di Nica FIORI
“Ciascun momento, ciascun attimo è di un valore infinito, poiché esso è il rappresentante di tutta un’eternità”.
Come sapientemente espresse Goethe in questa sua massima, istante ed eternità sono due concetti solo apparentemente in contraddizione e noi esistiamo per rendere eterno ciò che è passeggero. La mostra “L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi” è particolarmente apprezzabile perché tratta un tema affascinante, come quello del Tempo, e allo stesso tempo rivela ai visitatori, dopo una chiusura pluridecennale, la bellezza di cinque Grandi Aule delle Terme di Diocleziano (in piazza della Repubblica), che avevano visto nel 1911 una grandiosa mostra archeologica in occasione del 50° anniversario dell’Unità d’Italia, ma che in seguito sono state adibite a depositi del Museo Nazionale Romano.
Messe in sicurezza e svuotate (non completamente), le Aule accolgono, fino al 30 luglio 2023, ben 300 opere, delle quali 65 provenienti dalla Grecia. L’idea alla base dell’esposizione è quella di raccontare il rapporto che ci lega alle civiltà del passato, evidenziando dal confronto tra opere italiane e greche le comuni radici della cultura occidentale.
Il titolo riecheggia in parte quello della mostra “Pompei Santorini. L’eternità in un giorno” (ospitata tra il 2019 e il 2020 nelle Scuderie del Quirinale), forse perché, anche questa volta, tra i curatori figurano Massimo Osanna, attuale Direttore Generale Musei, e Demetrios Athanasoulis, Direttore dell’Eforia delle Antichità delle Cicladi, ai quali si aggiungono Stéphane Verger, Direttore del Museo Nazionale Romano, e Maria Luisa Catoni. In effetti, anche se la presenza di opere del Museo ospitante è preponderante, sono notevoli i reperti provenienti da Pompei e da Santorini, la splendida isola delle Cicladi, chiamata anticamente Thera.
Appena entrati, ci accolgono i calchi dei corpi di due uomini, ritrovati nel 2020 nella villa di Civita Giuliana presso Pompei, ottenuti con una tecnica, ideata nel 1863 dall’archeologo Giuseppe Fiorelli, consistente in colature di gesso liquido entro gli stampi naturali formati dalle ceneri. Un riempimento che ha reso possibile offrire alla nostra vista il drammatico “istante” di una morte avvenuta nel corso dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.
Santorini, da parte sua, ha prestato, tra le altre cose, la monumentale Kore che chiude il percorso. La statua in marmo (VII secolo a.C.), rinvenuta nella necropoli, si erge alta nella sua semplicità ed eleganza, evidente soprattutto nell’accurata acconciatura e nella lunga veste che nasconde la parte inferiore del corpo, tranne i piedi appena accennati. La fanciulla porta la mano al petto e ha lo sguardo perso nel vuoto nel tipico atteggiamento idealizzato delle sculture di epoca arcaica. Anche in questo caso, il reperto ci appare fortemente emblematico dell’eternità di un attimo, fermato dallo scultore nell’intento di rendere immortale la giovane donna raffigurata.
Molte delle opere in mostra, tra cui la stessa Kore di Santorini, vengono presentate al pubblico per la prima volta. Ricordiamo, in particolare, le ultime scoperte, come il carro cerimoniale di Civita Giuliana e la statua di un uomo raffigurato come Ercole del Parco Archeologico dell’Appia Antica, oltre alla Tabula Chigi, che è una nuova acquisizione del Museo Nazionale Romano, e ai numerosi capolavori solitamente conservati nei depositi dei musei dell’Italia e della Grecia.
Come ha sottolineato Stéphane Verger nel corso della presentazione, la mostra si riaggancia in questo modo al progetto “Depositi (Ri)scoperti”, ideato e promosso dal museo ospitante, permettendo non solo di proseguire l’iniziativa inaugurata alcuni mesi fa con “Ulisse e gli altri”, ma anche di incrementarla con la realizzazione di nuove tappe espositive nel Museo delle Navi romane di Nemi e in quello Archeologico Nazionale di Sperlonga, appartenenti alla Direzione Musei Lazio.
“L’istante e l’eternità” accosta i numerosi reperti antichi, che vanno dal III millennio a.C. in poi, ad alcune opere di età medievale, moderna e contemporanea. È una mostra ambiziosa perché, come si legge nel comunicato stampa:
“Il nostro rapporto con gli antichi è sostanzialmente doppio. Da una parte, si è costruito attraverso un lungo processo storico di trasmissione intellettuale e artistica, che ha plasmato la nostra cultura classica (Aule II e III). Dall’altra parte, è caratterizzato da un fenomeno di immedesimazione che abbiamo sviluppato con persone che sono vissute molto tempo fa ma che, come noi, hanno affrontato tutte le vicende della vita, dalle più gioiose alle più drammatiche (Aule IV e V). Per questo, ci sembrano allo stesso tempo lontani e vicini”.
Il percorso, in realtà, non è sempre facile da seguire, ma molte delle opere esposte sono una gioia per gli occhi. Purtroppo per il visitatore è difficile fotografarle, perché non di rado appaiono abbagliate dal sole, che entra attraverso i finestroni, e molte sono racchiuse da teche di vetro (chiusura certamente necessaria, perché altrimenti le opere sarebbero troppo esposte a eventuali danni). I pannelli delle cinque sezioni (una per ogni Aula) spiegano il percorso espositivo, caratterizzato dall’alternanza di “eternità” e “istante”.
L’Aula I accoglie “L’eternità di un istante”. Intorno ai calchi delle vittime pompeiane sono presentate diverse forme di reinterpretazione moderna dell’antico, tra cui porcellane da tavola con decorazioni ispirate all’arte antica, di manifattura napoletana, e i rilievi in gesso di Pelagio Palagi e Giuseppe Gaggini, provenienti dal Castello di Racconigi, riproducenti il Trionfo del console Lucio Emilio Paolo sul re Perseo (1845).
Di squisita fattura è il busto di Cosimo I de’ Medici, realizzato in bronzo e lamine d’argento da Benvenuto Cellini nel 1546-47. Sono invece antichi i busti di personaggi storici, filosofi, intellettuali, tra i quali ricordiamo Socrate, dal caratteristico volto simile a quello di un satiro (I sec. a.C., MNR). Gli intellettuali sono introdotti dal Sarcofago con le Muse, proveniente dal Parco archeologico di Ostia antica (recuperato nel 2008 dalla Guardia di Finanza nel territorio di Isola Sacra, prima che dei tombaroli lo portassero all’estero), e da un altro di uguale soggetto, più grande ma non completo, da Tor de’ Schiavi. Da questo nucleo si snodano due percorsi, che iniziano ciascuno da un orologio in bronzo dorato a forma di barca: l’eternità nelle Aule II e III e l’istante nelle Aule IV e V.
Il busto di Omero nell’Aula II introduce “La fama eterna degli eroi”, una sezione che indaga le forme della trasmissione e tradizione culturale dell’antichità attraverso l’arte e la letteratura. Le opere esposte sul lato destro narrano la guerra tra Greci e Troiani con i suoi sviluppi e le storie individuali dei suoi protagonisti e delle divinità coinvolte.
Pensiamo in particolare ad Afrodite, scelta come la dea più bella da Paride, per poter avere in cambio la donna più bella, Elena, il cui ratto avrebbe provocato la guerra di Troia.
Tra i reperti relativi agli eroi omerici spiccano il volto di Ulisse e i resti del gruppo del Ratto del Palladio, provenienti dalla Grotta di Tiberio a Sperlonga.
Ricordiamo che veniva chiamata Palladio l’immagine sacra di Pallade Atena che assicurava la difesa di Troia. Secondo una versione del mito sarebbe stata sottratta da Ulisse e Diomede prima dell’incendio della città, mentre, secondo lo storico Dionigi di Alicarnasso, sarebbe stata trasportata dal profugo Enea nel Lazio e conservata in seguito a Roma, divenendo una delle sette “cose fatali” dell’Urbe.
Dal punto di vista letterario Ulisse, oltre a essere il protagonista dell’Odissea di Omero, è stato ricordato con versi sublimi da Dante nella Divina Commedia e ha ispirato il romanzo omonimo di Joyce e il poeta greco Kavafis.
Sul lato sinistro dell’Aula II troviamo una serie di immagini mitiche trattate in opere letterarie, soprattutto drammatiche, a volte note solo da frammenti o citazioni o completamente perdute. Nei vasi della tomba di Policoro (in provincia di Matera), ad esempio, si intrecciano trame legate ai temi della corruzione, come nel caso di Pelope e Ippodamia, della seduzione (Zeus e Ganimede, Poseidone e Amimone), della vendetta (Medea infanticida, Dirce punita).
E, accanto a tali scene mitiche, trovano posto alcune creature ibride di fantasia, come i Centauri (metà uomini e metà cavalli), Pan (divinità metà umana e metà caprina), il Minotauro (dal corpo di uomo e la testa di toro), le Sirene (donne-uccello) e le Gorgoni dalla testa anguicrinita.
“L’ordine del kosmos” nell’Aula III conclude un primo percorso verso l’eternità, con le antiche rappresentazioni dello spazio e del tempo, che prendono la forma di divinità, di personificazioni e di entità astratte che hanno dato origine alle nostre categorie spaziali e temporali. In questo contesto è presente anche il mito della straordinaria nascita di Elena, che si riallaccia alla guerra di Troia. Elena era figlia di Leda, raffigurata innumerevoli volte nel suo amplesso con un cigno, nel quale si era trasformato Zeus.
Dall’unione sarebbero nati i gemelli Castore, Polluce, Elena e Clitennestra racchiusi in due uova: in realtà non tutti i gemelli erano figli di Zeus, essendosi lei accoppiata la stessa notte con il marito, il re spartano Tindaro.
Dal Museo archeologico nazionale di Metaponto proviene un singolare uovo in calcare con all’interno una figuretta umana (V secolo a.C.). È stato rinvenuto insieme ad altri oggetti nella cosiddetta “Tomba dell’uovo di Elena” destinata a una donna d’alto rango, probabilmente seguace della dottrina orfica, che vedeva nell’uovo primordiale la nascita della luce.
Il mito di Leda e della metamorfosi di Zeus in cigno è stato raffigurato anche da Leonardo da Vinci nel Cinquecento (è presente una copia del suo dipinto); un altro mito vede la trasformazione dello stesso dio in toro per potersi accoppiare con Europa ed è presente in mostra in un dipinto cinquecentesco di Tintoretto, oltre che nelle raffigurazioni antiche.
Nella Tabula Chigi (un piccolo rilievo marmoreo di probabile età augustea), Europa è vista come personificazione di un’entità geografica (il nostro continente), accanto a quella dell’Asia, ed entrambe sorreggono un grande scudo circolare con la raffigurazione della battaglia di Gaugamela o di Arbela, vinta da Alessandro Magno contro il re persiano Dario III.
Un ruolo di primo piano nella visione del cosmo hanno avuto le personificazioni degli astri e del tempo (che nel mondo classico è il dio Crono o Saturno, raffigurato come un vecchio alato con la falce), con le ore, i giorni, i mesi, le stagioni, che hanno da sempre regolato le attività quotidiane, i cicli delle coltivazioni, la cadenza delle feste religiose. Oltre a meridiane e sfere armillari, in questa parte della sezione troviamo la scultura di Osiride Chronokrator (del MNR, fine del II secolo d.C.) con il corpo avvolto dalle spire di un serpente, come Aion, simboleggiante il fluire del tempo, e un rilievo marmoreo dello stesso Aion (dalla Galleria estense di Modena, II quarto del II secolo d.C.), uscito dall’uovo primordiale e circondato dai segni zodiacali.
Nella seconda parte del percorso (Aule IV e V) viene illustrato il rapporto di immedesimazione che, malgrado la distanza culturale e temporale che ci separa dagli antichi, ce li rende vicinissimi ogni volta che identifichiamo le vicende delle loro vite con le nostre.
Nella sezione “Le opere e i giorni” (Aula IV), il cui titolo è preso da un celebre poema di Esiodo, vengono ricostruiti importanti momenti della vita sociale, sia nella casa sia nella città, mediante una serie di interessanti reperti. Entrando sulla destra troviamo l’altare funerario dell’oculista Caio Terenzio Pisto (vissuto ottantasette anni, cinque mesi, ventiquattro giorni e dieci ore), la copertura di un’abitazione di prestigio del VI secolo a.C. da Torre di Satriano (Potenza) e una serie di modelli di case, tra cui quelli provenienti dal Museo nazionale etrusco di Villa Giulia e quello con all’interno oggetti miniaturistici (VI secolo a.C.), proveniente da Santorini. Sulla sinistra un oggetto curioso è il menologium (calendario agrario) proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, poi ammiriamo il carro nuziale del I secolo d.C. scoperto recentemente a Civita Giuliana (Pompei), restaurato e presentato in una ricostruzione con le parti originali in bronzo, stagno e parti argentate e calchi delle parti in legno e metalliche.
Tra le sculture spiccano i celebri Corridori bronzei di Ercolano e tra i dipinti alcuni affreschi con scene di vita in taverna (da Pompei, MAN di Napoli). Un dipinto ad olio ottocentesco di Camillo Miola raffigura Plauto mugnaio (Napoli, Museo civico di Castel Nuovo), relativo all’episodio che vede il poeta lavorare come schiavo a causa dei suoi debiti. Una città antica è raffigurata in un rilievo (II secolo d.C.), proveniente dalle proprietà Torlonia del Fucino (Celano, Collezione Torlonia e Museo d’arte sacra della Marsica), mentre una lastra con la pianta di Roma proviene dalla Forma urbis di età severiana (Musei Capitolini).
Troviamo inoltre scene di mercato, di costruzione di città, di combattimento di gladiatori, uno strumento per il sorteggio di giudici e magistrati (copia in gesso dipinta, dal Museo dell’Agorà di Atene) e cippi funerari con la rappresentazione del mestiere svolto dal defunto.
Si passa quindi alla sezione “Umani divini” (Aula V), che vuole evidenziare come l’antichità ha tramandato diversi modi di rappresentare l’individuo, a partire dalle potenti statue-stele neolitiche alle raffinate composizioni classiche ed ellenistiche. Tra le opere neolitiche è presente anche uno dei cosiddetti Giganti di Mont’e Prama, il sito sardo scavato nei pressi di Cabras (in provincia di Oristano), che ha riportato alla luce grandi sculture in pietra raffiguranti guerrieri, gli stessi soggetti raffigurati nei bronzetti nuragici.
In questa sezione vediamo come la figura umana può essere genericamente composta da pochi elementi anatomici o attributi che ne indicano il genere, l’età, lo status, l’origine geografica, mentre altre volte è colta in un atteggiamento che rispecchia uno stato d’animo, una precisa circostanza della vita o anche il rispetto delle rigide regole sociali.
La presentazione non segue un percorso cronologico o stilistico, per cui troviamo la statua della dea egizia Sekhmet (con la testa leonina), insieme all’Arringatore di Firenze, al Kouros greco, alle stele della Lunigiana e alla Kore di Santorini.
Decisamente emblematico è il Kairòs, raffigurato su un frammento di sarcofago (forse del II secolo d.C.) prestato dal Museo di antichità di Torino, perché Kairòs è la personificazione del tempo inteso come “istante” od “occasione propizia”, difficile da afferrare e pertanto raffigurato come un giovane nudo con le ali, quindi pronto a fuggire via, mentre stringe in una mano un rasoio e con l’altra colpisce il piatto di una bilancia.
In questa sezione, ricchissima di ritratti (tra cui voglio ricordare quello di Lucio Vero in argento, dal Tesoro di Bosco Marengo, prestato dal Museo di antichità di Torino e quello di un giovane africano, in bigio morato, recuperato dai depositi del MNR e scelto come immagine guida della mostra), un focus è dedicato agli ex voto anatomici dei santuari del Lazio repubblicano (III-II sec. a.C.) e della Grecia, la cui tradizione si è mantenuta in alcuni luoghi di culto moderni. Il Museo ospitante conserva migliaia di questi reperti, realizzati in terracotta, che provengono dalle discariche votive ritrovate a Roma nel Tevere e nei santuari. Alcuni di essi sono collocati in una vetrina in modo da formare le sagoma di due figure, una femminile e una maschile.
Nell’Aula V troviamo anche delle tombe, come quella con lastre dipinte del III secolo a.C., da Paestum (prov. di Salerno), e la ricca tomba 35 di Baragiano (prov. di Potenza), del VI secolo a.C., che documenta il modo di rappresentare il defunto di alto rango attraverso la raccolta degli oggetti più significativi utilizzati in vita, compresa l’armatura completa, cui si aggiungono la bardatura dei cavalli del carro e le spoglie prese ai nemici.
Tra l’istante della morte e l’eternità dell’aldilà, ci sono dei riti da seguire: dai primi lamenti sul suo corpo alla processione funeraria che lo porta verso la tomba attraverso la città, quindi il banchetto funebre, ovvero l’ultimo saluto dei familiari, e l’accesso del defunto all’Oltretomba. Di questo percorso sono state tramandate varie versioni. Le lamine orfiche in oro (ne è esposta una rinvenuta in Calabria) indicano le formule da pronunciare per arrivare a destinazione, mentre sono più misteriose le varianti iniziatiche del culto dionisiaco. In mostra è documentato anche il cristianesimo tardoantico, medievale e rinascimentale con pregevoli manufatti italiani e greci.
Vediamo in particolare come il cristianesimo abbia riutilizzato gli stessi gesti delle lamentatrici dell’antichità per raffigurare il dolore, come ha evidenziato lo storico dell’arte Aby Warburg nei primi anni del Novecento, studiando i repertori di modelli ellenistici ed elaborando le formule di diverse gradazioni del pathos (le Pathosformeln), impresse nella memoria collettiva. La bocca spalancata nell’urlo, le mani portate alla testa per strapparsi i capelli, i gesti e le vesti scomposte nel movimento, che vediamo, per esempio, nel rilievo scolpito nel 1480 ca. da Francesco di Simone Ferrucci, raffigurante la Morte di Francesca Pitti Tornabuoni (dalla Cappella Tornabuoni di Santa Maria sopra Minerva, Roma), sono gesti non dissimili da quelli raffigurati nei cortei dionisiaci o nelle scene di compianto antiche.
Ancora più appariscente è la donna disperata, che irrompe sulla scena con le braccia spalancate all’indietro, al centro del bassorilievo bronzeo di Bertoldo di Giovanni con il Compianto su Cristo morto (anni Sessanta del XV secolo, Museo Nazionale del Bargello di Firenze).
È un’immagine di dolore incontenibile, che sembra ripresa da un’analoga figura presente in un sarcofago con la Morte di Meleagro, il mitico cacciatore che ha ispirato nell’antichità innumerevoli artisti.
Nica FIORI Roma 21 Maggio 2023
“L’istante e l’eternità. Tra noi e gli antichi”
Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano. Piazza della Repubblica, Roma
Orario: dal martedì alla domenica dalle ore 11.00 alle 18.00 (ultimo ingresso ore 17.00); chiuso il lunedì
Biglietti: intero 13 €, ridotto 7€, gratuito secondo la normativa vigente