di Michele FRAZZI
Seconda Parte
I sogni
Negli intendimenti originali di Goya la serie dei Capricci doveva chiamarsi i Sogni, per questo progettò di utilizzare come frontespizio l’incisione più famosa della serie: Il sonno della ragione genera dei mostri. Goya così definisce sinteticamente il significato della tavola “La fantasia abbandonata dalla ragione produce mostri impossibili: unita ad essa, è la madre delle arti e l’origine delle meraviglie” (Manoscritto del Prado); “Copertina per quest’opera: quando gli uomini non sentono il grido della ragione, tutto diventa visioni” (Manoscritto della biblioteca nazionale). Nel disegno d’abbozzo il suo scopo viene descritto ancora più chiaramente
“L’autore che sogna. Suo unico intento è quello di bandire le credenze popolari nefaste e di perpetuare mediante quest’ opera di capricci la testimonianza più solida della verità “.
Poi, successivamente l’ artista decise di porla al centro dell’opera, come tavola numero 43; perchè accadde questo ? Possiamo osservare che la maggior parte delle tavole di cui abbiamo parlato fino ad ora, e cioè quelle legate all’illuminismo ed al razionalismo, arrivano fino alla numero 42 dalla tavola 44 in avanti il tema predominante invece sarà quello della stregoneria ( 1 ).
La tavola con il Sonno della ragione quindi, anche se in maniera non assoluta, segna uno spartiacque tra il lucido esercizio della razionalità, evidente nella prima parte, e gli effetti del suo assopimento, del sonno, che genera quegli incubi di cui Goya darà conto nelle tavole successive. In questa parte dell’opera Goya si abbandona alla pura immaginazione, interpretando, in questo caso, i capricci secondo la accezione italiana, e quindi come pure costruzioni della mente irrazionale. Folletti, streghe, spiriti maligni popolano le immagini di queste tavole, ed in questo caso riemergono i ricordi del suo fondamentale viaggio in Italia . In primo luogo devono essere riemerse le suggestioni di un artista già protoromantico come fu Salvator Rosa (2), con le sue riunioni di streghe. Si possono, per questa ragione stabilire confronti iconografici tra la sua figura con le torcie, del dipinto conservato alla galleria Corsini di Firenze, e la figura centrale del capriccio n. 56 salire e scendere .
Tra i due tondi conservati a Cleveland, dove la figura volante è paragonabile a quella del capriccio numero 64 , Buon viaggio, così come lo è, la strega, anch’essa volante con in mano la scopa del n.ro 66 , Così van le cose .
Inoltre tra la scena al centro del dipinto conservato alla National Gallery di Londra ed il capriccio n. 12, A caccia di denti, ed infine tra La strega di Endor ed il capriccio n.3 Arriva il Coco. I soggetti di Rosa furono tradotti in stampe che ebbero larga diffusione, la loro conoscenza quindi può essere avvenuta attravero questo mezzo facilmente accessibile, tra l’altro è documentato dal suo Cuaderno Italiano, l’acquisto di incisioni da parte dello spagnolo ( 3 ).
Così come devono essere riaffiorati i ricordi di Magnasco, i suoi soggetti esoterici, i tribunali dell’inquisizione, che Goya non mancherà di raffigurare nei capricci n. 23 (Quella polvere) e 24 (Non ci fu rimedio), e soprattutto le sue fraterie, i dipinti che raffigurano la vita nei conventi, suo tema principe ( 4 ). Così come i suoi oscuri e tenebrosi pulcinella, che sono i fratelli di quelli più festosi di Tiepolo, o di quelli che popolavano gli ambienti romani, magari attraverso i lavori di Bonito od Hubert Robert, e che Goya ritrasse nel Cuaderno di appunti realizzato in Italia, la maschera è anch’esssa un tema importante dei capricci .
Il viaggio in Italia e Roma
Il soggiorno di Goya in Italia è documentato certamente tra il marzo- aprile 1770 ed il giugno 1771 ( 5 ), egli risiedette per lo più a Roma, ospite dell’amico Tadeus Kuntz presso palazzo Tomati in via Sistina . Quasi contemporaneamente, alla fine di maggio del 1770 giunse a Roma, anche il pittore svizzero Johann Heinrich Fussli ( 6 ), la cui pittura è completamente pervasa dallo stesso onirismo che caratterizza questa sezione dei Caprichos. Il suo dipinto più famoso fu L’incubo (1781) , dove il mostro seduto sul corpo di una donna addormentata, non è solamente il simbolo di una oppressione che avviene a livello fisico, ma anche a livello psichico, del resto anche le altre sue creazioni furono ugialmente popolate da streghe, folletti, fantasmi, non a caso i suoi temi si rifanno direttamente alle opere di Shakespeare.
Benchè i suoi dipinti riproducano situazioni reali, in realtà ciò che Fussli vuole rappresentare è il suo mondo interiore, le sue angoscie , le sue paure, i suoi drammi ed in alcuni casi la Follia (1806 ), come ebbe a dire lui stesso : “ io ho la visione di tutto quello che dipingo” ( 7 ) .
Sotto questa ottica i due artisti furono dotati di sensibilità molto affini ( 8 ), ed è probabile che si conoscessero ( 9 ), dato che lo svizzero frequentava il ritrovo degli artisti della zona di Piazza di Spagna il “Caffè degli inglesi “, da cui la residenza di Goya dista solo pochi passi ( 10 ). Di certo Fussli conobbe Piranesi, che curò tutta la decorazione del Caffè, di cui entrambi erano degli assidui frequentatori. Così come lo conobbe molto bene anche Goya, dato che l’atelier dell’incisore era a Palazzo Tomati , dove abitava anche lo spagnolo (11 ). Certamente quindi egli ebbe modo di conoscere le “Invenzioni capricciose di carceri” (1745) che influenzarono profondamente il suo animo, e probabilmente anche la sua tecnica, nell’utilizzo predominante dei neri, che Piranesi inchiostrava direttamente con le dita sulla lastra, un colore che lo spagnolo utilizzerà poi in maniera quasi espressionistica nella sua pittura.
Sono infatti le angoscie claustrofobiche ed oscure delle Carceri di Piranesi, che egli ebbe modo di rivedere in Spagna a casa di Sebastian Martinez, che più di tutti influenzarono l’atmosfera opprimente e torbida che si avvere in questa sezione dei Caprichos (12 ).
Un altro particolare interessante, risiede nel fatto che già i contemporanei tramandavano che le carceri di Piranesi fossero il risultato di sogni, fatti dall’artista durante un attacco fortissimo di febbri , e così infatti venivano anche chiamate. Il primo a rimanerne impressionato fu Walpole che le descrive come ”i sublimi sogni di Piranesi “ ( 13 ), dominati dall’ illogico e l’enorme, non a caso, due categorie del romantico, e furono proprio le Carceri che gli ispirarono la scena iniziale del primo romanzo gotico della storia, il suo Castello di Otranto (1764) .
Victor Hugo, padre del romanticismo francese così le descrive
“Le noir cerveau de Piranèse/ Est une béante fournaise /Où se mêlent l’arche et le ciel ,/ L’escalier, la tour, la colonne ; /Où croît, monte, s’enfle et bouillonne /L’incommensurable Babel”,
anche Baudelaire e Gautier dovettero cedere al loro fascino ( 14 ).
Così come accadde anche per Coleridge e De Quincey che ne rimasero profondamente impressionati. Quest’ultimo racconta l’episodio che gliele fece conoscere nelle sue Confessioni di un mangiatore d’oppio ( 1821 ):
“Molti anni fa, mentre stavo guardando le Antichità di Roma del Piranesi Colerdidge che mi era accanto, mi descrisse una serie di incisioni di quell’artista chiamate i suoi Sogni, le quali fissano le sue visioni durante i deliri di una febbre “.
La città di Roma, le sue atmosfere, le sue rovine, il senso di un passato straordinario ed irraggiungibile (15), che Piranesi traduce a livello visivo nel gigantismo delle sue costruzioni, di fronte alle quali gli uomini si sentono impotenti, ne fanno un luogo di elezione per lo struggimento romantico per il passato, la città si rivela dunque come un crocevia determinante ed ineludibile, per il romanticismo che avrà di lì a poco larga diffusione in tutta Europa ( 16 ). Non si può dar torto quindi a Mario Praz quando individuava nel Et in Arcadia Ego di Guercino i primi germi di questa nostalgia romantica, di questa sensazione di perdita di qualcosa che è stato ideale ma è destinato a morire , da un lato vi è il bel mondo felice dell’Arcadia, e dall’altro la morte, il suo orrore, il suo sozzume raccapricciante ( 17 ).
Se l’illuminismo pensa, al contrario il Romanticismo sente, e questi sono i due termini che egualmente si confrontano nelle due sezioni dei Caprichos. Quindi alla fine, i Sogni furono il soggetto decisivo delle opere capitali di Piranesi, Fussli e Goya, la visione onirica va qui intesa però come luogo di rappresentazione delle pulsioni dell’inconscio, i mostri raffigurati sono quelli che si annidano dentro all’uomo, non fuori di lui, quelli che popolano il suo mondo interiore, avulso dalle regole della logica .
La malattia
Come lo fu per Piranesi, anche per Goya l’occasione per realizzare i Capricci, fu quella sfortunata di una malattia, che esplose nel 1793. Non sappiamo precisamente di cosa si trattasse però conosciamo quali furono i suoi effetti: ronzio alla testa, sordità, spossatezza e coliche, perdita del senso dell’equilibrio, il morbo lo prese talmente seriamente (18) da costringerlo a smettere di dipingere ed andare in congedo in Andalusia per riposare , la malattia durò più di un anno, e comunque alla fine lo rese sordo. Se da una parte l’infermità gli creò grossi problemi, dall’altra, per la prima volta, lo rese libero dagli impegni lavorativi, non era più costretto dall’impiego presso la corte reale, nè dagli incarichi dei ritratti su commissione, per la prima volta era padrone del suo tempo e della sua pittura, Goya nel suo intimo, non voleva più essere “un semplice esecutore, un impiegato a giornata “ ( 19 ). Quando è libero quindi, comincia a dipingere i soggetti a lui graditi :
”Per occupare la mente mortificata dalle riflessioni sui miei mali… mi sono messo a dipingere un gruppo di quadri di gabinetto, nei quali sono riuscito a compiere osservazioni che di solito non trovano posto nelle opere di commissione, dove il capriccio e l’invenzione non possono avere libero corso “
così scrive all’amico Iriarte (20) .
La prima serie di Capricci, furono dunque quelli dipinti da Goya, ad olio su latta nel 1793-94. In queste 11 tavole, accanto a scene gradevoli, come sono quelle dedicate alla Tauromachia, fanno la loro prima comparsa i soggetti angosciosi : una scena di banditi, un naufragio, un incendio, ma il più indicativo del suo stato d’ animo è il dipinto con l’interno di un manicomio. La malattia, la debilitazione fisica, la sordità fanno ripiegare Goya su se stesso, fanno sì che si concentri sulla propria interiorità, i propri pensieri, e soprattutto sulle sue angoscie, probabilmente derivate dalla lunga indisposizione e dalla conseguente depressione, come si legge tra le righe delle sue parole .
La sordità soprattutto contribuirà, comprensibilmente, ad isolarlo dal mondo fisico, ed a farlo concentrare su quello psicologico, ed è esplorando questa dimensione che l’animo di Goya diventa davvero moderno.
Nei caprichos a stampa, la successione logica messa in opera , ne svela gli intendimenti, la prima parte è dedicata a mettere i vizi alla berlina per il tramite della ragione, mentre la seconda racconta cosa accade alla nostra mente quando la si abbandona, quali sono i fantasmi e le credenze che allora vengono a popolarla; il suo intento del resto è perfettamente chiarito anche dalle stesse parole dell’autore , si tratta di un’opera fondata sulla razionalità che deve guidare la vita di ogni uomo.
Fu davvero questa la guida anche per Goya ? Sappiamo dalle sue opere successive che non andò così. E non andò così nemmeno per lo stesso Kant, che all’inizio abbiamo preso ad esempio: l’eroico esploratore dei limiti della ragione umana con la sua “Critica della ragion pura”, scriverà: “I Sogni di un vedente di spiriti spiegati con i sogni della metafisica”, e “Il saggio sulle malattie mentali “. Il suo sentito ammonimento, incluso nei Sogni di un visionario, nel caso Goya, risulta concretamente realistico:
“La follia e l’intelletto hanno frontiere così mal definite che è assai difficile andar lontano in uno di quei campi senza far ogni tanto una breve incursione nell’altro. Appare chiaro ora come la ragione al proprio culmine trapassi nel suo opposto : la follia”
La sordità probabilmente creò in Goya una frattura insanabile tra la realtà esteriore e quella interiore, ed i Capricci furono lo spartiacque fra le opere precedenti ed il corso della sua arte successiva, e lo furono probabilmente anche per la storia dell’arte: la follia, l’allucinazione iniziano a prendere il sopravvento anche nei suoi soggetti. La forza dell’inconscio, i temi della psicologia irrompono nel campo dell’arte, stravolgendolo completamente; pensiamo a quale fu la sua importanza nel ‘900 , Bergson , Freud, Adler, Jung, Picasso, Apollinaire, Breton, i surrealisti , Mirò, Dalì, De Chirico , Magritte, Ernst, Delvaux, Duchamp, Hitchcock, Bunuel , Bergman, Fellini, la sua portata è incalcolabile.
I mostri conosciuti in questa condizione di oppressione, di alienazione continuarono a tornare a visitarlo, fino a diventare il soggetto principale ed unico, degli apici della sua opera matura, come accade nella sua serie estrema delle 18 tavole incise delle Follie o Proverbi (1815-1823), mai stampate da Goya.
Una realizzazione artistica costituita solamente da situazioni irreali, senza senso, di cui ancora oggi non si è compreso appieno il significato, frutto di pulsioni inconscie ed energie animiche che affioravano nella mente del pittore, assumendo forme allucinate e mostruose. Goya sentiva l’esigenza di metterle sulla carta, perchè per lui queste energie erano drammaticamente reali, ma probabilmente anche per lui furono incomprensibili e misteriose. Dello stesso periodo è il suo capolavoro più alto e profetico, le pitture nere della “Quinta del sordo”, una serie di pitture a fresco che realizza per sé, per la sua casa, i cui soggetti sono popolati solo da creature orribili, folli, in situazioni surreali e visionarie, come nel caso della testa di cane che spunta da una tenda.
Gli affreschi della quinta del sordo costituiscono a mio avviso l’apice dell’arte di Goya, sia per i loro contenuti: che materializzano le sue angosce ,che per la forma tecnica con cui sono stati realizzati: scarne figure nel tono dominante del nero, che per il gesto pittorico già espressionista, con cui sono stesi i colori, il gesto qui già si fa messaggio.
Come abbiamo già detto, ci troviamo di fronte ad opere, che per il loro contenuto possono essere poste a confronto con i Sogni di Fussli o Piranesi. Ma Goya più di loro è dotato di una capacità tecnica inarrivabile, l’utilizzo dell’acquatinta nei Capricci esplora i limiti e le possibilità, di una strumento, che nelle sue mani, fa ulteriormente progredire il mezzo della stampa verso la completezza di una realizzazione compiutamente pittorica, facendogli perdere qualsiasi accenno di meccanicismo, tanto è vero che fu il mezzo preferito anche da Picasso. Dal punto di vista della abilità pittorica le sue capacità e la sua innovazione furono di un livello talmente alto che meriterebbero un ulteriore articolo .
Anche le forme (o meglio le deformazioni), le espressioni, le fisionomie che lo spagnolo fa assumere alle sue paure sono del tutto moderne, mentre quelle degli altri due autori hanno ancora un aspetto legato al loro mondo contemporaneo, sono ancora settecentesche.
I mostri di Goya scavalcano agevolmente il romanticismo ed arrivano fino a noi , materializzandosi ai giorni nostri nelle strutture e nelle situazioni allucinate ed angosciose di Bacon. Insomma la sensibilità, l’anima, e la forma dell’espressione di Goya, sono quelle di un uomo che è già pienamente ( e forse perdutamente ) un nostro contemporaneo .
Michele FRAZZI Parma 27 settembre 2020