L’esordio romano di Caravaggio: nuove tracce dalla biografia di Mario Minniti (e una attribuzione)

di Nicosetta ROIO

Quando arrivò davvero a Roma il Caravaggio? La comparsa del suo amico siciliano Mario Minniti nell’Urbe offre qualche traccia per tentare di circoscrivere l’evento.

Una delle ultime novità sulla cronologia del giovane Caravaggio è anche tra le più discusse dagli studi recenti, sempre fervidi, sul sommo artista lombardo: è ben nota la proposta di Francesca Curti ed altri, per certi versi scioccante, di posticipare l’arrivo del Merisi nella città dei papi intorno al 1595 (n. 1), in fondo solo un paio d’anni dopo rispetto a quanto si era a lungo ritenuto, ovvero tra la seconda metà dell’anno 1592 e il 1593. Eppure, per la cronologia di un pittore così affascinante e complesso un cambiamento apparentemente di relativa importanza come questo potrebbe decisamente sparigliare le carte in tavola poiché, modificando l’idea ormai pressoché consolidata della sua apparizione anticipata a Roma, verrebbe inevitabilmente rivoluzionata anche gran parte della scansione temporale delle opere che precedono l’affermazione ufficiale in San Luigi dei Francesi intorno all’Anno Santo 1600, creando non pochi grattacapi agli studiosi sempre faticosamente alla ricerca di punti di riferimento definitivi.

Va pur detto, e lo dimostra la grande vivacità degli studi, che il Merisi ci ha ormai abituato al fatto che quasi nulla di ciò che lo riguarda può essere dato per scontato e, nonostante i ripetuti tentativi di trovare concordanze certe, molte tematiche sono per ora destinate a rimanere aperte, in attesa di ulteriori e auspicabili chiarimenti documentari: ciò non toglie che si possa provare a rivedere qualche episodio alla luce di notizie finora poco considerate, ad esempio quelle legate ad uno dei primi amici di Caravaggio a Roma, il pittore di origine siracusana Mario Minniti.

La critica è concorde sul fatto che quest’ultimo abbia condiviso col lombardo molte delle prime poverissime vicende romane, a partire dalla frequentazione della bottega del pittore-bottegaio Lorenzo Carli, noto come “il siciliano”, ricordata da Giovanni Baglione (n. 2).

Solitamente l’arrivo a Roma del giovane Minniti viene collocato intorno al 1593, ma senza alcun tipo di aggancio documentario o storiografico: si tratta di un’indicazione temporale che gli studiosi ricollegano strettamente all’ipotetica cronologia caravaggesca “anticipata” intorno al 1592-1593. In ogni caso è per lo più un dato acquisito che la presenza dei due giovani nella città papale si sia manifestata all’incirca nello stesso momento; nondimeno la testimonianza del pittore-sacerdote messinese Francesco Susinno – la cui biografia dedicata al Minniti si è rivelata nel corso del tempo sempre più degna di fede (n. 3)  – riferisce che la “residenza” romana di Mario durò dieci anni e, se è vero che la prima dimostrazione certa del suo rientro in Sicilia si è potuta anticipare al 1605 (n. 4), il suo sbarco a Roma dovrebbe risalire più o meno intorno al 1595, una decina di anni prima, appunto. Se si accetta la circostanza che Michelangelo e Mario giunsero a Roma in contemporanea, anche l’arrivo del Merisi dovrebbe porsi dunque nel medesimo periodo, che oltre tutto si combina con il suo primo avvistamento concreto, poiché documentato, tra il 1595 e il ’96, seguendo l’ipotesi della Curti ricordata in apertura (n. 5).

Le scarse notizie sulla personalità del Minniti si legano essenzialmente alle testimonianze del ricordato Susinno, storiografo tendenzialmente poco apprezzato dagli storici dell’arte poiché scrisse in un periodo ormai lontano dai fatti di cui si sta discorrendo (circa un secolo dopo), potendo egli ricavare – nel bene e nel male – molte delle sue informazioni dalla storiografia precedente. Mario era nato a Siracusa nel 1577 e, proprio dal Susinno si apprendono alcuni dati comunque assenti nelle fonti precedenti; dopo essere stato indirizzato dal padre alle “lettere umane”, all’età di 15 anni l’adolescente fu privato dell’“appoggio paterno”, spostando così il suo interesse verso lo studio del disegno, a “lui geniale”, per poi imbarcarsi sulle “galee della religione di Malta per involarsi da un intrico occorsogli” e si conferì in quell’isola (l’“intrico” potrebbe corrispondere alla sua partecipazione ai moti popolari contro la terribile carestia del 1591-1592, n. 6). Fece seguito – ma non viene detto quanto tempo dopo – il suo approdo a Roma dove, per necessità e per “trovarsi introdotto nel disegno”, si impiegò presso un “siciliano pittore, che vendeva quadri a dozzina”: da qui l’identificazione con quello stesso Lorenzo Carli siciliano presso cui lavorava pure il Caravaggio, con cui strinse amicizia essendo ambedue “giornalieri” in quella bottega.

È evidente che se le cose sono andate davvero come racconta Susinno, Minniti arrivò nella città papale casualmente proprio nello stesso periodo in cui il bottegaio siciliano ospitava il Merisi, come d’altro canto gli studi hanno sempre sostenuto; a detta del religioso messinese, il Caravaggio, seppure “sovvenuto in tutti i bisogni” dal Carli, non rimase troppo a lungo in quel contesto poiché il “buon genio ch’avea alla perfezione dell’arte, lo astrinse ad allontanarsi da quella bottega che più tosto lo faceva andare all’indietro” nella sua preparazione alla professione: asserzioni che, nel ribadire come l’accomodamento presso il Carli fosse l’iniziale impiego del lombardo a Roma (lo aveva già scritto il Baglione), sembrerebbero certificarne pure la breve durata.

Da sempre la critica ritiene che sia stato brevissimo anche il soggiorno maltese del quindicenne Minniti: nel 1592 si sarebbe imbarcato verso l’isola e tra il ’92 e il ‘93 sarebbe tornato indietro verso Roma poiché tutto ciò concordava con il presunto contemporaneo arrivo del Caravaggio in città. In realtà dell’arco di tempo trascorso da Mario a Malta nulla è dato sapere con certezza: al contrario, vista la problematicità delle premesse – la fuga per districarsi dall’“intrigo” e il successivo “conferimento”, ovvero la protezione dell’ordine dei cavalieri gerosolimitani –, quel soggiorno potrebbe essersi prolungato sì per alcuni mesi, ma pure per uno, due o più anni. Inoltre fino ad ora non è mai stato considerato che quando Minniti arrivò sull’isola, vi era presente da qualche tempo il pittore toscano Filippo Paladini, che era stato confinato lì verso il 1590 dopo l’aggravamento di una precedente condanna per aggressione (n. 7) ma, nonostante ciò, vi era per lo più libero di dipingere, producendo molte opere anche su richiesta del Gran Maestro Hugues de Loubenx de Verdalle (Verdala) (n. 8).

I frequenti e stringenti riferimenti di Mario allo stile pontormesco e sartesco del Paladini sono evidenti in tutta la produzione nota del siracusano (ovvero essenzialmente quella della maturità siciliana, post rientro da Roma, dal momento che della precedente attività nulla è stato identificato) e sono stati ampiamente riconosciuti dagli studi, ma essenzialmente con riferimento ai loro rapporti di epoca successiva, risalenti al tempo della più tarda permanenza in Sicilia di entrambi.

È tuttavia plausibile che Mario, che era già molto attratto dal disegno, abbia potuto trovare un maestro in Paladini – buon disegnatore secondo la tradizione fiorentina – fin dall’epoca della prima giovanile fuga a Malta (Figg.2-3-4-5): va messa in conto la possibilità che il Minniti fanciullo sia stato intenzionalmente “sistemato” per qualche tempo nell’isola dei Cavalieri anche per assecondare la sua predisposizione al disegno sotto la guida di quel riconosciuto rappresentante della grafica toscana.

D’altra parte, se è vero che lo stesso Paladini salpò da Malta nell’estate 1595 nuovamente diretto verso la penisola – in seguito alla diffusione della notizia, in realtà non vera, di una concessione della grazia che l’esecutore testamentario del suo protettore Verdalle (quest’ultimo morto nel maggio dello stesso anno), aveva richiesto a Ferdinando I de’ Medici -, potrebbe averlo seguito in questo viaggio di ritorno verso la penisola italica anche il suo ipotizzato “garzone” Minniti, venendosi a giustificare così la comparsa di quest’ultimo nell’“asilo di sicurezza” romano in simultanea con quanto si può presumere pure per il Caravaggio e, nella fattispecie, la presenza di entrambi dal siciliano Carli intorno al 1595.

Rimandando ad altre occasioni l’analisi delle analogie tra le esistenze inquiete di Paladini e Minniti – indotti da problemi con la giustizia a percorrere la medesima rotta di fuga del Merisi verso l’isola maltese, ma parecchi anni prima (n. 9)- va detto comunque che la narrazione del Susinno pare confermare ulteriormente la passione e la propensione del Minniti per la grafica: infatti a Roma il “buon gusto al disegno” e per “amore di avanzarsi in questa disciplina”, il siracusano finì per privarsi del “necessario sonno la notte”. Tutto ciò per recuperare il tempo che riteneva sprecato di giorno “sgrossando pitture”, anche se ciò gli dava da vivere. Evidentemente, come il Merisi e tanti altri giovani giunti nella città dei Papi in cerca di occupazione, anche lui aveva già una certa esperienza col colorire quando arrivò in città, una consuetudine che poteva risalire proprio al periodo di formazione a Malta col Paladini. Il legame di amicizia col Caravaggio gli serviva poi da “sprone ai fianchi”, emulandosi ambedue nel “loro corso pittoresco: benché poveretti, di mala voglia dimoravano” nella bottega del Carli e così, ambedue determinati ad allontanarsi dalle “goffaggini di un tal maestro, si risolvettero far coabitazione” inoltrandosi giorno dopo giorno nella loro professione “finchè la fama incominciò a far palesi al mondo le prerogative dell’uno e dell’altro”. Magari ritrovandosi entrambi a bazzicare l’ambiente di Giuseppe Cesari, all’interno del quale nacque certamente il ben noto Suonatore di liuto (Campione d’Italia, Collezione Lodi), dipendente figurativamente da quello, ben più famoso, del Merisi (San Pietroburgo, Ermitage), e attribuito variamente al “Maestro di Hartford”, Pietro Paolini, Cesare Rossetti e, ultimamente molto spesso anche Prospero Orsi, laddove l’evidente rapporto sia con la condotta pittorica che con le ripetitive e più tipiche fisionomie dipinte dal Minniti, lo indirizzerebbero piuttosto verso la sconosciuta attività giovanile del siracusano (Figg.6-7-8). Ma questa è un’altra storia (n. 10).

Tornando alle credibili annotazioni di Susinno sul periodo romano di stretta confidenza tra gli ambiziosi Michelangelo Merisi e Mario Minniti, ad esse non hanno mai fatto riscontro documenti comprovanti il loro legame, se non quanto pronunciato dal Caravaggio nel corso del famoso processo del 1603 legato ai versi diffamatori scritti contro Giovanni Baglione: in quella circostanza il lombardo disse di conoscere un certo “Mario pittore” che “stava una volta con me et è tre anni che se ne partì da me et non gl’ho mai più parlato” (n. 11). Pur non essendo matematico che si tratti del Minniti vista la diffusione del nome Mario anche tra gli artisti, la gran parte degli studiosi ha ritenuto convincente la sovrapposizione, e il sincronismo con l’affermazione di Susinno in relazione alla convivenza dei due principianti rende l’abbinamento davvero molto probabile. Se Merisi era del tutto sincero almeno in quella parte di deposizione, i due avrebbero avuto rapporti piuttosto stretti fino al 1600.

Un’aggiuntiva dimostrazione della sostanziale affidabilità delle informazioni fornite da Susinno – diversamente da quanto spesso si continua a pensare – viene a questo punto da sue ulteriori indicazioni sul Minniti che sono state confermate dai recenti ritrovamenti archivistici di Rossella Vodret: essendo stato nell’Urbe per ben dieci anni, come si è detto, infatti il pittore di Siracusa si era fatto “quasi paesano” e “stabilì prender moglie per poter più quietamente vivere, perché alquanto infastidivalo la torbidezza dell’amico”, un’allusione che riecheggia l’omosessualità del tutto presunta del lombardo (di cui a Roma nel pieno Seicento pare ancora si parlasse, come sembra di capire dal ben noto appunto del viaggiatore inglese Richard Symons, al quale venne riferito che “Checco” – Francesco Boneri o Cecco del Caravaggio – era stato amante dell’artista oltre che suo modello per il Cupido Giustiniani).

In ogni caso queste nozze del Minniti ebbero luogo effettivamente in parrocchia San Martino ai Monti il 2 febbraio 1601: “Mario siracusano” (senza la specifica del cognome, tuttavia facilmente identificabile col pittore poiché detto figlio del quondam Girolamo, coincidente col nome – già noto agli studi – di suo padre) sposò infatti Alessandra, figlia del milanese Giovanni Battista De Bertoldis. Già l’anno prima la coppia conviveva in una locanda in via Gregoriana: negli Stati delle Anime di Sant’Andrea delle Fratte del 1600 Alessandra era definita moglie di Mario e con loro era registrato anche il fratello di quest’ultimo, Andrea, pure lui pittore. Una nota databile al 1601 aggiunta accanto ai loro nomi nello stesso documento testimonia che il gruppetto familiare si era trasferito altrove (n. 12): evidentemente, una volta regolarmente sposati, Mario e Alessandra si spostarono con Andrea Minniti in un’abitazione forse meno “transitoria” rispetto a quella pensione, magari proprio al “Corso”, seguendo la testimonianza di Tommaso Salini del 28 agosto 1603 in cui attestava che “un certo Mario, parimente pittore” viveva in quella zona di Roma (n. 13).

Dunque la vicenda documentata del matrimonio di Minniti collima sia con la cronaca trasmessa da Susinno, sia con la testimonianza di Caravaggio: il primo afferma che Mario decise di sposarsi per poter allontanarsi più facilmente dalle “complicazioni” esistenziali determinate dalla vita in comune col “difficile” amico, il secondo nel 1603 dichiarò che non vedeva Mario da tre anni. Diventano pertanto significativi gli indizi convergenti in favore della veridicità di quanto tramandato dal Susinno: tutto infatti sembra convergere, congiuntamente alle ricostruzioni documentarie della Curti accennate in apertura, e dispone a credere sempre più che l’arrivo di entrambi gli artisti a Roma abbia avuto luogo nel 1595 e non – come si è sempre ritenuto – tra il 1592 e il ‘93.

di Nicosetta ROIO luglio 2017

Note

  1. F. CURTI, Sugli esordi di Caravaggio a Roma. La bottega di Lorenzo Carli e il suo inventario, in Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, catalogo della mostra, a cura di M. DI SIVO – O. VERDI, Roma 2011 p. 70. La questione è stata uno dei punti più rilevanti della giornata di studi promossa dal Dottorato di ricerca in Storia dell’arte con la collaborazione scientifica del Dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Roma Tre e della Bibliotheca Hertziana-Max Planck Institut für Kunstgeschichte: “Sine ira et studio. Per la cronologia del giovane Caravaggio”, La Sapienza Università di Roma, 1 marzo 2017.
  2. G. BAGLIONE, Le vite de’ pittori scultori et architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII fino a tutto quello d’Urbano VIII, Roma 1642 (edizione anastatica con le postille di G. P. BELLORI), p. 136.
  3. F. SUSINNO, Le vite de’ pittori messinesi, 1724, ed. a cura di V. MARTINELLI, Firenze 1960, pp. 106-116 (“vita” del Caravaggio), pp. 116-121 (“vita” del Minniti). Donatella Spagnolo ha verificato in più occasioni l’attendibilità delle testimonianze del Susinno su Minniti (Dizionario Biografico degli Italiani, 74, Roma 2010, ad vocem “Minniti, Mario”), al contrario di Lothar Sickel, che continua a ritenerlo un “biografo non particolarmente attendibile” (Gli esordi di Caravaggio a Roma: una ricostruzione del suo ambiente sociale, in “Römisches Jahrbuch der Biblioteca Hertziana”, 39, 2009-2010 [2012], preprint on line, 26-11-2010, p. 44).
  4. Fino a poco tempo fa il rientro del Minniti a Siracusa si collocava prima del 21 maggio 1606, data della commissione per un dipinto d’altare con la “Madonna del Soccorso”, ora non più esistente, ma che l’artista consegnò il 7 novembre dello stesso anno con destinazione la chiesa di San Giovanni Battista a Vizzini/ Catania; il documento, che fu pubblicato da A. RAGONA (Un documento sul periodo oscuro della vita del pittore Mario Minniti, in “Archivio Storico Siracusano”, 1971, pp. 59-63), è dunque di pochi giorni prima dell’omicidio di Ranuccio Tommasoni, al quale il Minniti difficilmente può aver partecipato, diversamente da quanto supposto in passato, con la conseguenza che viene sostanzialmente a cadere anche l’ipotesi della fuga di entrambi da Roma verso la Sicilia e poi a Malta. Ciò verrebbe sostenuto ulteriormente dal recente rinvenimento di un altro documento che dimostra come Mario fosse già in Sicilia almeno da qualche mese: l’8 dicembre 1605 si era obbligato infatti a dipingere un altro quadro d’altare per la chiesa di San Filippo nella sua Siracusa (L. LOMBARDO, Mario Minniti e Daniele Monteleone. Due pittori siracusani al tempo di Caravaggio in alcuni documenti inediti, in Scritti in memoria di Domenico Ligresti, a cura di A. CUCUZZA, Caltagirone 2015, pp. 115-118, 127), data che diventa l’attuale termine ante quem per il suo rientro in patria dall’Urbe.
  5. La stessa studiosa è stata fin qui l’unica ad ipotizzare uno spostamento in avanti della data di arrivo del Minniti a Roma in coincidenza con quello da lei ipotizzato per Caravaggio, dunque tra il 1595 e il 1596 (CURTI, Sugli esordi cit., p. 72, nota 71).
  6. LOMBARDO, Mario Minniti e Daniele Monteleone cit., p. 115, nota 7.
  7. Per il Paladini si rimanda almeno M. G. PAOLINI-D. BERNINI, Mostra di Filippo Paladini. Catalogo, Palermo 1967; P. RUSSO – V. U. VICARI, Filippo Paladini e la cultura figurativa nella Sicilia centro-meridionale tra Cinque e Seicento. Itinerario storico-artistico per un progetto di museo diffuso, Caltanissetta 2007; P. RUSSO, “Un genio vagante…in giro nella Sicilia”. Filippo Paladini e la pittura della tarda maniera nella Sicilia centrale, Caltanissetta 2012 e alla recente biografia di S. DE MIERI, in Dizionario Biografico degli Italiani, 80, Roma 2014, ad vocem “Paladini, Filippo”.
  8. Sulle opere maltesi di Paladini: D. PISTORINO, Filippo Paladini a Malta, in “Kalos”, XVIII, 3, 2006, pp. 34-37; K. SCIBERRAS, Baroque Painting in Malta, La Valletta 2009, pp. 10-13 e K. SCIBERRAS, Caravaggio to Mattia Preti. Baroque Painting in Malta, La Valletta 2016, pp. 15-22.
  9. Già P. LEONE DE CASTRIS (Polidoro da Caravaggio. L’opera completa, Napoli 2001, p.428) aveva rilevato una sorta di consuetudine di alcuni importanti artisti a seguire la rotta verso Malta passando per Napoli e la Sicilia.
  10. Per più approfonditi riferimenti alle ricostruzioni qui proposte si rimanda a E. NEGRO – N. ROIO, Caravaggio e il ritratto. Dal realismo lombardo al naturale romano, Roma-Foligno 2017, pp.70-78; N. ROIO, Qualche considerazione sull’arrivo a Roma di Caravaggio e Minniti, in Caravaggio e i suoi, atti della giornata di studi (Monte Santa Maria Tiberina, 8-9 ottobre 2016), a cura di P. CAROFANO, in corso di pubblicazione; N. ROIO, Caravaggio, Mario Minniti e il “Maestro della natura morta di Hartford”, in corso di pubblicazione.
  11. Per la documentazione sul processo del 1603 si rimanda alla trascrizione di M. DI SIVO, Uomini valenti. Il processo di Giovanni Baglione contro Caravaggio e I documenti. Il processo. La trascrizione integrale, in Caravaggio a Roma. Una vita cit., pp. 90-108 (p. 103 per la citazione di “Mario pittore”, 13 settembre 1603).
  12. R. VODRET, Alla ricerca di “Ghiongrat”. Studi sui libri parrocchiali romani (1600-1630), Roma 2011, pp. 21, 86, note 22-25; R. VODRET, Notes on Caravaggio’s early followers recorded in Roman Parish Registers from 1600 to 1630, in Caravaggio & his Followers in Rome, catalogo della mostra, a cura di D. FRANKLIN – S. SCHÜTZE, New Haven-London 2011, pp. 74-75.
  13. DI SIVO, Uomini valenti. Il processo cit., p. 98.