di Claudio LISTANTI
Prima assoluta per l’opera di Vittorio Montalti che ha chiuso la stagione 2018-2019 del Teatro dell’Opera di Roma.
Di rilievo la parte musicale guidata da John Axelrod. Buona la compagnia di canto e le parti recitate. Successo di pubblico nonostante i contrasti tra libretto e musica.
Il Teatro dell’Opera di Roma ha chiuso la stagione lirica 2018-2019 dedicando spazio alla musica contemporanea e proponendo la rappresentazione di una nuova opera presentata in prima assoluta. Presso gli spazi del Teatro Nazionale, infatti, è andata in scena Un romano a Marte, opera costruita su un libretto di Giuliano Compagno musicato da Vittorio Montalti, uno dei giovani musicisti emergenti di oggi.
Condividiamo la scelta della direzione artistica del Teatro dell’Opera di dedicare una parte delle proprie risorse all’opera contemporanea, oggi piuttosto soffocata dalla necessità dei teatri di rivolgere la propria attività a ciò che può dare un risvolto positivo, in termini di ascolto, della propria attività, tralasciando tutto ciò che, pur avendo validità artistica e culturale, non porta benefici immediati in termine di pubblico.
Per tornare a ‘Un romano a Marte’ ed alla volontà del Teatro dell’Opera di dare spazio alla contemporaneità, occorre anche sottolineare che la sua produzione è scaturita dal Concorso biennale 2013/2014 per giovani compositori, bandito dallo stesso teatro con il fine ultimo di valorizzare nuovi artisti della musica contemporanea con nuove produzioni ispirate alla città di Roma. Questo concorso, al quale hanno partecipato numerosi musicisti ha avuto tre opere in ‘finale’: Radio Città Eterna, musica e libretto di Luca Antignani; L’amore oscuro. Tosca raccontata da Scarpia, musica di Andrea Manzoli su libretto di Sandro Naglia e, appunto, Un romano a Marte al quale la giuria ha assegnato il primo posto.
Il titolo dell’opera, Un romano a Marte, ci fa capire con estrema chiarezza che il lavoro è ispirato alla figura ed alla produzione letteraria di Ennio Flaiano, autore mitico per le sue osservazioni argute, brillanti e pungenti sulla società Italiana del dopoguerra che ebbero favorevoli riscontri presso i suoi lettori ed il suo pubblico fino alla sua prematura morte nel 1972 a 62 anni.
Il librettista Giuliano Compagno, scrittore e saggista ma anche profondo conoscitore dell’opera di Flaiano ha preso spunto dal famoso fiasco che il 23 novembre del 1960 il pubblico del Teatro Lirico di Milano riservò alla rappresentazione di Un marziano a Roma, la commedia ispirata al breve, omonimo racconto che Flaiano, abbinando abilmente satira e fantascienza, scrisse nel 1954 e portato in scena dalla Compagnia del Teatro Popolare Italiano di Vittorio Gassman, che ne fu regista e interprete, assieme a Carlo D’Angelo, Ilaria Occhini, Carmen Scarpitta, Carlotta Barilli con le musiche di Guido Turchi.
Fu un fatto, in un certo senso, epocale perché da quel giorno si aprì quella frattura insanabile tra Milano e Roma che contrapponeva i due modi di vivere degli abitanti delle due principali città italiane, la prima con la sua instancabile iperattività e la seconda con il suo modo più calmo e rilassato anche se più aperto e sincero della capitale, alla cui filosofia di vita Flaiano si sentiva più affine nonostante le sue origini abruzzesi di Pescara che non hanno impedito allo scrittore di entrare in simbiosi con la mentalità della città eterna.
Partendo dall’infelice esperienza del Teatro Lirico che il librettista Compagno valuta come elemento ‘spartiacque’ nella vita di Flaiano, prende il via una sorta di ‘viaggio’ dai contorni ‘onirici’ e ‘surreali’ al quale partecipano cinque personaggi, tre cantanti e due attori. I primi sono Ennio Flaiano, Ilaria Occhini protagonista della pièce teatrale e Klunt il marziano, l’essere che nella commedia arrivò a Roma che, in questo caso, è elemento trascinante di una sorta di destabilizzazione del pensiero di Flaiano. Poi ci sono le due parti recitate, Un Critico che spiega i contenuti di quell’insuccesso e Caterina Martinelli, giovane donna uccisa durante la seconda guerra mondiale a Roma a seguito dell’attacco ai forni per la conquista del pane.
L’azione procede in maniera del tutto ‘episodica’ sottolineata da numerose proiezioni video che ricordano attimi e momenti della vita di Flaiano ma anche il modo di vivere della società degli anni ‘60, intellettualista e spensierata, straordinariamente eccentrica che in poco meno di un decennio perse il suo spirito propulsivo per divenire un fardello quando i repentini cambiamenti apportati prima dal movimento del ’68 e poi dalle lotte operaie sempre più incisive che sfociarono in movimento come l’autunno caldo per giungere ad una significativa presa di coscienza delle masse che spostarono il baricentro degli interessi sociali; una situazione che poi a partire dalla metà degli anni ’70 entrò man mano in una crisi irreversibile, progressivamente giunta fino ai giorni nostri.
L’impianto scenico e registico descrive beni questi fermenti utilizzando, oltre alle immagini anche scritti e pensieri di Ennio Flaiano, soprattutto quegli aforismi tramite i quali lo scrittore, utilizzando brevi frasi riesce, con enorme semplicità, ma in modo graffiante e pungente ad osservare e comunicare al lettore le peculiarità della vita quotidiana.
Dallo scorrere della trama si fa avanti in maniera spietatamente graduale una certa crisi di Flaiano verso il mondo circostante che lo porta ad immaginare una fuga dalla realtà che potrebbe sfociare nel ribaltare l’elemento fantascientifico del marziano sceso a Roma in quello, appunto, di Un romano a Marte. Lo spettacolo si conclude con un elemento di forte contrasto, proposto tramite una testimonianza di Tonino Guerra, lo scrittore, poeta e sceneggiatore, collaboratore e amico fraterno di Flaiano, con la quale ce lo descrive persona dolce e gentile ricordando il toccante rapporto con la figlia Luisa affetta da una terribile malattia.
La parte musicale è stata la sorpresa più bella della serata. Realizzata da Vittorio Montalti musicista che con questa opera è alla quarta collaborazione con il librettista Giuliano Compagno con il quale dimostra senz’altro un certo grado di affiatamento, costruendo una partitura caratterizzata da una strumentazione molto ricca ed elengante, comprendente, oltre agli archi, un cospicuo numero di legni (flauti, oboi, clarinetti, fagotti), ottoni (trombe e tromboni), corni e arpa ed una notevole sezione dedicata alle percussioni alla quale si contrapponeva una appezzabile parte dedicata alla musica elettronica. Ritmi, timbri e colori si fondevano con grande incisività per dare all’opera quelle sensazioni, surreali ed oniriche, caratterizzate dal libretto riuscendo a neutralizzarne la frammentarietà di base. La parte vocale, risultava a prima vista un po’ discontinua ma i frequenti frammenti melodici ne davano in definitiva una certa, soddisfacente, unitarietà in special modo quella dedicata al soprano che sconfinava frequentemente nel registro acuto; una linea di canto certamente impegnativa le cui peculiarità si estendevano anche alle altre due parti tenorili. La compagnia di canto ha fornito un’ottima prova dimostrando di aver ben preparato lo spettacolo. Pur non potendo noi averla analizzata completamente, visto l’uso dell’amplificazione, possiamo dire che Rafaela Albuquerque (Ilaria Occhini), Domingo Pellicola (Ennio Flaiano) e Tomofei Baranov (Kunt il marziano) sono in possesso tutti e tre di un buon impianto vocale ricordando anche che tutti fanno parte del progetto ‘Fabbrica’ Young Artist Program del Teatro dell’Opera. Per le due parti recitate bravi sono stati Gabriele Portoghese (Un Critico) e Valeria Almerighi (Caterina Marinelli).
La parte musicale si è giovata della guida di John Axelrod che ha messo a disposizione della recita la sua indiscutibile esperienza per questo genere di musica preparando efficacemente la compagnia di canto ed esaltando anche le potenzialità strumentali dell’Orchestra del Teatro dell’Opera.
Nella parte prettamente visiva sia la regia di Fabio Cherstich che le scene, costumi e video di Gianluigi Toccafondo completate dalle luci di Camilla Piccioni sono risultati del tutto funzionali all’impostazione drammaturgica del libretto contribuendo al successo ottenuto dallo spettacolo al termine della recita (23 novembre) decretato dal numeroso pubblico convenuto presso il Teatro Nazionale.
Vogliamo concludere ribadendo che l’opera ascoltata, nel suo insieme, ci ha convinto per la indiscutibile validità musicale ed anche per il carattere di testimonianza dell’anima letterale e culturale di Flaiano dovendo però aggiungere, considerando anche alcuni giudizi rilevati nelle discussioni con altri spettatori della serata, che la comprensione dell’insieme ha sofferto la spiccata frammentarietà del testo letterario ed il suo carattere marcatamente ‘intellettualistico’ che ha reso l’ascolto poco intelligibile compromettendone la piena fruizione. Forse, ma questo è un nostro pensiero, occorrerebbe in futuro adottare con più decisione quegli elementi di ‘popolarità’ che hanno caratterizzato la storia, il successo e la grandezza, dell’opera italiana.
Claudio LISTANTI Roma 29 novembre 2019