di Francesco CARACCIOLO
Carlo Saraceni (Venezia, 1579- 1620) si inserisce pienamente nell’ambito della pittura naturalistica di stampo caravaggesco così come Orazio Borgianni e Gherardo delle Notti, essendo egli stesso il più importante punto di contatto tra la cultura artistica italiana e il Nord Europa (Cfr., Anna Ottavi Cavina).
In effetti, l’impronta che il Saraceni dà alla pittura caravaggesca si arricchisce ulteriormente di stimoli provenienti non soltanto dalla cultura romana post tridentina ma soprattutto da Adam Elsheimer nonché dall’influenza dei pittori olandesi presenti a Roma agli inizi del ‘600. L’artista darà un contributo notevole alla pittura del XVII secolo a Roma all’interno dei principali cantieri religiosi con la realizzazione di numerose pale d’altare di grande prestigio tra le quali spiccano in modo particolare la Santa Cecilia e l’angelo di Palazzo Barberini (Fig.1)
e il Transito della Vergine (Fig.2), quest’ultima realizzata per la Chiesa di Santa Maria della Scala (ne fece due versioni destinate alla cappella dell’Assunta nella suddetta chiesa).
All’interno del testo di Giovanni Baglione, una vera e propria raccolta di biografie degli artisti del ‘600, Le vite de’ pittori, scultori et architetti. Dal pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano VIII nel 1642, viene tracciato un breve profilo corrispondente alla personalità del Saraceni attraverso queste singolari affermazioni:
“Diedesi a voler imitare la maniera del Caravaggio… E perché egli professava di imitare Michelagnolo da Caravaggio, il quale menava sempre con sé un cane barbone negro, detto Cornacchia,che facea bellissimi giuochi, Carlo menava seco ancor esso un cane negro, e Cornacchia lo chiamava … cosa da ridere di questo humore ,che nelle apparenze riponesse gli abiti della virtù”.
Le frasi espresse in un tono marcatamente bonario e scanzonato fanno riferimento alla fama raggiunta a Roma da Carlo Saraceni giudicato aderente al Caravaggio, oltre alla menzione di un altro episodio raccontato dallo stesso Baglione: il famoso processo intentato nel 1603 da quest’ultimo nei confronti dei due pittori sopraccitati per averlo aggredito inviandogli un sicario armato.
Al di là delle accuse mosse nei confronti del pittore veneziano, sicuramente il Baglione ridimensiona considerevolmente la portata artistica del Saraceni il quale verrà riscoperto e rivalutato a partire dagli studi di Anna Ottavi Cavina, cui dedica un’importante monografia nel 1968. Il Saraceni è oggetto del mio interesse a proposito di un dipinto l’Estasi di San Francesco (fig. 3), tra i primi esperimenti di un caravaggismo (stemperato nelle tonalità romantiche e crepuscolari della pittura veneziana del ‘500) adottato in terra veneta durante il secondo decennio del ‘600. Il tema dell’estasi mistica fa la comparsa proprio in questi anni con le raffigurazioni di alcuni tra gli artisti più eminenti nella scena artistica dell’arte veneta di prima generazione dopo la scomparsa del Caravaggio: il Saraceni appunto ma anche i veronesi Marcantonio Bassetti, Alessandro Turchi e Pasquale Ottino , il cui caravaggismo è solamente un ingrediente del loro stile aperto anche ad influenze veneziane, bolognesi e nordiche.
Questo tema si arricchisce di nuovi spunti riconducibili non soltanto alla matrice naturalistica di stampo caravaggesco ma anche ad un patetismo e ad un intimismo per certi versi sconosciuti alla pittura romana del ‘600. Il dipinto del Saraceni, che mostra l’apparizione dell’angelo al cospetto di San Francesco d’Assisi dopo aver ricevuto le stimmate, è un olio su tela di 181 x 115 cm, conservato attualmente presso la sagrestia della Chiesa del Redentore a Venezia. La scena si svolge in un interno domestico umile e rustico, rischiarato dalla luce divina che fa la sua comparsa attraverso il soave angelo che intona una melodia celestiale con il suo strumento ad arco, la qual cosa avviene in presenza di Frate Leone. Meraviglioso è il brano di pittura con l’angelo che atterra, in direzione del poverello di Assisi, sopra una nuvola bassa che occupa tutta la porzione in basso a sinistra della tela;
il fascio di luce proveniente dall’alto a sinistra, rende evidenti tutti i dettagli della povera stanza dove San Francesco appare disteso su un giaciglio con le braccia incrociate e la testa rivolta verso l’angelo: il pittore ha sapientemente caratterizzato l’angusto ambiente riempendolo di numerosi oggetti tra cui delle panche, una sedia, un povero lenzuolo, una cesta e due paia di sandali.
Il critico John Gash ha ravvisato delle evidenti affinità stilistiche tra il dipinto del Saraceni, realizzato tra il 1619-1620, e l’Annunciazione di Nancy del Caravaggio per alcuni dettagli presenti nell’Estasi di San Francesco, cioè la posizione dell’angelo che scende a terra poggiando i piedi sulla nuvoletta bassa e la presenza della piccola sedia in basso a destra. Inoltre, nella versione dell’estasi di San Francesco della Chiesa del Redentore, l’ambientazione è caratterizzata da un interno domestico rischiarato dalla luce divina mentre nel prototipo caravaggesco di Hartford il santo stesso, sostenuto da un angelo durante la visione estatica sul Monte della Verna, è immerso in una scena notturna, ambientata alle prime luci dell’alba, immediatamente dopo aver ricevuto le stimmate.
Francesco CARACCIOLO Roma 30 Gennaio