / E agl’immortali — sei / Numi simile.

A ulteriore dimostrazione del fatto che il valore simbolico della corda rotta era conosciuto a quell’epoca ritroviamo questo simbolo sia nell’Iconologia del Ripa che negli Emblemata dell’Alciato dove nell’immagine dell’emblema si vede appunto una cicala appoggiata sopra la corda rotta del liuto ( Fig.17).

Che la Musica è amata dagli Iddii

Fig. 17 Emblemata, Alciato

L’arguta Cetra col nemico a prova
Sonava Elpino;e mentre al suono è intento,
Di saventura inusitata e nova
Ruppe una corda, onde fini il concento.
Ma in quel difetto una Cicala giova,
Ch’a la corda suppli con dolce accento.
Ond’ei di bronzo una Cicala dona.
A Phebo, accio di lei sia la corona.

 

In conclusione la corda rotta nei dipinti del Caravaggio sta  ad indicare la massima abilità possibile nel campo musicale.

Nel dipinto sono raffigurati precisamente  gli spartiti della musica che si sta suonando e le parole del canto poetico che la accompagnano; il loro significato suggerisce il tema trattato, un particolare che accomuna tutti i dipinti del Caravaggio aventi per soggetto la musica.

Data la loro precisione e verosimiglianza si è riusciti a decifrare gli spartiti ed a risalire ai loro autori, in questo caso si tratta di 4 madrigali  del compositore cinquecentesco: Jacob Arcadelt che fu anche cantore della cappella papale. Queste composizioni sono tratte dal suo Primo libro de’ madrigali a quattro voci, pubblicato nel 1539 (72 ), un testo che fu poi ristampato anche a Perugia dal Petrucci nel 1603, Petrucci fu anche l’editore  degli Insensati Massini e Bonciari. Ecco  i testi che accompagnano le melodie del dipinto:

Chi potrà dir / Chi potrà dir quanta dolcezza prova / Di madonn’ amirar la luce altera / Che fa / vergogn’a la celeste sfera? / Io non, che ‘n me non trovo / Lo stil ch’a lei s’aviene / Che mirand’il / bel volto e i bei costumi / Per non veder men bene / Vorria perder’a un hor la vit’e i lumi

Se la dura durezza
Se la dura durezza / In la mia donna dura, / Ahi! dura sorte mia, se durar deggio, / Amor la sua bellezza / Che’ se per sempre veggio / Chiudermi ‘l passo di pietà, qual sia ( Pena / ch’aguagl’in part’a questa mia? / Ma serà ben assai lieta mia sorte, / Se per si gran bellezza giungo a morte

Voi sapete
Voi sapete ch’io v’amo, anzi v’adoro / Ma non sapete già che per voi moro / Chè se certo il sapeste / Forse di me qualche pietate avreste / Ma se per mia ventura / Talhor ponete cura / Qual stratio fa di me l’ardente foco / Consumar mi vedret’a poco a poco

Vostra fui
Vostra fui e sarò mentre ch’io viva / Faccia ‘l ciel ciò che vuole / Il viver mio così da voi deriva / Come derivar suole / Ogni ben ch’è fra noi dal chiaro sole / Dunque credete ch’io / Non vi posi nè mai porrò in oblio
(73)

Di queste composizioni poetiche non conosciamo con esattezza l’autore però possiamo dire con certezza che il secondo verso trae ispirazione da un madrigale che fu creato dal poeta Luigi Cassola Se la durezza in la mia donna dura . La prima edizione dei  Madrigali del Cassola è stata pubblicata nel 1544 (data posteriore alla pubblicazione della musica di Arcadelt), si tratta di un compendio ed è l’unico libro che egli diede alle stampe, il  componimento da cui si trae l’ ispirazione è il n.ro 266:

Se la dura durezza / In voi madonna dura, / Ahi dura vita mia; / Se durar deggio Amor vostra bellezza: / Che quanto v’amo più, tanto più indura / Quella durezza in voi: / Non spero io quel, che già sperar solia. / Ahi fiero mio destino, ahi sorte ria / Quanto del ciel mi doglio, se tra noi / Son destinato star del mio corpo privo / Amando in forma umana un sasso vivo

Si può osservare che solo la prima parte è identica a quella messa in musica da Arcadelt, successivamente il poema si sviluppa in maniera differente.

Sullo spartito del dipinto  si legge persino l’inizio del verso successivo, quello relativo al terzo componimento: Voi sapete ch’ io v’ amo anzi v’ adoro; anche questo  verso proviene da uno dei poemi creati da Luigi Cassola e dunque probabilmente anche il terzo madrigale trae ispirazione dalle sue composizioni, si tratta del  madrigale n.ro 285:

Donna, s’il veder voi già mi fu tolto /Non fu tolta la voglia, / Che ebbi sempre in amar chi me non ama: / Ne per fuggir da me sia il nodo sciolto; / Anzi la ingorda brama /Alhor più cresce, quando ho maggio doglia / Che son io come al vento foglia: / e voler voglio quel,  che voi volete:

Ch’io v’amo : anzi v’adoro, e nol credete.

Un verso molto simile compare anche in una poesia delle Rime di Giuliano Goselini,: V’adoro, non pur v’amo (pag. 99) ed è spiegabile col fatto che il figlio di Cassola, Iacopo, faceva parte della corte del cardinale Guido Ascanio Sforza di Santa Fiora (nipote di papa Paolo III Farnese) dove fu educato Giuliano Goselini: è dunque possibile che in quel frangente il milanese sia entrato in contatto con le poesie del Cassola.

Le pene d’amore sono il tema principale di questi componimenti poetici, da questo punto di vista dunque il Suonatore di liuto riprende gli stessi argomenti che il Caravaggio aveva trattato nei suoi primi tre quadri, quelli dedicati alla serie dei sensi: l’amante anela alla bellezza ed al favore dell’amata fino ad annientarsi nel desiderio di questa, arrivando perfino a desiderare la morte, come leggiamo nei madrigali di Arcadelt.

Ma l’amore come la musica è transitorio l’innamoramento presto passa e non lascia traccia; entrambi l’amore e la musica sono piaceri effimeri come tutti quelli dei sensi. Infatti puntualmente sul tavolo di fronte al suonatore troviamo di nuovo quei frutti che abbiamo già visto nei suoi primi quadri, e che rappresentano il piacere dei sensi; di fianco è posta un brocca d’acqua con dei fiori che invece allude alla possibilità di rinascita dello spirito: solo rifiutando i piaceri sensuali che portano alla morte si può rinascere, rifiorire, questo dunque è il tema allegorico di fondo del dipinto.

fig 17 bis Emblema del Sordo

Anche in questo caso si tratta di un paradigma che ritorna all’interno della cultura degli insensati, e precisamente nell’emblema di uno dei suoi membri: Rubino Salvucci, il cui soprannome accademico era il Sordo. Nel suo simbolo si vede  un serpente che si tura gli orecchi ed il suo motto è “non trovo altro schermo che mi scampi”, volendo con questo significare che egli preferisce turarsi le orecchie e privarsi del senso dell’udito piuttosto che cedere al suo richiamo infatti:

Così il Sordo, «che per l’aspide si rappresenta, per non divenir preda del senso e del piacere sensuale, serra l’orecchia alle lor lusinghe», dando così dimostrazione di voler rimanere Insensato” (74 ).
Fig. 18 Saedeler, L’udito, incisione

Appare dunque probabile che nel dipinto ci sia un richiamo proprio al senso dell’udito  seguendo la descrizione che ne dà il Ripa: Udito- Donna che suoni il leuto, una ulteriore riprova di questa possibilità  la troviamo in una stampa di Saedeler tratta da un dipinto de Vos ( Fig, 18), dove per rappresentare il senso dell’Udito si raffigura  donna che suona il liuto; questa rappresentazione serve in maniera generalizzata a rappresentare l’udito e si trova in molte altre serie di stampe fiamminghe dedicate ai 5 sensi come quelle di Collaert, o di Cort, si tratta dunque di un topos molto diffuso.

Nella corrispondente incisione di  Saenredam-Goltzius ( Fig.19) vediamo invece una donna che suona il clavicembalo, la stampa contiene un avvertimento morale molto simile a quello del Sordo: non bisogna prestare ascolto alle sirene, esse sono capaci di ferire con il fascino del loro dolce canto, Ne patulas blandi prebae syrenibus aures, quae dulci cantus saepe lepore nocent.

Fig. 19 Saenredam-Goltzius l’Udito, incisione

 Il suonatore di liuto Del Monte – Allegoria della musica

Fig. 20 Il suonatore di liuto, olio su tela, Collezione privata

Dopo essere entrato a servizio in casa del cardinal Del Monte il pittore iniziò ad eseguire dipinti su richiesta del suo protettore, fu per lui che realizzò una seconda versione del suonatore di liuto. Il Cardinale era un appassionato e profondo conoscitore di musica e in questo campo ricoprì importanti incarichi istituzionali a Roma, nel 1594 venne venne incaricato di dirigere la Congregazione per la riforma del Canto fermo e nel 1622 divenne protettore ufficiale della Congregazione dei Musici (75). Gli studi di Christiansen hanno dimostrato che questa versione (100×126 cm.) (Fig.20) è stata derivata dalla prima; la radiografia del dipinto mostra che in un primo momento nell’angolo a sinistra c’era della frutta come quella che vediamo nella prima versione che fu successivamente cancellata e sostituita con la spinettina appoggiata sul tavolo, inoltre rispetto alla prima versione sono stati aggiunti degli ulteriori elementi: un flauto ed un tappeto in luogo del piano di marmo; il pittore in aggiunta ha  introdotto alcune piccole modifiche nell’ abbigliamento del suonatore e soprattutto ha posizionato in alto a sinistra una gabbietta con l’uccellino, verosimilmente un cardellino, che ha un valore importante.

L’introduzione nuovi elementi  aggiuntivi rispetto alla versione precedente fa virare il significato del dipinto con maggior decisione verso, lAllegoria della musica descritta dal Ripa. Così  il perugino infatti descrive le caratteristiche di questa figura :

“Donna con una vesta tutta piena di diversi stromenti, e diverse cartelle, nelle quali siano segnate le note, e tutti i tempi di esse. In capo terrà una Mano Musicale, acconciata tra i capelli, e in mano una viola da gamba od altro istromento musicale.“.

A parte il fatto che l’effigiato è un ragazzo e non una donna, gli altri elementi sono presenti: i diversi strumenti musicali, gli spartiti, e uno strumento musicale in mano

Il Bellori descrive  il dipinto come “una donna in camicia che suona il liuto con le note avanti”; l’identificazione del personaggio con una donna avvenne forse proprio per il suo carattere di allegoria della musica. Gli altri elementi che sono inclusi nel dipinto: il cardellino (animale famoso per le sue qualità canore)  e la corda rotta del suonatore sono anch’essi simboli della Allegoria della Musica che il Ripa utilizza in una differente immagine simbolica: Musica,

DONNA, che suoni la Cetra, la quale habbia una corda rotta, e in luogo della corda vi sia una Cicala. In capo habbia un Rusignolo, uccello notissimo, a’ piedi un gran vaso di Vino, e una Lira co’l suo arco. La Cicala posta sopra la cetra significa la Musica, per un caso avvenuto d’un certo Eunomio, al  quale, sonando un giorno a concorrenza con Aristosseno Musico, nel più dolce del sonare si ruppe una Corda, e subito sopra quella Cetra andò volando una Cicala, la quale co’l suo canto soppliva al mancamento della Corda; così fù vincitore della concorrenza Musicale, Eunomio, per benefizio della Cicala, e in memoria di tal fatto i Greci drizzarono una statua al detto Eunomio con una Cetra, con la Cicala sopra, e la presero per Hieroglifico della Musica. Il Rusignolo era simbolo della Musica per la varia, soave, e dilettevole melodia della voce, perché avertirono gli antichi nella voce di questo uccello tutta la perfetta scienza della Musica, cioè la voce hora grave, e hora acuta, con tutte le altre, che si osservano per dilettare…Il Rusignolo era simbolo della Musica per la varia, soave, e dilettevole melodia della voce, perché avertirono gli antichi nella voce di questo uccello tutta la perfetta scienza della Musica, cioè la voce hora grave, e hora acuta, con tutte le altre, che si osservano per dilettare .
Fig. 21 Antiveduto Gramatica, Allegoria della Musica

Insomma tutti gli elementi presenti nel dipinto: il suonatore di liuto, i diversi strumenti musicali,  il cardellino, la corda rotta e gli spartiti sono gli elementi caratteristici della  allegoria della musica secondo la descrizione del Ripa e a ulteriore conferma di questa valenza simbolica si tratta degli stessi particolari che si vedono rappresentati nella Allegoria della musica di Antiveduto Gramatica  (Fig.21).

Nel dipinto caravaggesco per fortuna questo soggetto viene interpretato dal Caravaggio in modo libero, altrimenti ci troveremmo davanti un quadro che riprende didascalicamente la descrizione del perugino .

Per quanto riguarda il valore simbolico dell’uccellino in gabbia Giacomo Berra ha ampiamente approfondito il tema sia dal punto di vista iconografico che letterario in un suo saggio dal titolo Il «musico Augellin» rinchiuso in gabbia nel Suonatore di liuto del Caravaggio (76).   

Nel suo testo l’autore ripropone anche un’ idea di Enrico Maria Del Pozzolo ed Alexandra Ziane che facendo riferimento anche ai versi del testo musicale che accompagna il dipinto hanno avanzato l’idea di assimilare l’uccellino in gabbia all’amante prigioniero.  A questo proposito essi hanno fatto riferimento ad una poesia delle Rime ( 1598) di Battista Guarini che fu uno dei più importanti letterati della sua epoca, e come ora noi sappiamo  era anche un Insensato:

Avventuroso augello

O come se’ gentile, 7 caro augellino! O quanto 7 è ‘l mio stato amoroso al tuo simìle! Tu prigion, / io prigion; tu canti, io canto, / tu canti per colei / che t’ha legato, e io canto per lei. / Ma in / questo è differente / la mia sorte dolente: / che giova pur a te l’esser canoro. / Vivi cantando, e io cantando moro.

Per approfondire ulteriormente il discorso è particolarmente interessante tener nota anche della proposta di Barbara Russano Hanning ( 77 ) che identifica una relazione che lega il suonatore e il cardellino, infatti insieme essi formano il contrapposto tra la musica derivante dall’arte umana ( artificiale ) e la musica naturale dell’uccellino, un’idea che riprende una struttura allegorica che abbiamo già visto nell’allegoria dell’Odorato del Ripa dove si rappresentano i profumi artificiali e quelli naturali.

Questo tipo di relazione trova una ulteriore conferma nel canto VII° dell’Adone del Marino, dove il poeta, anch’ egli appartenente agli Insensati, descrive una gara canora tra un rosignolo e un suonatore di liuto. Il Marino riprende l’idea dai versi iniziali di un poema che fu fondamentale per il ‘500 ed i secoli a seguire, l’Arcadia (1502) di Jacopo Sannazzaro, un testo che fu l’ iniziatore di un genere molto apprezzato e tenuto in particolare considerazione dagli Insensati (78). Anche per questa immagine esiste però un significato più profondo e nascosto che ci viene svelato da un altro  appartenente all’Accademia che conosceva benissimo il Caravaggio: si tratta di Maffeo Barberini, per il quale l’uccellino in gabbia  è il simbolo l’uomo prigioniero dei sensi, come spiega in un suo poema dal titolo Con la similitudine dell’ uccello in gabbia si dimostra lo stato pericoloso dell’ anima, che non si scioglie da terreni affetti. Il dipinto letto in questa chiave assume allora  il carattere di un ammonimento generale nei confronti di tutto il mondo dei sensi.

Gli spartiti presenti nel dipinto del Caravaggio  sono stati precisamente identificati: il brano musicale è stato composto sulle parole di un sonetto del Petrarca da Jaquet de Berchem un musicista franco fiammingo che ha passato lunga parte della sua vita in Italia ed è morto a Monopoli; ecco il testo dei due madrigali (79)

Sonetto XI di Francesco Petrarca

Lassare il velo o per sole o per ombra, / donna, non vi vid’io / poi che in me conosceste il gran desio / ch’ogni altra voglia d’entr’al cor mi sgombra. / Mentr’io portava i be’ pensier’ celati, / ch’ànno la mente desïando morta, / vidivi di pietate ornare il volto; / ma poi ch’Amor di me vi fece accorta, / fuor i biondi capelli allor velati, / et l’amoroso sguardo in sé raccolto. / Quel ch’i’ piú desïava in voi m’è tolto: / sí mi governa il velo / che per mia morte, et al caldo et al gielo, / de’ be’ vostr’occhi il dolce lume adombra.

Perchè non date voi

Fig.22 Simone Peterzano, Allegoria della musica

perchè non date voi, / Donna crudele fede a tanti sospiri / E perchè siete tanto acerba e dura, / Che del’altrui martiri, godete? / Ahi lasso e del’altrui martiri godete? / Ahi lasso e del’altrui querele, / Non conoscete voi che morte fura / Del corpo infermo / Ogni spirito vitale, secondo che di me dar / Vi posso io dare del mio soverchio ardore.

Come accade anche nell’altra versione il  dipinto tratta delle pene d’amore di un innamorato deluso, un tema di cui abbiamo già parlato nel corso dell’analisi dell’altra versione.  Dal punto di vista iconografico invece ancora si deve far riferimento alla  Allegoria della musica  (Fig.22) del suo maestro Simone Peterzano che alla immagine della sensuale suonatrice di liuto ritratta a seno nudo aggiunge anche un amorino che regge lo spartito, simbolo proprio dell’amore.

I Musici

Fig. 23 I musici, olio su tela, Metropolitan Museum, New York

Passiamo ora ad un altro bellissimo dipinto ( 92×118  cm.) (Fig. 23), seppure con qualche impoverimento, anche questa opera dal tema musicale fu realizzata dal Caravaggio per il suo protettore, il cardinal Del Monte

Sia il Bellori che il Baglione lo identificano come il primo dei dipinti realizzati per lui. Il pittore non ritrae i musicisti durante l’esecuzione del brano ma in un momento di preparazione, ed in effetti il liutista sta accordando lo strumento (con una corda rotta), il violinista sta leggendo la partitura, mentre il terzo componente con il corno, forse Caravaggio stesso, si  rivolge verso lo spettatore guardandolo direttamente, infine il quarto portagonista è Cupido che sta prendendo un grappolo d’uva, lo si distingue per le ali e la faretra.

Il quadro  contiene almeno tre elementi chiave fondamentali: il tema amoroso rappresentato dal Cupido, il tema del vino, rappresentato dall’uva e ovviamente quello melodico; ricordiamo a questo proposito che il del Monte fu uno dei primi cultori della musica monodica.

Caravaggio in quest’opera perviene ad una sintesi dei suoi temi giovanili: quello bacchico del vino, quello poetico-musicale e quello amoroso; occorre inoltre osservare che questi sono anche i filoni portanti della poesia anacreontica, la cui conoscenza si era  diffusa a Milano per merito di Giuliano Goselini e nella Accademia degli Insensati per merito del Tasso e dell’Alberti. Questi tre temi si riflettono nella poetica  di quest’ultimo che esplicitamente richiama i componimenti del poeta greco nelle sue composizioni: 

La cicala ad imitazione di Annacreonte

Ben mi sovvien; vola benigna, e pia  / Anco a la çetra mia , / E’l suo difetto co’l tuo canto adempi.  / Dirò poscia come  / In picciol corpo ha si grand’ alma infusa

Parla con Annacreonte 

Di vino ebro, e d’amore, / Annacreonte sei / Ma che? saper vorrei, / Se’n questa tazza tua di puro argento / Ov’hai tuffato il mento / Più vin bevi, o più amor, che miri insieme, / Sculto Battillo in essa, che l’uve pesta, e preme, / E le sue labbra a le tue labbra appressa. / Ahi che dir può chi di sè stesso è fuore / Di vin ebro, e d’amore? 

La lirica dell’Alberti ispirerà al Marino la sua poesia ecfrastica contenuta nella Galeria  proprio in onore di Anacreonte, che testimonia appunto come i temi del poeta greco si riassumano principalmente in tre divinità simboliche, Amore, Bacco, e Apollo:

Anacreonte

Cingetemi la fronte / lauri, pampini e rose; / date ad Anacreonte, / giovinette amorose, / versi, baci e bevande, / penne, tazze e ghirlande. / Lieo, Febo, Batillo: / Son ebro, ebro vacillo. / Furor, furor divino, / mi rapisce e disvia;  / furor di poesia / di lascivia e di vino; / triplicato furore: Bacco Apollo ed Amore 

Nel pensiero poetico di Anacreonte ( pseudo) e dei poeti insensati Alberti e Marino dunque si ritrovano tutti quegli elementi che sono i protagonisti del dipinto del Caravaggio. Il lato poetico riveste anche in questo caso una notevole importanza, l’autore del testo è Jacopo Sannazzaro, uno scrittore che ebbe un grande rilievo ed una notevole influenza, dato che come abbiamo visto fu il creatore del mito dell’Arcadia.

Il suo madrigale fu messo in musica da Pompeo  Stabile, un musicista che fu in ottimi rapporti con il Cardinal Montalto, che fece parte degli amici e dei raffinati frequentatori del palazzo del cardinal Del monte. Uno storico, il Garuffi riporta addirittura  che il Sannazzaro fu un affiliato degli Insensati (80), una cosa impossibile perchè egli morì nel 1530, mentre è del tutto realistica la grande influenza che la sua poetica ebbe sulla Accademia perugina. Il Garuffi nel suo elogio associa il nome del poeta napoletano a quelli del Guarini e del Tasso, che invece sicuramente fecero parte degli Insensati. Essi furono i più rilevanti prosecutori del  tema arcadico reso celebre proprio dal Sannazaro; il Tasso compose l’Aminta, mentre il Guarini lo prese come fondamento per Il Pastor Fido, cioè l’apice della sua produzione letteraria, che dette l’avvio ad un genere nuovo, la tragicommedia. Per il Sannazaro l’Arcadia è un mondo perfetto e perduto, una età dell’oro, l’ambiente ideale per permettere ai poeti di comporre le loro favole.

Anche in pittura il mito dell’Arcadia ebbe grande fortuna e fu ripreso dai pittori di intonazione classica come Poussin, Dughet e Lorrain, che ritraevano una terra ed un paesaggio dolce e felice in cui i pastori vivevano in armonia con la natura. Questo sentimento di rimembranza di un passato ideale, di una perfezione vagheggiata, successivamente  si trasformò  in un sentimento di malinconia dovuta alla coscienza della irrimediabile perdita di questo mondo dorato. Il paesaggio allora inizia a diventare decadente, in rovina, un luogo dove anche la morte alla fine ha fatto la sua inaspettata e tragica comparsa, mettendo fine a questo luogo eccezionale. Questo è il tema del dipinto più famoso a tema arcadico, che fu realizzato da un ferrarese, prorio come lo furono anche il Tasso ed il Guarini, e cioè dal Guercino che nel 1618 realizzò a Roma il dipinto dell’ Et in Arcadia Ego, appartenuto alla collezione Barberini (Fig. 23 bis).

Fig. 23 bis Guercino, Et in Arcadia Ego, olio su tela, Galleria Barberini, Roma

Questa è la poesia del Sannazzaro che dona il tema al dipinto: 

Ben può di sua ruina

Fig. 24 Alciato, Emblemata

Ben può di sua ruina esser contento;  / s’al ciel volando a guisa di colomba,  / per troppo ardir fu esanimato e spento: / ed or del nome suo tutto rimbomba  / un mar sì spazïoso, un elemento:  / chi ebbe al mondo mai sì larga tomba?

Nel brano si allude al mito di Icaro, che per desiderio di volare troppo in alto finì per precipitare; il testo ha dunque il carattere di un avvertimento morale riguardo alla superbia umana di chi vuole raggiungere obiettivi impossibili ed è con questo significato che   questo simbolo compare anche negli emblemi dell’Alciati ( Fig.24) :

Contra gli Astrologi

Icaro, per volar troppo sublime, / Nel’mar folle Garzon cadde e morio; / Cosi quel savio alta roina / opprime, / Che volar pensa al cielo in grembo a Dio; / Mentre di quello, ove non giungon stime / Nostre, i segreti ha di saper desio; / E’quanto il vano temerario in alto / S’erge, tanto al cader fa maggior salto

Vale la pena a questo punto ricordare una di quelle poesie sequestrate nel processo del 1603 all’allora amico del Caravaggio, Orazio Gentileschi, la lirica tratta degli Inganni dell’amore ed anche qui compare  lo stesso mito e lo stesso ammonimento :

Ma negli inganni Amor fatto più cauto/( trasse ) foco da un lauro, ond’io m’accesi/ e fui (veglio) d’averne altro che foglie./Hor così tardi pentito di mie voglie/ e di là caggio, ove poggiando ascesi/Miserabil Fetonte, Icaro incauto.

Anche questa opera dunque rientra nella tipologia degli ammonimenti a non spingersi troppo in profondità riguardo all’attrazione dei sensi e dell’amore, che come la musica e il vino conducono ad una ebbrezza effimera e di poca durata.

Vi è infine da segnalare l’esistenza dello stesso soggetto nella pittura nordica, ed a questo proposito riportiamo un altro dipinto che presenta gli stessi temi di quello del Caravaggio (la musica, il vino, e l’amore) si tratta di Donna Venusta di Hans Von Aachen ( Fig.25) (81).

Fig. 25 Hans Von Aachen, Donna Venusta,, olio su tela

Qui si vede un autoritratto del pittore felice e spensierato, che tiene in mano una coppa di vino,  sul tavolo vediamo un grappolo d’uva e la sua compagna sta suonando il liuto. Apparentemente anche questa potrebbe sembrare una amabile scena di genere, ma in realtà il dipinto ha un preciso significato morale, infatti  sul tavolo c’è un libro che riporta una scritta tratta dal Siracide 40,20 che dice:  “Vinum et musica laetificant cor” (Il vino e la musica rallegrano il cuore), il verso del testo biblico però continua poi con la frase: “Et super utraque dilectio sapientiae” (ma più di entrambi l’amore per la sapienza), dunue l’amore per la divina sapienza spirituale è la cosa più importante, il verso del Siracide mette allo scoperto lo scopo moralizzante del dipinto, altrimenti occultato  (81).

Il vero messaggio di un’ opera  è spesso nascosto nei dipinti nordici, come ad esempio nell’arte di Beuckelaer, dove il tema di fondo è relegato nel secondo piano in una piccola porzione del dipinto, questo perché la verità non è mai facilmente comprensibile, spesso è nascosta, ed occorre faticare per trovarla. Come afferma Bert W. Mejier riguardo a questi soggetti,  in ambito nordico le scene di genere:

contenevano di sovente messaggi o avvertimenti didattici e moraleggianti che, in una sorta di specchio rovesciato, istruivano i pochi fruitori di quelle opere circa gli atteggiamenti più o meno confacenti al loro status elitario sottolineandone al contempo la supremazia culturale…”.

Una affermazione che è del tutto applicabile anche ai dipinti del Caravaggio che stiamo analizzando (82), e del resto abbiamo già avuto modo di sottolineare come la Lombardia sia stata una delle regioni italiane dove fu più intenso lo scambio culturale con la pittura nordica.

Lo spunto iconografico per la composizione del concerto proviene con ogni probabilità dalla Allegoria della musica con tre concertisti del Peterzano, (83) (Fig.26) ove la suonatrice discinta in primo piano allude evidentemente all’amore sensuale, un significato che viene in questo caso rafforzato dalla presenza dell’ amorino che  regge  lo spartito.

Continua…
Fig. 26 Simone Peterzano, Allegoria della musica con tre concertisti, olio su tela

Michele FRAZZI  Parma 26 Noivembre 2023