di Nica FIORI
Ars boni et aequi, ovvero l’arte del buono e del giusto: così è stato definito dal giurista Celso (II secolo d.C.) il termine latino ius (diritto), strettamente legato a quello di giustizia.
Se il concetto di giustizia non esistesse, non sarebbe possibile la convivenza civile in una comunità, pertanto in una maniera o nell’altra tutte le civiltà hanno dovuto regolamentare i rapporti tra le persone, ma è indubbiamente la società romana quella che ci ha lasciato una cultura giuridica così sviluppata da essere alla base del diritto moderno di ogni paese occidentale. Diritto che, da iniziale monopolio della classe sacerdotale, è divenuto nel tempo patrimonio della comunità, crescendo e sviluppandosi con l’apporto delle sentenze dei magistrati e della giurisprudenza, fino ad arrivare al Corpus iuris civilis (529-534), l’insieme di tutte le leggi romane contemporanee e precedenti alla sua compilazione, voluta dall’imperatore Giustiniano.
Gli aspetti più significativi del concetto di Giustizia a Roma vengono presi in esame dalla mostra “Lex. Giustizia e Diritto dall’Etruria a Roma”, promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata dal Centro Europeo per il Turismo, Cultura e Spettacolo, con il supporto di Zètema Progetto Cultura. L’esposizione, a cura dell’archeologo Vincenzo Lemmo (curatore anche del catalogo Gangemi), è ospitata fino al 10 settembre 2023 nel Museo dell’Ara Pacis, una sede che ci sembra quanto mai appropriata perché il grandioso altare, voluto da Augusto per esaltare la Pax Augustea, richiama con i suoi motivi ornamentali (pensiamo in particolare ai girali d’acanto) il ritorno della mitica “età dell’oro”, profetizzato da Virgilio nella IV egloga, quando parla di un fanciullo (puer) e di una vergine (virgo), che non è la Madonna, come sarebbe stata interpretata in seguito da lettori cristiani, bensì la dea della Giustizia, Astrea (corrispondente alla greca Dike), vergine in quanto incorrotta.
Il percorso si snoda attraverso più di 80 opere, provenienti dalle collezioni dei Musei civici di Roma Capitale, da musei e istituzioni nazionali e da collezioni private, suddivise in undici sezioni tematiche e affiancate da pannelli didattici in italiano e in inglese, oltre a filmati che presentano un ulteriore approfondimento di alcuni temi.
Nella prima sala espositiva, una gigantografia dell’incisione ottocentesca di Bartolomeo Pinelli, raffigurante Numa Pompilio riceve le Leggi dalla ninfa Egeria, introduce ad alcune narrazioni mitiche, legate ai concetti indagati nella mostra. “Né per diritto, né secondo giustizia” sono le parole usate per connotare il Giudizio di Paride, che avrebbe scatenato la guerra di Troia.
Lo troviamo riprodotto su un’anfora attica a figure nere del VI secolo a.C., prestata dal Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia. Gli è accanto un cratere (ceramica attica a figure nere, 570-760 a.C., Vetulonia Museo civico archeologico) con la raffigurazione del Riscatto del corpo di Ettore, episodio pure legato alla guerra di Troia, dal quale emerge un’idea di giustizia frutto della “comprensione della sofferenza”, ispirata ad Achille dalla volontà degli dei.
Un rilievo marmoreo con rappresentazione di un rito di fondazione (I secolo a.C., Siena collezione privata), rimanda a quel “solco primigenio” della fondazione di Roma, derivato da analoghi riti etruschi, che non poteva essere violato in quanto sacro, tanto da spingere Romolo a uccidere il gemello Remo che aveva osato varcarlo.
Nella Roma monarchica era forte il legame tra giustizia, diritto e religione: il re era colui che governava (rex deriva da regere, cioè governare) ed era allo stesso tempo ministro del culto. L’esigenza era quella di un’amministrazione della giustizia necessaria per mantenere in equilibrio il rapporto con gli dei, la pax deorum. Proprio per preservare questa pace, Numa Pompilio introdusse il collegio pontificale, con a capo il pontifex maximus.
Dal “diritto arcaico”, che ha inizio con la fondazione di Roma e arriva fino al primo periodo repubblicano, si passò al secondo periodo caratterizzato dalla prima codificazione scritta di leggi nelle celebri XII Tavole, promulgate nel V secolo a.C. per evitare che i magistrati potessero applicare le leggi, che prima erano tramandate oralmente, in modo arbitrario.
Un passo avanti fu nel III secolo a.C. il riconoscimento delle esigenze degli stranieri, tanto che a Roma uno dei pretori, il praetor peregrinus, aveva l’incarico di comporre le vertenze inter cives et peregrinos, cioè tra cittadini e stranieri e anche tra stranieri e stranieri. Ricordiamo che il pretore nel mondo romano era un magistrato che esaminava la vertenza tra le parti, riconducendola ad una formula interrogativa, alla quale un collegio di giudici doveva rispondere in senso affermativo o negativo.
Un altro aspetto della considerazione nella quale erano tenuti gli stranieri è documentato dalle tesserae hospitales, come la tessera a forma di leoncino esposta in mostra con il nome dell’ospitante e dell’ospitato.
Durante i mille anni che separano le Leggi delle XII Tavole dal Corpus di Giustiniano, l’evoluzione del diritto fu continua e sostanziale, grazie al lavoro di innumerevoli giuristi attraverso i secoli (celebri in particolare sono Salvio Giuliano, Ulpiano e Papiniano).
Tra i reperti di età repubblicana sono degne di attenzione alcune urne in alabastro da Volterra del II secolo a.C, con scene raffiguranti magistrati intenti ad amministrare la giustizia, processioni di magistrati e un sacrificio di prigionieri.
Pure esposta in mostra è un’ascia in ferro e bronzo in agemina (II secolo a.C., Chianciano Terme, Museo civico archeologico), che poteva essere usata sia per sacrifici, sia per la pena capitale.
Un settore espositivo è dedicato ai littori, i portatori dei fasci con le verghe importati dal mondo etrusco, che in origine dovevano proteggere il rex. Durante il periodo repubblicano e poi imperiale assunsero il ruolo, sia pure simbolico, di proteggere l’autorità dei magistrati. I magistrati potevano essere cum imperio (dittatori, consoli e pretori) o sine imperio (edili e questori), a seconda se avevano o meno il potere di infliggere condanne a morte.
Quel potere (imperium) era simboleggiato dalla presenza della scure nel fascio littorio. Il console era accompagnato da 12 littori, il pretore da 6; il dittatore arrivava ad avere 24 littori, perché subentrava a entrambi i consoli.
Nella sala principale un dipinto che colpisce la nostra attenzione è il bozzetto (olio su tela) raffigurante Cicerone denuncia Catilina al Senato, realizzato da Cesare Maccari per l’affresco di Palazzo Madama (sede del Senato italiano) nel 1880 ca. e proveniente da una collezione privata senese. L’episodio, risalente al tardo periodo repubblicano, è, per ironia della sorte, uno degli esempi più clamorosi di assenza di giustizia nel mondo romano. In effetti, i provvedimenti adottati da Cicerone (all’epoca del suo consolato nel 63 a.C.) contro i sostenitori di Catilina, lo portarono qualche anno dopo all’esilio, perché aveva violato la legge, avendo fatto giustiziare cittadini romani senza processo.
Troviamo poi diversi oggetti che illustrano l’attività dei magistrati, tra cui degli stili per scrivere su tavolette cerate, dei calamai per scrivere con l’inchiostro sui papiri e un contenitore di rotoli iscritti (volumina).
Una sezione è dedicata ai luoghi di amministrazione della giustizia (ricordiamo in particolare nel Foro Romano la basilica Emilia e la Giulia), dove si svolgevano i processi, sia in epoca repubblicana che in epoca imperiale.
E qui ricompare il primo imperatore, Augusto, che, come scrive Svetonio nella Vita Augusti:
“Costruì il suo foro perché, data l’affluenza della folla e il numero dei processi, i due esistenti non erano più sufficienti e sembra ci fosse bisogno di un terzo”.
Un grande plastico in legno e gesso, dal Museo dei Fori Imperiali, illustra questo foro che aveva al centro il tempio di Marte Ultore (vendicatore della morte di Giulio Cesare, alla cui gens Iulia Augusto apparteneva), mentre i porticati della piazza ospitavano i tribunali del praetor urbanus e del praetor peregrinus.
In epoca imperiale continua a persistere la relazione tra politica, amministrazione della giustizia e religione, evidente nelle rappresentazioni di Aequitas e Iustitia sulle monete e la personificazione di questi stessi concetti con membri della famiglia imperiale.
Augusto arrivò a istituire il culto dei Lares Augusti, ovvero i protettori della famiglia imperiale, che andò a sostituire quello dei Lares Compitales (protettori dei viandanti) nei crocicchi (compita).
Una testimonianza del culto verso i Lares Augusti è il bell’altare marmoreo (II-III secolo d.C. Musei Capitolini – Centrale Montemartini), decorato sui quattro lati, ritrovato nel vicus, che sorgeva all’incrocio con il vico Stablario (via di comunicazione con il Circo Flaminio). Vi sono raffigurati, oltre ai Lari, i vicomagistri, speciali figure minori (schiavi o liberti), scelte annualmente tra la popolazione di ogni singolo vico (sottodivisione della regione) per sovrintendere al culto dei Lares.
Nell’ultima parte del percorso espositivo vengono affrontati temi quali il matrimonio, che era un vero e proprio contratto tra le parti e poteva essere di più tipi, con o senza divorzio, la condizione servile, i crediti e debiti. Nella Roma arcaica e repubblicana, chi non pagava il proprio debito diventava schiavo del creditore.
C’è, inoltre, una sezione dedicata specificatamente all’amministrazione della giustizia in ambito militare con rare e preziose testimonianze dell’autorità e oggetti del giudizio.
Nell’ultima sala, dedicata alla “Giustizia nell’arte”, troviamo alcune allegorie della Giustizia, che tradizionalmente è raffigurata con la bilancia, il più antico degli attributi, al quale si aggiungono e si alternano nel tempo la spada, simbolo di punizione dei malvagi, il leone, simbolo di forza, e la cecità, segnalata dalla benda, come simbolo di imparzialità. Ricordiamo che il cristianesimo vede nella Giustizia una delle quattro Virtù cardinali, insieme a Prudenza, Fortezza e Temperanza.
In questa sala ci colpisce, come nel caso della prima sala, una gigantografia tratta da un’incisione della Istoria Romana di Bartolomeo Pinelli (1818-19), raffigurante questa volta l’uccisione di Orazia per mano del fratello Orazio, risultato vincitore dei Curiazi. Un esempio di femminicidio che ci fa rabbrividire, se pensiamo che la giovane donna venne privata della vita solo perché era innamorata di uno dei Curiazi. Episodi di questo tipo, così alieni dal nostro senso di giustizia, continuano purtroppo a riempire le pagine dei giornali e a offendere tutte le donne.
Un’appendice alla mostra è costituita da alcuni pregevoli reperti, dal Museo dell’Arte salvata, che testimoniano l’importante attività svolta dal Comando dei Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (TPC) nel recupero di opere di diversa tipologia e cronologia, presentate per la prima volta al pubblico.
Oltre a diverse ceramiche, sono esposti un frammento di obelisco in granito rosso, che apparteneva all’obelisco di Montecitorio (del faraone Psammetico II, inizio del VI secolo a.C.), donato al Ministero della Cultura dall’antiquario Carlo Maria Fallani, e una testa in marmo di Athena (II secolo a.C.).
Nica FIORI Roma 4 Giugno 2023
“LEX. Giustizia e Diritto dall’Etruria a Roma”
Museo dell’Ara Pacis, Lungotevere in Augusta, Roma
Dal 27 maggio al 10 settembre 2023
Orario: tutti i giorni 9,30-19,30 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) Info: 060608 (tutti i giorni ore 9.00- 19.00) http://www.museincomuneroma.it:
www.arapacis.it: www.zetema.it.