di Giulio de MARTINO
Nel grande, luminoso e colorato spazio espositivo della Mucciaccia Gallery, a Roma a piazza Fontanella di Borghese, una disseminazione di tele, oggetti e installazioni accoglie e ipnotizza il visitatore. Sapendo che si tratta di un “Tête-à-tête” di artisti che fanno coppia nella vita e nell’arte si è tentati di scoprire, come in un gioco di specchi, il percorso comune tra l’una e l’altra delle opere.
La realtà, però, non è così semplice. I materiali e i linguaggi dell’arte contemporanea sono multiformi. Se la storia personale ha portato questi artisti a vivere insieme, alcuni hanno elaborato un piano di lavoro comune, mentre altri hanno creato ognuno il suo linguaggio e la trama esistenziale, pure allusa nelle opere, si lascia soltanto intuire.
Si tratta di una mostra plurale e collettiva, con una grande estensione di temi e linguaggi. Le opere esposte sono sia il riflesso del lavoro del singolo che la risultante di una interazione più o meno esplicita o più o meno occulta. Il percorso espositivo, oltre che duale, risulta quindi triplice e complesso. Lo si può leggere per sinergia e collaborazione, ma anche per divergenza e differenza.
Molto utile, come mappa topografica, è il catalogo edito da Silvana Editoriale e curato – come la mostra – da Catherine Loewe, con la direzione artistica di Massimiliano Mucciaccia.
I ritratti delle coppie di artisti sono stati scattati dalla fotografa e artista iraniana Maryam Eisler e sono esposti lungo tutta una parete al piano inferiore. Colgono e amplificano il doppio livello linguistico e tematico su cui si è sviluppata la relazione/disgiunzione tra gli artisti.
Il significato proprio del tête-à-tête allude a quella situazione in cui due persone si isolano dagli altri per avere tra di loro una conversazione e uno scambio più riservati e intimi. L’opera d’arte che scaturisce da un tête-à-tête diventa una sorta di appuntamento, una occasione d’incontro a più elevata intensità. L’opera non è il monumento isolato di un trascendimento individuale, ma è il luogo in cui si fondono gli orizzonti del maschile e del femminile. È il divano a due posti costituito da due poltrone contrapposte che si prolungano l’una nell’altra.
La storia dell’arte contemporanea ha conosciuto numerosi casi in cui la vita degli artisti si è posta in tensione con una relazione affettiva: pensiamo a coppie come Amedeo Modigliani e Jeanne Hébuterne, Robert e Sonia Delaunay, Frida Kahlo e Diego Rivera, Jackson Pollock e Lee Krasner, come pure Gilbert & George, all’anagrafe Gilbert Prousch e George Passmore.
La curatrice della mostra, Catherine Loewe, ha osservato che «le relazioni private tra gli artisti possono creare un terreno fertile per la creatività», ma comportano anche un tracciato di sfide. La relazione affettiva sviluppa il senso tolleranza e determina un compromesso creativo. Ma il programma di lavoro e gli impegni espositivi internazionali di questi artisti possono entrare in conflitto con le esigenze della vita di coppia e di famiglia.
La mostra di Mucciaccia ci dice che, nel contemporaneo il maschile e il femminile si trovano dallo stesso lato dell’arte e suggerisce la dualità fusionale dello yin e yang: i due opposti che si bilanciano poiché sono entrambi l’espressione di un’unione invisibile.
Se Sue Arrowsmith (Manchester, 1968) e Ian Davenport (Sidcup, 1966), tutti e due pittori, per questa mostra hanno creato opere in dialogo tra loro ispirandosi però a linguaggi del tutto opposti, Rob & Nick Carter, (UK, 1968 e 1969) lavorando insieme sono andati oltre i confini delle nuove tecnologie. Hanno attinto al patrimonio della storia dell’arte usando per le loro opere video, stampa 3D e pittura con robot. Carolina Mazzolari (Milano, 1981) e Conrad Shawcross (Londra, 1977) in mostra hanno portato i tessuti cuciti da Carolina e le sculture geometriche in acciaio di Conrad dando forma ad opere tanto complementari quanto divergenti.
Tutti gli artisti in mostra – accanto allo specifico contenuto estetico delle opere – è come se si impegnassero su di un piano comunicativo ulteriore.
Abituati a pensare agli artisti come a geni monadici, solitari esploratori dello spazio e del tempo, abbiamo focalizzato superficialmente quelle coppie di talenti creativi, designer e architetti, pittori e scultori, fotografi e attori, artisti e artiste che hanno segnato la storia delle loro discipline e dei loro linguaggi con una creatività che ha superato lo steccato del genere e si è esalta nella condivisione degli affetti.
Per alcuni artisti – è il caso di Ilya and Emilia Kabakov – l’arte è scaturita da una vita condivisa, con opere che provenivano da un’unica fonte creativa. Emilia Kabakov (Dnipropetrovsk – URSS, oggi Dnipro, Ucraina 1945), l’anno scorso ha perso il marito Ilya (Dnipropetrovsk – URSS, oggi Dnipro, Ucraina 1933 – New York 2023) ma, dopo 35 anni di matrimonio, ne parla, ancora oggi come se loro due fossero «una cosa sola» uniti nell’arte. Come nell’arazzo in mostra in cui, intorno a tanti che restano, sospesi sui tetti della città, tanti altri vanno e vengono – anch’essi in volo – presenti nella lontananza.
Diverse mostre e ricerche, da alcuni anni, hanno indagato i rapporti, personali tra gli artisti: le convergenze e i motivi di contrasto. L’arte in due unisce passione a passione e sono molti gli artisti che hanno rafforzato, attraverso il legame affettivo, le loro intuizioni creative.
La tradizione scolastica che ha coltivato il mito del genio solitario, dell’artista maledetto e asociale, della triste sublimazione estetica, ha colto molto parzialmente la realtà. Il processo creativo è stimolato e completato dal rapporto con gli altri e con la persona amata.
La mostra di Mucciaccia ribadisce la totale falsità dell’ideologia che relega le donne nel ruolo passivo di muse ispiratrici del geniale artista maschile, come pure nega il mito opposto, ma simmetrico, della donna che, per essere artista, diventa solitaria e individualista.
Nelle coppie di artisti in mostra, lo sforzo creativo appartiene ad entrambi e può dirigersi sia verso la realizzazione comune sia verso l’autonomia personale. In particolare nel contemporaneo si avverte il bisogno di una interpretazione dell’arte meno convenzionale, più centrata sull’importanza della collaborazione e dei rapporti intimi e personali, dove l’arte e l’amore si esplicano in forme libere, eterogenee e imprevedibili.
Giulio de MARTINO Roma 12 MaGGIO 2024