di Nica FIORI
“Scendere agli Inferi è facile: la porta di Dite / è aperta notte e giorno; ma risalire i gradini /e tornare a vedere il cielo, qui sta il difficile / la vera fatica”.
Così afferma la Sibilla Cumana nel VI canto dell’Eneide di Virgilio, quando Enea si accinge a entrare nel regno dei morti per farsi predire il suo destino. È proprio partendo da questi versi che Dante, grande ammiratore di Virgilio, si fa guidare da lui per intraprendere con la sua fervida fantasia e la sua eccelsa poesia un viaggio straordinario, che si conclude con la visione di Dio.
A settecento anni dalla sua morte le Scuderie del Quirinale gli rendono omaggio con la mostra “Inferno”, curata da Jean Clair e dalla moglie Laura Bossi, che sarà visitabile fino al 9 gennaio 2022.
Che la mostra dovesse trasformarsi in un grande evento epocale lo si era capito dal clima di attesa che l’ha preceduta, in particolare quando si è dato grande risalto all’arrivo della Porta dell’Inferno di Auguste Rodin (gesso prestato dal Musée Rodin di Parigi), alta ben sette metri.
Del resto il nome prestigioso del suo ideatore Jean Clair e le oltre 200 opere provenienti da molti musei e biblioteche internazionali non possono non attirare una grande massa di visitatori, tanto che le Scuderie hanno previsto la possibilità di un prolungamento dell’orario di visita in alcuni giorni e una serie di incontri culturali, detti “Infernauti”, dedicati ad approfondimenti collaterali al tema trattato.
“È una mostra che intende invitare il pubblico a nuove visioni e nuove riflessioni”– ha dichiarato il presidente delle Scuderie del Quirinale Mario De Simoni :
“Attraverso l’iconografia dell’Inferno dantesco, si giunge infatti non solo nei territori della forma e del gusto nelle arti, ma in quelli della storia delle idee e delle mentalità, con un’indagine serrata, per quanto consentito dagli specifici linguaggi di una mostra, anche sulla persistenza dei concetti di peccato e castigo, di dannazione e salvezza”.
In un periodo in cui la religione è quasi scomparsa dalla nostra vita e l’affermazione di san Filippo Neri “Preferisco il Paradiso” (che dà il titolo a uno sceneggiato televisivo magistralmente interpretato da Gigi Proietti) suona un po’ antiquata, si è scelto di farci entrare nei gironi infernali e fare la conoscenza di Satana e del Male in tutte le sue sfaccettature, piuttosto che affrontare la visione globale dell’aldilà così come l’ha concepita Dante nella Divina Commedia. Per quanto mi riguarda, io avrei preferito ascendere con Dante fino al Paradiso, perché, dopo essermi immersa per due ore nella cupezza del tema espositivo, non vedevo l’ora di riveder la luce. Perfino la visione del cielo notturno nell’ultima sala, che rievoca l’ultimo verso dell’Inferno “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, non mi bastava, anche se apparentemente foriera di speranza.
Proprio come mi era accaduto alcuni anni fa, quando, in occasione della mostra “L’Età dell’angoscia”, ospitata nei Musei Capitolini, ho pensato che quel titolo, relativo alla crisi del III secolo d.C., rispecchiasse un analogo momento di crisi dell’età contemporanea, allo stesso modo la mostra Inferno mi sembra in perfetta sintonia con la negatività che si avverte attualmente nell’aria, il cambiamento climatico, le alluvioni, le carestie, i terremoti e da ultimo la pandemia da covid 19, oltre, ovviamente, alla mostruosità di certi comportamenti umani, tra guerre, totalitarismi, fanatismi e alienazioni. Forse, come cantavano i Nomadi, “Dio è morto”, proprio come gli dei dell’antichità, e il nostro pianeta sta precipitando lentamente in una condizione di non ritorno all’equilibrio, in un emblematico passaggio agli Inferi.
Gli stessi curatori Jean Clair e Laura Bossi hanno dichiarato:
“Il tema dell’Inferno si è imposto come un’evidenza. Non solo perché rispetto alle altre cantiche è senza dubbio la straordinaria iconografia infernale ad aver maggiormente ispirato gli artisti, con un duraturo impatto sulla cultura visiva europea; ma anche per la sua attualità, in un mondo in cui la distruzione della natura, la crisi sociale e culturale ci inducono a riflettere sul destino dell’umanità e sulle cose ultime”.
Anche la cupa immagine guida della mostra, il Lucifero di Franz von Stuck, fa pensare a un inquietante destino e a me ha fatto venire in mente un vecchio film di fantascienza, intitolato “1975 Occhi bianchi sul pianeta terra”, dove pochi uomini (tra cui il protagonista Charlton Heston), sopravvissuti a una guerra batteriologica, combattono contro dei mutanti non più umani, simbolo di malvagità e vampirismo.
Dopo questa premessa, devo riconoscere che “Inferno” è, sia pure con qualche riserva da parte mia sulle scelte espositive e sull’allestimento, una mostra capace di suscitare forti emozioni. Partendo dalla visione di Dante, vengono affrontate tematiche e soggetti distinti, secondo una cronologia trasversale: l’Origine dell’inferno come regno di Lucifero, il Giudizio universale, Viaggiatori all’inferno e paesaggi infernali, la topografia dell’Inferno, Dante autore della Divina Commedia, la natura multiforme del Diavolo e soprattutto la sua figura di Tentatore, fino ad arrivare agli inferni umani (guerra, prigionia, follia) e ai campi di sterminio. L’ultima sala, evocativa della salvezza e dell’anelito verso l’assoluto, è intitolata “Rivedere le stelle” e propone immagini ottocentesche di nebulose e della via Lattea, alcuni dipinti del Novecento e le riprese effettuate nel 2014 dalla Nasa.
In mostra possiamo ammirare alcune opere di grande valore storico-artistico, a cominciare dalla Voragine infernale di Sandro Botticelli, dipinta su pergamena (concessa in prestito dalla Biblioteca Apostolica Vaticana solo per le prime due settimane della mostra). Tra le altre opere troviamo il Giudizio Finale del Beato Angelico,
Le tentazioni di Sant’Antonio Abate di Jan Brueghel, Inferno di Pieter Huys,
Satana schiera le sue legioni di Thomas Lawrence,
Dante Alighieri di William Blake, Virgilio e Dante nel IX girone dell’Inferno di Gustave Doré, Il peccato di von Stuck, La pazza di Giacomo Balla, Le stelle cadenti (Sternenfall) di Anselm Kiefer.
Meritano la nostra attenzione anche le grandi stampe che Federico Zuccari e Antonio Stradano hanno dedicato alla Divina Commedia, come pure le illustrazioni di Gustave Dorè e di Miquel Barcelò, la Tentazione di Sant’Antonio di Lucas Cranach (xilografia post 1508), le Carceri d’invenzione di Piranesi.
Mi hanno incuriosito alcune opere come l’Inferno di un anonimo portoghese (olio su tavola, 1510-20), per la presenza di un calderone dove bruciano i dannati,
calderone presente anche nel dipinto di un seguace di Bosch,
e Le tentazioni di Sant’Antonio di Domenico Morelli (1878), dove il santo è raffigurato con l’abbigliamento di un beduino nordafricano.
Decisamente spettacolare è il Teatrino napoletano Inferno con pupi siciliani, proveniente dal Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino di Palermo.
È stato accostato in mostra al celebre Demonio in legno policromo (XVIII secolo), proveniente da Valladolid.
Mi hanno colpito particolarmente anche il plastico della sala anatomica dell’Università di Padova, ispirata ai gironi dell’Inferno dantesco e un disegno di Athanasius Kircher relativo alla Torre di Babele. Oltre alle pitture e alle sculture, sono esposti manoscritti, codici miniati e fotografie suggestive, come quella dell’Orco nel parco di Bomarzo o l’entrata grottesca al Cabaret L’Enfer, celebre ritrovo parigino dei surrealisti.
Queste due immagini, con il loro aspetto antropomorfo carico di orrore, sono inserite nella sezione “La bocca dell’Inferno”, associata ad alcuni episodi della mitologia cristiana, come la Caduta degli angeli ribelli, il Giudizio universale e la Discesa di Cristo al Limbo, una discesa che porta alla liberazione delle anime che avevano creduto in Cristo venturo e che è ricordata in mostra dal calco novecentesco della chiave di volta della chiesa di Saint Maurice di Vienne (fine del XV secolo). Spettacolari in questa sezione sono i codici miniati, tra cui Winchester Psalter (metà del XII secolo) proveniente dalla British Library di Londra, e La città di Dio di sant’Agostino, riprodotta in un manoscritto quattrocentesco, proveniente dalla Bibliothèque Sainte Geneviève di Parigi.
L’opera più monumentale della mostra, collocata nella prima sala del percorso espositivo, è sicuramente la versione in gesso della celeberrima Porta dell’Inferno di Auguste Rodin (modello di fusione in scala 1:1), realizzata nel 1989 per la fusione di uno degli ultimi esemplari bronzei dell’opera. Rappresenta il vertice delle riflessioni artistiche dello scultore sul poema di Dante, attraverso la raffigurazione di numerose figure di dannati, che esprimono con i loro gesti la disperazione. Il gruppo delle Ombre che sovrasta il monumento evoca l’iscrizione dantesca: “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”. Quanto a Dante, è raffigurato con la mano sotto il mento come Pensatore, figura che inizialmente doveva rappresentare Minosse.
Nella stessa sala, il cui tema è “L’origine dell’Inferno”, troviamo tra le altre opere il dipinto di Andrea Commodi La caduta degli angeli ribelli (1612-14, Gallerie degli Uffizi, Firenze) raffigurante la vittoria delle schiere guidate da San Michele arcangelo su quelle ribelli di Lucifero. Ci colpisce ancora di più per il suo virtuosismo La caduta degli angeli ribelli attribuita a Francesco Bertos (1706-1739, Vicenza, Banca Intesa San Paolo), una composizione a struttura piramidale con 60 figure realizzate in un blocco unico di marmo di Carrara. Quando la vide Herman Melville nel 1857, ne rimase talmente impressionato da dedicarle una conferenza.
Il Giudizio universale è pure presente in questa sezione in un olio su tavola del Maestro della glorificazione della Vergine (attivo a Colonia nella seconda metà del XV secolo) e del più noto Giudizio finale dell’Angelico del 1425.
In questa prima sala mi è particolarmente piaciuto il fatto che la porta di Rodin, collocata frontalmente nel passaggio alla seconda sala, sembra introdurre al tema successivo (La bocca dell’Inferno): è un posizionamento scenografico che compare anche nelle altre sale, dove sono state scelte delle opere per legare tra loro le varie sezioni.
Una cosa che pure ho apprezzato in mostra è la grande abbondanza di testi letterari e poetici, oltre ai versi di Dante. Si va da San Giovanni Evangelista a Sant’Agostino, da Virgilio a Ovidio, fino ad arrivare a poeti e letterati più recenti quali Baudelaire, Leopardi, Ungaretti, Rilke, Goethe, Calvino, Primo Levi, Simone Weil e tanti altri, che accompagnano il visitatore nelle diverse sale per illustrare le rappresentazioni artistiche dell’Inferno succedutesi nei secoli, gli inferni sulla terra e l’ultima sala dedicata alle stelle.
Non sono riuscita ad apprezzare, invece, la scelta cromatica delle pareti scurissime (soprattutto al pianterreno), dei pannelli esplicativi e delle didascalie, la cui lettura risulta troppo spesso faticosa (e talvolta illeggibile), ma questo è un problema abbastanza ricorrente nelle mostre, i cui allestitori preferiscono puntare su un effetto estetico di grande impatto, con un’illuminazione che dà risalto alle opere esposte, trascurando la leggibilità delle spiegazioni didattiche. Il risultato è che, se si vuole approfondire quanto visto, è meglio ricorrere all’audioguida, oppure acquistare il catalogo (edito da Electa).
Mi ha deluso, inoltre, la mancanza di qualsiasi riferimento artistico all’antichità classica, che per Dante è stata decisamente formativa. Un esempio su tutti potrebbe essere quello di Caronte, che Dante colloca nell’Inferno come traghettatore delle anime, prendendolo pari pari dall’Ade dei Greci e dei Romani. Forse una statua di Caronte, come per esempio quella del museo archeologico di Cerveteri, ci sarebbe stata bene, mentre in mostra troviamo solo dei dipinti ottocenteschi che raffigurano il traghettatore così come l’ha descritto il sommo poeta: “Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo …”.
In verità ho sentito anche la mancanza del personaggio di Ulisse, che secondo me è quello più riuscito dell’Inferno, e la cui figura poteva essere facilmente reperita in alcuni musei italiani, mentre sono abbondanti le raffigurazioni pittoriche di Paolo e Francesca, protagonisti di un’intera sezione, e del Conte Ugolino, un personaggio cui ho dedicato un mio articolo in questa stessa rivista, ponendo in risalto il suo legame con il mito greco di Melanippo e Tideo, come Dante ben sapeva.
Questa scelta mi ha stupito, anche perché Jean Clair e Laura Bossi nei loro saggi in catalogo parlano dei miti antichi. Clair avvicina la figura di Satana a quella di Crono – Saturno, che mangia i propri figli, e cita i Giganti, nati da Gea (la Terra) e da Urano (il Cielo):
“Esseri primordiali e possenti, conservano a volte dei tratti animali primitivi: capigliatura irsuta, un solo occhio, braccia multiple o membra inferiori serpentine. Comprendono le famiglie dei Titani, dei Ciclopi, dei Centimani. Sono riuniti da un comune odio verso gli dei, che combattono nelle gigantomachie. Zeus li vincerà e imprigionerà i Titani nel Tartaro, il più profondo degli Inferi”.
Il mito racconta che Urano viene castrato da Crono, il più giovane dei Titani, che i romani chiameranno Saturno, il quale a sua volta ingoierà i propri figli prima di essere spodestato da Zeus.
Dante colloca sei giganti biblici e classici nel XXXI canto dell’Inferno, conficcati nella pietra intorno al pozzo del IX cerchio. Sono i guardiani del cerchio dei traditori, perché i giganti peccarono di superbia, proprio come gli angeli ribelli e, come ricorda Clair, lo stesso Lucifero di Dante somiglia ai giganti e ricorda in particolare la figura del dio Saturno anche nel nome di Satana. Ancora nel pieno Rinascimento si pensava che
“la figura del dio cannibale, – come scrive ancora Clair nel suo saggio – che governa dal pianeta più lontano dalla terra gli umori più neri, la bile nera del genio e della malinconia, evocava anche un’immagine del Medioevo familiare in Italia, quella del diavolo malinconico e gigantesco, del colosso seduto in fondo all’Inferno, come quello rappresentato nei muri del Camposanto di Pisa, nei mosaici di Torcello o di Firenze, o da Giotto a Padova”.
Ho notato che la malinconia del diavolo, evidenziata dal gesto della mano, è presente anche nel moderno Lucifero di Franz von Stuck (1890-1891, National Gallery, Sofia).
Laura Bossi nel saggio “L’inferno, una topografia del male” cita i visitatori dell’Inferno nelle opere dei classici greci e latini: Dioniso, Eracle, Teseo, Orfeo, Psiche, Ulisse che, “benché non vi entri, riesce apparentemente a dare un’occhiata al regno delle ombre” e ovviamente Enea che, “accompagnato dalla Sibilla Cumana, scende nell’Averno per incontrare i Mani di Anchise”.
Ebbene, nella mostra, pur dedicando un settore a questi “viaggiatori” d’eccezione, ci si limita a inserire solo alcuni dipinti di arte moderna, come per esempio Orfeo negli Inferi di Henri Régnault del 1865 ca. (dal Museo d’Orsay di Parigi).
L’impressione è che il settimo centenario della morte di Dante sia stata l’occasione per i curatori di fare una mostra internazionale, che punta alla modernità, interrogandosi sul Male, che ha tormentato l’umanità fin dalle origini, e sulla presenza nella nostra coscienza collettiva di un concetto di inferno, che indubbiamente nel tempo è cambiato (su questo vedi anche il recente intervento di Giorgia Terrinoni su About Art https://www.aboutartonline.com/inferno-alle-scuderie-del-quirinale-il-genio-di-jean-clair-apre-il-percorso-verso-uno-dei-grandi-problemi-sui-quali-la-filosofia-sinterroga-da-un-paio-di-millenni-il-male/ ). Ho trovato interessanti gli accostamenti tra i gironi infernali e le fabbriche e le catene di montaggio, le miniere con i loro pozzi e le gallerie labirintiche, in cui gli operai somigliano ai dannati, come pure le reclusioni nei manicomi.
Anche la guerra con le sue atrocità è cambiata rispetto al passato ed è in grado di operare con le sue armi chimiche, batteriologiche e nucleari distruzioni di massa. L’apice del Male si è raggiunto nei campi di sterminio, trattati nella sala 9, che presenta tra le altre cose alcuni dipinti, tra cui quello gigantesco intitolato Piccolo campo a Buchenwald di Boris Taslitzky (1945, Centro Pompidou di Parigi)
e l’originale della bozza di Se questo è un uomo (1858), di Primo Levi, che raccoglie le memorie relative al suo periodo di prigionia nel lager di Buna-Monowitz, campo satellite di Auschwitz, dal gennaio 1944 al febbraio 1945. Primo Levi fu uno dei pochi ebrei italiani sopravvissuti e il suo è un libro che tutti dovremmo leggere.
Nica FIORI Roma 31 ottobre 2021
Scuderie del Quirinale, via XXIV maggio, 16 – Roma
Orario: tutti i giorni dalle 10 alle 20. Per informazioni: www.scuderiequirinale.it