di Claudio LISTANTI
Lo scorso 9 maggio la Bayerische Staatsoper di Monaco di Baviera con una attesissima ‘Premiere’ ha presentato una nuova edizione del capolavoro di Hector Berlioz, Les Troyens, che ha richiamato all’interno della storica sala bavarese, oltre ad un foltissimo pubblico, anche un cospicuo stuolo di appassionati e addetti ai lavori convenuti per non mancare a questo preziosissimo appuntamento che ha consentito di poter assistere all’esecuzione di un capolavoro, tra i più famosi della storia dell’opera che, purtroppo, non trova grande riscontro nelle esecuzioni pubbliche.
L’esecuzione è stata affidata alla bacchetta di Daniele Rustioni, direttore tra i più in vista della sua generazione e ad una compagnia di canto di canto di grande spessore nella quale spiccava la partecipazione, nelle tre parti principali, di tre cantanti di prim’ordine, Gregory Kunde Énée, Marie-Nicole Lemieux Cassandre ed Ekaterina Semenchuk Didon, affidando la messa in scena dello spettacolo a Christophe Honoré. Una serata di grandi emozioni dovute all’intensa esecuzione musicale alla quale si è aggiunta la contrastante conduzione della parte visiva creata dal regista francese.
Per riferire della particolarità della realizzazione, soprattutto per un’opera complessa come questa, è necessario partire da alcuni cenni sull’opera e sul contesto storico-musicale nel quale è nata.
La gestazione de Les Troyens durò circa due anni ed è compresa nel periodo che va dal maggio del 1856 all’aprile del 1858. Nel catalogo delle composizioni di Berlioz giunge nel periodo della maturità del musicista francese con alle spalle esperienze importanti nel campo del teatro per musica come il monodrame lyrique Lélio, ou le retour à la vie del 1832 e, soprattutto, del Benvenuto Cellini nel 1838, seguito, nel 1862, da Béatrice et Bénédict.
Con Les Troyens Berlioz mise in atto un suo vecchio progetto, quello di produrre un grande poema drammatico da una delle opere classiche che fin da giovane scosse le sue passioni e i suoi sentimenti, l’Eneide di Virgilio. Per un lavoro teatrale di grandi proporzioni i tempi erano maturi; basti pensare che proprio in quegli anni Richard Wagner era al lavoro per comporre la colossale Tetralogia. Proprio nel 1856 Berlioz incontrò Franz Liszt che divenne, in un certo senso, sostenitore di questo progetto, al quale si aggiunse anche la principessa Caroline Sayn-Wittgenstein, allora amante Liszt, il cui fascino spronò il musicista francese a proseguire nell’ambizioso progetto.
Berlioz lavorò alacremente alla realizzazione dell’opera. Innanzitutto ne approntò il libretto (altro collegamento con Wagner) rappresentando personaggi e situazioni tratti dall’Eneide virgiliana in un’opera dalle dimensioni veramente impressionanti, immaginando forse, una realizzazione in più serate. Les Troyens è suddivisa in due parti distinte, La prise de Troie (La presa di Troia) e Les Troyens à Carthage (I Troiani a Cartagine) dimensioni che nell’insieme riuscirono a scoraggiare i teatri alla necessaria messa in scena. Nei desideri di Berlioz c’era senza dubbio quello di una rappresentazione all’ Opéra di Parigi, non solo perché luogo simbolo della cultura musicale francese, ed europea, di quel periodo, ma anche per la consuetudine di produrre allestimenti dai caratteri monumentali imposti dalla prassi rappresentativa del Grand-Opéra, elemento questo che poteva facilitarne la rappresentazione.
Su questo fronte però trovò una chiusura netta. Venne tuttavia in suo soccorso il baritono Léo Carvalho, che in quegli anni guidava la nuova sala teatrale parigina, il Théâtre Lyrique, che decise di programmare la rappresentazione per il novembre del 1863. Le cospicue dimensioni dell’opera, però, indussero Carvalho a sopprimere tutta la prima parte, La prise de Troie, per rappresentare, anche con tagli e alleggerimenti, solamente Les Troyens à Carthage, decisione che ottenne un forzato consenso da parte Berlioz che, addirittura, dovette pagare di tasca propria gli orchestrali aggiunti ritenuti più indispensabili. Nel 1869 Berlioz morì senza aver assistito alla rappresentazione de La prise de Troie e, quindi, all’integralità del suo lavoro.
Fu il mondo musicale tedesco che per primo propose l’esecuzione integrale de Les Troyens, grazie all’intraprendenza del famoso direttore wagneriano Felix Mottl che sul finire del 1890 ne diresse, praticamente la prima esecuzione. A Parigi arrivò solo nel 1921 ma senza ottenere successo.
Dal punto di vista musicale Les Troyens è da considerarsi una partitura di grande stile rappresentativo. In essa sono racchiusi due momenti diversi dello stile compositivo berlioziano. Nella prima parte, La prise de Troie, appare con molta chiarezza l’ispirazione classicista del musicista francese, con una impostazione vocale che richiama al classicismo di compositori molto stimati da Berlioz, su tutti Gluck e Spontini, che si riverbera nella straordinaria linea di canto dal colore scuro creata per Cassandra con una parte musicale che vuole ripercorre gli effetti drammatici della tragedia greca che si ripercuotono sull’impostazione delle parti corali. Ne Les Troyens à Carthage, invece, sembra che la linea di canto si orienti verso quel declamato espressivo che è la caratteristica predominate dell’opera di fine ‘800 che fa scorgere i prodromi di quello che sarà la vocalità del Verdi maturo. Anche qui una protagonista dalla voce scura, Didone, che colpita dall’amore per Enea verrà poi abbandonata dallo stesso eroe a seguito della scelta di convergere in Italia dove la sua stirpe contribuirà alla nascita di Roma. Questa dicotomia tra i due personaggi femminili è la parte più interessante dell’opera, in quanto pur essendo personaggi del tutto contrastanti, Cassandra, l’indovina non ascoltata, e Didone, la grande regina di Cartagine, molto apprezzata dal suo popolo per il livello di benessere raggiunto ma che a causa del suo amore per Enea è destinata ad una tragica fin e. Entrambe sono state caratterizzate da Berlioz con una linea vocale per il repertorio mezzosoprano/contralto, elemento che le accumuna nella tragedia che si concluderà con il loro drammatico suicidio. Tra le due figure emerge la personalità di Enea, al quale è affidata una parte tenorile molto impegnativa che ne segue l’evoluzione dell’azione cha va dalla fuga da Troia all’arrivo a Cartagine da dove fugge per assecondare quel significato ‘propagandistico’ che Virgilio ha donato al suo eroe, teso a mettere in rilievo la preminenza della cultura greca nell’origine della fondazione di Roma.
Berlioz utilizza una orchestrazione ricca e trascinante che riesce a mettere in risalto quanto l’azione propone grazie a sonorità e colori che coinvolgono emotivamente l’ascoltatore. Nel complesso può essere considerato una sorta di Grand-Opéra, dove un ruolo importante viene dato al coro e alla parte vocale, con inserimento di numeri di danza e diverse pantomime la più importante delle quali è quella posta all’inizio del quarto atto, Caccia reale e tempesta, un momento teatrale durante il quale si consolida l’amore tra Didone ed Enea che si materializzerà alla grande nello strepitoso duetto tra i due personaggi che chiude in maniera trascinante il quarto atto.
Per riferire di questo nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Monaco di Baviera iniziamo dalla parte visiva. Purtroppo c’è da dire che, come da consuetudine odierna che ha contagiato tutto il mondo, abbiamo assistito ancora una volta, ad un allestimento per nulla coerente a quanto voluto dall’autore. Il regista francese Christophe Honoré -che le cronache ci dicono essere anche sceneggiatore, scrittore, drammaturgo e critico cinematografico- ha concepito una realizzazione in cui ha voluto inserire elementi di dissacralità che, però, a nostro giudizio, sono poco adatti per un capolavoro come questo, poco eseguito in tutto il mondo, del quale gli spettatori hanno sicuramente percepito una visione distorta. Per ottenere i suoi obiettivi ha utilizzato altresì mezzi scenici oramai superati e stantii, già applicati da anni nelle realizzazioni sceniche, ossia proiezioni, televisori in scena, filmati vari e, addirittura, telecamere in scena con tanto di operatore per riprese dal vivo proiettate su schermi vari. Christophe Honoré, ovviamente, non ha rinunciato al cambiamento di ambientazione disattendendo tutto quanto previsto nel dettagliato libretto scritto da Berlioz.
Va detto che la scena dei primi due atti conservava un po’ di sacralità, inserita in una cornice rappresentativa che evocava un ambiente di rovine -richiamo alla distruzione di Troia- e con le movenze del coro che richiamavano la tragedia greca, tuttavia non è giustificabile l’aver eliminato la visione del cavallo, la cui presenza è necessaria scenicamente, sostituito da una figura ricordata da una insegna al neon che riporta banalmente le parole “Das Pferd”. Ma il culmine si è raggiunto nella seconda parte, quella cartaginese, ambientata in epoca moderna, in un posto come una spiaggia marina (o una piscina?), frequentata interamente da omosessuali maschili completamente nudi, attorno ai quali si scorgeva la Didone, rappresentata come una maîtresse tenutaria di case di tolleranza. Poi tutto è virato sul pornografico spinto, in corrispondenza della parte ballettistica e pantomimica prevista all’inizio del quarto atto, con proiezioni su schermo di atti omosessuali anche piuttosto violenti ed espliciti. Personalmente non abbiamo trovato nessi tra il contenuto dell’opera di Berlioz e quanto visto, oltretutto frutto di una pornografia di quart’ordine, e possiamo comprendere il disorientamento dello spettatore che in sala magari era alla prima esperienza nella visione di questa opera. L’unico elemento di un certo significato era l’immagine fotografica del mare che persisteva per tutta la durata dello spettacolo, elemento fondamentale simbolo dell’errare di Enea nel lungo viaggio che da Troia ai lidi del Lazio.
A completare la parte visiva c’è stato il contributo per la drammaturgia di Katja Leclerc, le scene di Katrin Lea Tag, i costumi di Olivier Bériot e le luci di Dominique Bruguière, ovviamente in linea con la concezione impressa da Honoré. La parte scenica è stata contestata nel corso della serata dal pubblico con rimostranze anche a scena aperta e al termine, con inequivocabili, e sonori, dissensi provenienti dalla quasi totalità degli spettatori presente, dimostrazione lampante del loro mancato gradimento. Un elemento, quest’ultimo, che deve indurre i registi e gli organizzatori delle stagioni liriche a cercare altre strade per le rappresentazioni operistiche che tengano presente le volontà degli artisti creatori e non essere avulse dal contesto generale.
Di tutt’altro spessore la parte musicale che nell’insieme ha confermato la grande tradizione esecutiva del teatro bavarese, che si è sviluppato nell’arco della sua più che bicentenaria storia che lo rende uno dei punti di riferimento della musica europea.
Les Troyens necessitano di una sterminata compagnia di canto che realizzi una parte vocale distribuita tra una ventina di cantanti seppur con diverse difficoltà; solo un grande teatro come questo può riuscire a mettere in scena una esecuzione di questo tipo. Il tenore Gregory Kunde ha sostenuto la parte di Enée con sicurezza e precisione, grazie alla sua portentosa voce che risulta, a dispetto della sua lunga attività, sempre potente ed espressiva, incline anche alle raffinatezze vocali che, anche in questa partitura, sono particolarmente numerose. Possiede una voce che non va mai sopra le righe, che riesce a controllare per modellare al meglio tutte le necessità di carattere espressivo. Per lui molti applausi al termine della recita ma anche a scena aperta come nella grande aria del quinto atto per un indiscutibile successo personale.
Al sua fianco le due protagoniste femminili, la Cassandre di Marie-Nicole Lemieux e la Didon di Ekaterina Semenchuk, due voci dall’affascinante timbro brunito, dalle potenti note gravi ma con la facilità di giungere anche nel registro acuto, ognuna delle quali ha saputo dare spessore scenico al personaggio interpretato ed essere dominatrice della parte a loro affidata, riuscendo a mettere in evidenza il dramma interiore di ognuna che sfocia nel suicidio anche se ispirato da diverse situazioni personali.
Per quanto riguarda il resto della compagnia di canto dobbiamo dire che si è rivelata del tutto omogenea nell’insieme riuscendo a completare efficacemente l’impronta interpretativa di tutta l’esecuzione. Tra questi altre due mezzosoprano, un timbro di voce molto apprezzato da Berlioz, Lindsay Amman (Anna, sorella di Didon) e Eve-Maud Hubeaux, (Ascagne, Figlio di Enée) assieme al baritono Stéphane Degout un efficace Chorèbe. Per quanto riguarda il resto della compagnia, tutti hanno contribuito alla riuscita dell’intera parte musicale: Emily Sierra Hécube, Martin Snell Priam, Sam Carl Panthée, Bálint Szabó Narbal, Martin Mitterrutzner Iopas, Jonas Hacker Hylas, Armando Elizondo Hélénus, figlio di Priamo, Daniel Noyola Soldato troiano, Roman Chabaranok Ombra di Hector, Daniel Noyola Comandante greco, Andrew Hamilton Mercure, Theodore Platt e Andrew Gilstrap Primo e secondo soldato troiano.
Daniele Rustioni ha diretto con intensità questa opera veramente monumentale curando tutto nei minimi particolari, ritmi, colori, timbri, interventi strumentali, corali e dei singoli cantanti rendendo l’esecuzione tanto felicemente omogenea nel complesso quanto convincente e trascinante. È stato molto ben coadiuvato dalla professionalità di tutta l’Orchestra della Bayerische Staatsoper e dal coro diretto da Stellario Fagone. Per Rustioni un vero e proprio successo personale dimostrazione della stima riposta in lui dal pubblico dell’Opera Bavarese al quale ha dedicato una vera e propria ovazione all’apparire al proscenio al termine della serata.
Claudio LISTANTI Roma 15 Maggio 2022