di Natale MAFFIOLI
L’IMMAGINE DELLA TRINITA’ NEL MONUMENTO SEPOLCRALE DEL CARD. ALESSANDRO CRIVELLI NELLA CHIESA ROMANA DELL’ARACOELI[1]
Nella chiesa romana di Santa Maria in Aracoeli, sulla parete di fondo del transetto sinistro, un poco sacrificato dalla presenza preponderante del monumento di papa Leone X (un tempo era in una sala del Campidoglio), è addossato il monumento funebre (fig. 01) che il cardinale milanese Alessandro Crivelli[2] si è fatto erigere quando era ancora in vita.
Il cenotafio ha un forte sviluppo verticale; la base è fatta da una lastra in breccia di Serravezza, inserita in un fondo di marmo bianco di Carrara e questa è supportata da due mensole porgenti che reggono una cornice aggettante, sempre in marmo bianco di Carrara e da due peducci terminali di profilo.
Tutta la struttura del monumento è in marmo bardiglio, eccettuati alcuni inserti in marmo Bianco: su quello inferiore sono descritte le ‘imprese araldiche’ della famiglia Crivelli (fig. 02), fatte proprie dal cardinale, al centro è posto un crivello (da questo oggetto deriva il nome della famiglia, un setaccio) con un motto inciso sul bordo interno in lettere maiuscole: “SORDIDA PELLO”[3];
l’oggetto è affiancato da due liocorni fiammeggianti che reggono due torce accese avvolte da un cartiglio sul quale si legge la scritta in francese: “P0UR SAVVER LIAUTE”[4]. Nella specchiatura superiore del monumento, affiancata da due mensole piatte con al centro delle eleganti foglie decorative, è posto, a bassorilievo, lo stemma gentilizio del prelato (fig. 03):
“Inquartato di rosso e d’argento col crivello d’oro attraversante in cuore. Capo d’oro caricato di un’aquila di nero”
sulla fascia di bardiglio che sovrasta l’emblema araldico è posta la data di morte del cardinale “OBBIIT DIE XXII DECEMB A.D. MDLXXIV”[5].
Dunque, come si evince dalla scritta successiva, il cardinale moriva due anni esatti dopo essersi fatto erigere il monumento funebre.
Tra due urne marmoree, in marmo bianco arricchite da baccellature in marmi colorati, è collocato l’ovale con il ritratto, su tela, del prelato (fig. 04), attribuito a Marcello Venusti (1510-1579). Il cardinale è rivesto con gli abiti tipici del suo rango: mozzetta, zucchetto e berretta rossa e un candido colletto che evidenzia il nobile volto barbuto e lo sguardo intelligente.
Sulla cornice di marmo bigio che sovrasta il dipinto vi è apposta la scritta: “A TE VITA PER TE SALUS IN TE REQUIES”[6] Due cartigli racchiudono l’effigie; in quello superiore compare l’iscrizione, a caratteri maiuscoli: “ALEXANDER CRIBELLUS MEDIOLANEN TITULI SANCTAE MARIAE IN ARACOELI S.R.AE. PRAESBITER CARDINALIS”[7] (fig. 05), sul cartiglio inferiore è apposta la frase: “SEXAGESIMUM AGENS ANNUM VIVENS SIBI POSUIT AN. M.D.LXXI. MENSE DECEMB. DIE XXII” (fig. 06)[8].
LA TRINITA’
La parte sommitale del cenotafio è occupata da una nicchia con frontone a cornice modanata, sempre realizzata in bardiglio ed è affiancata dagli elementi di un timpano spezzato, su questi sono collocati due piccoli obelischi in breccia di giallo antico, su tutto sovrasta una semplice croce, sorretta da un plinto baccellato.
Nell’edicola è collocata un’immagine della Trinità (fig. 07);
la scultura, in marmo bianco di Carrara, è stata presumibilmente eseguita verso l’anno 1571, anno di realizzazione del cenotafio ed è interessante, per i motivi più diversi; la figura dell’Eterno Padre indossa un pileo fig. 08), il tipico copricapo in uso presso i romani a forma di cono e la statua a cui può avere fatto riferimento è certamente quella di uno dei Dioscuri (il pileo era di fatto un loro copricapo tradizionale), attualmente collocata al termine sulla cordonata che porta a piazza del Campidoglio (fig. 09), la scultura rinvenuta nel 1560 nell’area del ghetto, faceva parte di un tempio dedicato ai Dioscuri, l’autore della scultura della Trinità può averla vista e forse disegnata, in questa occasione.
È proprio grazie a questo abbigliamento che possiamo annoverare l’autore della Trinità nel gruppo dei ‘romanisti’, cioè appartenente a quella folta schiera di artisti che provenivano dalle Fiandre ed erano così definiti nell’Ottocento, con una nota di disprezzo, dai loro conterranei che li ritenevano dei ‘traditori’ della pura arte nordica.
Nessuno degli autori contemporanei o posteriori alla data di creazione del monumento Crivelli avrebbe mai agghindato la testa dell’Eterno Padre con un simile copricapo se non fosse stato un cultore delle sculture dell’antichità romana, uno straniero che proveniva dal nord Europa e che guardava con animo pieno di meraviglia il mondo classico-romano, in definitiva, un forestiero.
Alcuni elementi associati alla giacitura della figura paterna danno spazio per considerarlo quale riproposizione di alcuni elementi del Laocoonte[9] (fig. 11). certo i riferimenti alla statua antica possono essere ritenuti labili.
Ad es. le dimensioni ridotte dell’altorilievo, il Laocoonte è nudo mentre la figura della Trinità è vestita di tutto punto, ma alcuni particolari possono rimandare alla statua antica: le possenti gambe divaricate (fig. 12), che si intravvedono sotto le spesse vesti, possono essere un valido indizio per sottolineare la ‘parentela’ tra le due sculture.
La collocazione dei piedi è in perfetta sintonia con quanto si nota nella figura classica, sono elementi talmente significativi che sono determinanti anche in un’altra opera cinqecentesca molto vicina al Laocoonte: le gambe divaricate sono una caratteristica del Cristo nella Flagellazione di Cristo, (fig 13) una placchetta d’argento, parzialmente dorata, e firmata OP- MODERNI e conervata al Kunsthistorishe Museum di Vienna (ritenuta il prototipo da cui sono derivate le versioni in bronzo) realizzata nel 1510 ca. da Galeazzo Mondella detto il Moderno[10]. L’immagine della placchetta, prescindendo dal fatto che è sostanzialmente un‘opera sacra, ha tutte le caratteristiche per essere considerata una riproposizione dell’immagine del Laocoonte, e la caratteristica che le dà questa patente, oltre che all’essere nuda, è il braccio destro piegato dietro la spalla dell’eroe troiano e ciò che la rende vicina alla Trinità è la posa delle gambe allargate (fig.14), i piedi distanziati e appoggiati al piano di marmo, richiamano la giacitura dell’eterno Padre come ad una riproposizione di alcuni elementi del Laocoonte.
IL VOLTO DEL PADRE COME “IMAGO DOLORIS”
Si può affermare che il volto del Padre nella Trinità sia segnato da una smorfia di dolore, di certo è decisamente più coinvolgente la sofferenza segnata sul sembiante di Laocoonte: un padre che, impotente, assiste alle fine dei suoi figli morsi dai serpenti inviati dagli dei; il viso del Padre dalle sopracciglia inarcate la barba e i capelli scomposti, narrano di certo il dolore del Padre mentre espone il Figlio morto in croce. il Laocoonte servì come supremo exemplum doloris.
Ecco allora che l’immagine di questa Trinità è modello per la passione del Cristo e raccoglie tutte le indicazioni della sofferenza cristiana.
LA TOMBA DI FELICE DE FREDIS (fig. 15)
Di certo non è così determinante in riferimento alla Trinità però è interessante sapere che nella stessa chiesa dell’Aracoeli si trova la tomba del proprietario del luogo dove fu rinvenuta la statua, e sulla lapide della copertura del suo loculo si legge:
”FELICE DE FREDIS QUI OB PROPRIAS VIRTUTES ET REPERTUM LAOCCOONTIS DIVINUM QUOD IN VATICANO CERNIS FERE RESPIRANS SIMULACRUM IMMORTALITATEM MERUIT FEDERICOQUE PATERNAS ET AVITAS ANIMI DOTES REFERENTI INMATURA NIMIS MORTE PRAEVENTIS HERONIMA BRANCA UXOR ET MATER IULIAQUE DE FEDIS DE MILITIBUS FILIA ET SOROR MODESTISSIME POSUERUNT ANNO DOMINI MDXXVIIII”[11].
Natale MAFFIOLI Torino 24 Marzo 2024
NOTE