P d L
Intervista a Francesca Cappelletti
Abbiamo incontrato la Prof.ssa Francesca Cappelletti -che è alla guida della Galleria Borghese dal febbraio del 2023- alcuni giorni fa proprio quando per improrogabili lavori di ristrutturazione, parte dei capolavori del museo venivano allocati a Palazzo Barberini. E’ stato questo uno degli spunti da cui ha preso il via una narrazione completa che oltre che sui problemi che pone la guida di un museo di così ampio prestigio e sui criteri che ne ispirano le scelte espostive, ha virato sulla storia dell’arte, sul concetto di naturale e/o reale riprposto e rielaborato alla luce dell’ultima esposizione dedciata a Rubens (Il tocco di Pigmalione) sul contemporaneo nella Galleria (il grande successo della esposizione dedicata a Giuseppe Penone e il prossimo evento che vedrà protagonista Louise Bourgeois) sempre inserito in una logica di confronto con le opere interne che il tratto distintivo della Galleria.
-Comincerei con il chiederti di questo spostamento temporaneo di vari capolavori dalla Galleria Borghese a Palazzo Barberini, evento che è stato presentato lo scorso 29 Marzo con una esposizione che sarà possibile visitare fino al 30 giugno.
R: Prima di tutto: la Galleria Borghese è aperta e resterà aperta! Certamente ci sarà uno sforzo enorme da parte del personale chiamato a gestire una contingenza, come quella dei lavori, all’esterno e all’interno, che comunque non poteva essere rinviata; grazie ai fondi del Pnrr infatti abbiamo potuto dare il via ai lavori di rifacimento delle tappezzerie al piano della pinacoteca che hanno richiesto lo svuotamento di alcune sale, ma invece di chiudere le opere nelle casse e metterle in deposito si è pensato di trasportarle a Palazzo Barberini, a poca distanza da noi, grazie all’accordo con il Direttore delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini, Thomas Clement Salomon. Qui potranno continuare ad essere visibili e con un accordo sul biglietto; mi pare che il successo della inaugurazione con un notevolissimo afflusso di visitatori tutti molto entusiasti sia stata una prima conferma positiva per questa scelta, dal grande valore istituzionale, ma naturalmente ci attendiamo una partecipazione continua nelle settimane future.
-C’è stato un criterio nella scelta delle opere da trasferire?, che so? magari si sono scelti certi quadri invece che altri …
R: Certo le opere sono state selezionate fra quelle presenti in Pinacoteca, in modo da dare un’ idea complessiva della collezione. Alcuni dipinti non possono viaggiare, come ad esempio la Deposizione di Raffaello, considerata la condizione di fragilità del supporto; altre sono difficili da smontare per le grandi dimensioni e, in questo periodo, verranno finalmente restaurate, nelle sale dove si trovano; vero è che abbiamo cercato di dare un’idea quanto più possibile -come dire?- narrativa della Galleria, cioè che potesse rappresentarne le caratteristiche restituendo in qualche modo l’idea della collezione costruita all’epoca di Scipione Borghese.
–Non c’è Caravaggio però …
R: E’ vero, in primo luogo perché come sai i capolavori di Caravaggio sono esposti al piano terreno della nostra Galleria, non interessato dai lavori, quindi rimangono visibili al loro posto. La scelta è stata effettuata fra le opere che si trovano abitualmente in Pinacoteca.
-Quanti sono i quadri che sono stati trasferiti?
R: Sono cinquanta, e comunque ci tengo a sottolineare che in una stanza che precede l’entrata alla esposizione sono stati elencati tutti gli interventi che stiamo realizzando con i fondi del Pnrr; questo per essere più comunicativi possibile verso il pubblico, sempre interessato a capirne l’entità e che certamente saprà apprezzare il fatto che i lavori vengano svolti a museo aperto.
-Sono lavori che interessano anche la facciata esterna, come ho visto entrando da Porta Pinciana.
R: E’ così ma i lavori sull’esterno sono realizzati grazie ai fondi che avevamo già a disposizione; grazie al Pnrr affrontiamo oltre alla ristrutturazione delle sale e al rifacimento delle tappezzerie e degli infissi, anche l’efficientamento energetico, così da contenere la dispersione di calore; ci concentriamo sull’accessibilità, che vuole dire nuove didascalie e migliore, più efficace illuminazione.
-Quando pensi che rientreranno le opere in prestito?
R: La mostra a palazzo Barberini si chiude alla fine di giugno, però abbiamo concordato che sarà possibile una proroga. Se poi vuoi sapere quando il nostro museo riprenderà il normale corso, allora penso entro la fine dell’ anno e l’inizio del 2025, allorquando i lavori riguardanti le tappezzerie saranno conclusi e si potrà cominciare il riallestimento. Credo di poter anticipare che la Galleria Borghese risplenderà di nuova meravigliosa luce.
-Come vi siete accordati col Direttore della Galleria Nazionale Barberini Corsini quanto all’allestimento dei quadri in prestito?
R: Ci sono state messe a disposizione le sale nell’ala del piano nobile anche per far sì che il visitatore possa istituire un confronto fra le collezioni, una delle grandi occasioni nate con la realizzazione di questo progetto, dato che come ho già detto il visitatore potrà seguire un percorso fra i due musei e, se crede, visitare non solo le sale in questo momento dedicate alle cinquanta opere della Galleria Borghese e al progetto Pnrr, ma anche il resto del museo e le collezioni della Galleria Nazionale, compresa la Galleria Corsini.
-Un altro progetto molto importante che mi pare -da quanto ho letto- stia andando in porto è quello della realizzazione del catalogo dei dipinti della Galleria Borghese, è così?
R: E’ così in effetti, ed è un lavoro che ci sta impegnando moltissimo; abbiamo consegnato già il volume che riguarda i dipinti tra il XV e il XVI secolo e che uscirà entro quest’anno.
-Credo che vi siate posti il problema dei precedenti da questo punto di vista; penso soprattutto al volume di Della Pergola che mi pare ancora da non trascurare per molti aspetti nonostante risalga a qualche decina di anni fa.
R: E’ un volume veramente di straordinario rigore, hai ragione; e anzi ti dico che per noi è un modello ancora valido, naturalmente da rivedere ed aggiornare considerate le novità e le conoscenze emerse in questi settant’anni, per cui abbiamo dovuto rivedere le bibliografie, ad esempio, come pure verificare tutti i documenti. L’impostazione e la profondità della ricerca che caratterizzano il testo di Della Pergola lo fanno diventare una guida ineludibile al nostro operare; per noi è come un modello che ci impone di essere, o almeno provare, a essere all’altezza.
-Tu ovviamente sei la curatrice, e comunque è chiaro che ti sei anche valsa e ti stai valendo dell’aiuto di numerosi collaboratori.
R: In primo luogo le colleghe storiche dell’arte della Galleria Borghese, ma abbiamo chiesto di collaborare a insigni specialisti dei vari ambiti, così da avere schede autoriali; inoltre, e ci tengo particolarmente a sottolinearlo, sono al lavoro anche giovani studiosi che, oltre all’opportunità di svolgere il tirocinio dentro la Galleria hanno modo di schedare alcune opere, cimentandosi nella ricerca: un impegno che mi pare sia veramente formativo. Fare una scheda, in particolare di un’opera della Galleria Borghese, dà veramente l’opportunità di entrare in un mondo in cui si incrociano ricerca storica, connoisseurship, indagini documentarie, interpretazione critica degli studi che si sono sedimentati sulle singole opere. Cosa di meglio-e di più difficile e complesso- per chi si accosta con serietà alla disciplina?
–-Dunque il primo volume sui dipinti è ormai prossimo all’uscita, e per il resto?
R: Stiamo lavorando al secondo volume; ci tengo moltissimo a dotare la Galleria di un catalogo ragionato generale dei dipinti moderno, completo. Il secondo volume abbraccia i secoli successivi, dal XVII in poi.
-Avete messo in rete anche il catalogo online.
R: Si e spero che anche tu lo abbia visto e utilizzato. La conoscenza e la diffusione quanto più larga possibile delle nostre collezioni è motivo di grande gioia; è stato per me e per tutti i collaboratori un impegno quotidiano, ha assorbito gran parte del nostro pensiero e delle nostre energie, ma che gioia il risultato! Le schede sono molto curate e scientificamente inappuntabili con tutte le fonti conosciute messe a disposizione, con una bibliografia estesa, e in genere con tutto quanto era necessario pubblicare, fino alle ultime acquisizioni. Abbiamo utilizzato una piattaforma adeguata anche da un punto di vista digitale.
-E dunque è una risorsa che può essere utilizzata senza remore dagli studiosi spesso in difficoltà per i copyright, i diritti di riproduzione e quant’altro?
R: Ma sicuramente può essere utilizzata, l’abbiamo creata proprio per questo; anzi ora stiamo ottenendo i DOI, gli identificativi digitali che garantiscono la ufficialità e la scientificità delle pubblicazioni, così che le schede possano essere totalmente citabili. Insomma non si tratta di informazioni che galleggiano, diciamo così, in rete, ma avranno un loro codice che le rende delle pubblicazioni scientifiche.
-Prima hai fatto cenno al contemporaneo, vedo nelle anticipazioni delle mostre che arrivano dal vostro ufficio stampa, che la Galleria ne ospiterà anche una dedicata alla scultrice Louise Bourgeois (Parigi, 1911 – New York, 2010), a dire il vero non molto nota nel nostro paese, o quanto meno non tanto quanto Giuseppe Penone che è l’ultimo contemporaneo ospitato nella Borghese. Ti posso confessare che personalmente per mia formazione ho sempre qualche difficoltà a comprendere il senso di queste iniziative che mettono a confronto arte antica nata in determinati contesti e arte contemporanea sviluppatasi in tutt’altri; è ovviamente vero che l’arte, la grande arte non ha epoche e tuttavia come possa svilupparsi un dialogo tra le Gabbie tipiche dell’artista newyorchese d’adozione e gli antichi eccezionali marmi della Borghese mi pare piuttosto difficile. E ti assicuro che non sono il solo a pensarla così.
R: Fammi dire che -come del resto avrai avuto modo di vedere- le attività che svolgiamo sono sempre molto studiate e rispondono a precisi criteri; ad esempio, la mostra di Giuseppe Penone che hai citato era un segmento, certo piuttosto importante, del progetto complessivo Arte e Natura, che aveva preso il via con la pittura di paesaggio incentrata sul dipinto di Guido Reni (Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura ndA) acquisito nel 2020 dalla Galleria,
proseguito poi con la mostra dedicata alla pittura su pietra (Meraviglia senza tempo. Pittura su pietra a Roma tra Cinquecento e Seicento” ndA) e con l’esposizione dedicata a Dosso Dossi (Dosso Dossi. Il fregio di Enea ndA) che introduceva anche un altro argomento, quello del viaggio, e di lì ci ha portato a cominciare il nostro anno di ricerche sui viaggi delle opere, degli artisti e delle idee: insomma chiaramente all’origine di queste iniziative c’è un pensiero complessivo e in questo senso l’inserimento di opere di artisti contemporanei non è casuale, bensì interno all’idea progettuale che è stata elaborata in quell’ anno e che naturalmente s’inserisca nell’ambito delle collezioni.
D’altro canto, se ricordi bene, le opere di Penone hanno interessato, in Galleria, SOLTANTO quattro sale su venti, cioè quelle in cui un rapporto tematico e visivo sul versante antico/moderno era possibile evidenziare, penso all’alloro nella sala dell’Apollo e Dafne tanto per fare un esempio, fermo restando che chi avesse voluto visitare la Galleria magari dopo aver fatto un viaggio appositamente per vedere la Paolina Borghese avrebbe avuto tutta l’opportunità di farlo senza alcuna interferenza con altre istallazioni.
Io ho il più grande rispetto per i visitatori e per le collezioni e dunque va garantita la libera fruizione sempre. Le mostre di arte contemporanea nella Galleria Borghese sono scelte con molta cura, limitate nel numero di sale da dedicare loro, selezionate in maniera necessaria alla comprensione dei nessi intellettuali; il visitatore deve poter incontrare se vuole qualcosa di nuovo e magari di inaspettato ma allo stesso tempo deve conservare la possibilità di percepire la Galleria nella stabilità e nell’equilibrio dell’allestimento storicizzato. Bisogna anche affrontare la visita senza pregiudizi: potresti davvero dire che il lavoro di Giuseppe Penone che, insieme alla curatela intelligentissima di Francesco Stocchi, è entrato negli spazi e nella storia del museo con straordinaria sensibilità, concettuale e visiva, abbia minacciato la fruizione della Galleria? Le opere hanno talvolta recuperato, in un gioco intellettuale sul tempo, il loro contesto originario e intensificato le loro possibilità di lettura. Per Gian Lorenzo Bernini, come sappiamo, Apollo e Dafne dovevano fuggire verso il boschetto di alloro all’esterno; la posizione del gruppo scultoreo venne cambiata nel Settecento. Questa iniziale suggestione berniniana, veniva, per esempio, proprio restituita dalla presenza delle opere di Penone, che nello stesso tempo suggerivano la possibilità che la scultura venga creata da un soffio. La mostra ha avuto un successo incredibile e una risonanza internazionale che non mi sarei mai aspettata, se non altro con questa continuità nel tempo. Ancora adesso mi chiedono notizie, interviste e materiali su quella mostra, da molti musei nel mondo.
-E dunque perché è stata progettata la mostra dedicata alla Bourgeois ? Viene da chiedersi se non sia una sorta di allineamento da parte tua a questa attuale disposizione, per non dire moda, che vede le donne artiste al centro di una rinnovata attenzione.
R: Intanto, ho cominciato a pensare a quella possibilità nel 2020, mi dirai che ci abbiamo messo tempo a realizzarla…la riflessione iniziale è sempre sul museo come luogo di conservazione della memoria collettiva che diviene attiva ovviamente a seconda della sensibilità di ciascuno, e dunque quando al Guggenheim molti anni fa ho visto l’opera della Bourgeois con tutte quelle boccette di cristallo dentro un armadio ho subito pensato alla fragilità delle memorie, alle difficoltà di conservarle, ed anche se non è questa l’opera più conosciuta e forse neppure la più indicativa dell’artista come può essere ad esempio il Ragno, un essere intento alla tessitura (per me poi è sempre la povera Aracne, trasformata da Minerva…) ho cominciato a concentrarmi sulla sua poetica che certo, come dici tu, si materializza con le gabbie, dove però gli oggetti raccontano una memoria personale fatta di emotività e sentimento.
La memoria, attraverso il lusso e l’ordine/disordine variato, ci viene restituita dalle collezioni barocche in maniera diversa, con una proiezione filtrata rispetto a quella delle gabbie, anche se il discorso su quanto voler mostrare di sé e in che modo, da parte di Bourgeois, è complesso. Inoltre il suo lavoro di scultrice mi è sembrato potesse interloquire con le sculture che sono parte della Galleria Borghese, cioè con l’idea della tridimensionalità, della plasticità. E poi tra le tante mostre di arte contemporanea realizzate in Galleria non ce ne era stata neppure una di una donna; riflettere su Bourgeois non vuol dire inseguire le mode ma restituire anche così un pezzo di memoria. Bourgeois viene ritenuta artista contemporanea perché il successo enorme su scala mondiale le è arrivato tardivamente, però va detto che ha attraversato tutto il XX secolo ed è quindi significativa anche questa sua permanenza dentro tutta l’arte del Novecento. Non sono una specialista del Novecento ovviamente, quindi poi la mostra ha preso la sua strada ed è stata curata da Philip Larratt-Smith, Geraldine Leardi e Cloè Perrone.
-Per tornare alle esposizioni precedenti, i dati forniti da voi indicano in oltre 200 mila i visitatori della mostra di Giuseppe Penone, mentre Dosso si ferma più o meno alla metà; sarà per caso anche questo dato di fatto a far si che il contemporaneo trovi spazio in una Galleria come la Borghese?
R: In realtà quelle cifre vanno lette meglio; innanzitutto per noi non è agevole capire chi viene solo per vedere la mostra e non l’intera Galleria, o viceversa. Per quanto ho potuto capire personalmente Penone ha interessato molto i più giovani e i visitatori internazionali; inoltre è stata fondamentale anche l’utilizzazione del giardino, anche questo all’interno al progetto ‘arte, natura, paesaggio’: si poteva uscire e vedere anche le opere nell’uccelliera; è stato poi molto interessante vedere come le opere fossero state concepite per vivere e respirare; insomma un’esperienza che ci ha riavvicinato a quel concetto di tempo che investe il rapporto tra arte e natura.
-Parliamo ora dell’ultima mostra Il tocco di Pigmalione. Rubens e la scultura a Roma, che hai curato insieme a Lucia Simonato; che commenti ti senti di fare a poche settimane dalla chiusura?
R: Il progetto espositivo è nato dagli studi, dalle riflessioni sul concetto di “naturale”, che comprende il rapporto mimetico con la natura così come il desiderio di intensificare l’esperienza dello spettatore ricorrendo al modello vivente.
-E’ una questione su cui si dibatte da tempo.
R: E’ vero, e non possiamo certo riassumerla in questa sede, tanti sono stati i convegni e gli studi anche recenti su cosa intendere per realismo, per naturalismo e su cosa intendessero gli artisti e quali termini utilizzassero a questo riguardo; in effetti non è ancora facile capire cosa significasse il “naturale” nel primo decennio del ‘600 posto che ovviamente fossero differenti le declinazioni tra Caravaggio e Rubens, tanto per restare su due tra gli artisti presi in considerazione nella mostra; ho studiato a lungo la pittura di paesaggio e il contributo degli artisti nordici e anche in questo ambito, sul disegnare e dipingere “dal naturale” una montagna o una rovina antica, si possono aprire molte riflessioni. Ma per ritornare alla tua domanda posso dire che con Lucia Simonato abbiamo voluto rappresentare l’impatto che la personalità di Rubens ebbe a Roma, e in mostra abbiamo potuto esporre disegni eccezionali per qualità e significati a dimostrazione di come egli studiasse l’antico pensando ai maestri del passato e alla natura; penso ai disegni di animali che accostati alle sculture antiche le rendevano ancora più impressionanti. L’antico si poteva studiare in maniere diverse, con gradi diversi di registrazione e interpretazione, fino al ‘tocco di ‘Pigmalione’, come quello usato da Rubens.
-Dunque la mostra nasce da riflessioni come tipica scelta storico artistica.
R: Lucia Simonato ha dato alle stampe pochi anni fa quell’importante libro Bernini scultore. Il difficile dialogo con la modernità, mettendo a fuoco quei pochi momenti in cui Bernini era criticato perché accusato di eccesso di naturalismo e quindi paragonato a Rubens e abbiamo voluto approfondire la questione; cos’era e come variava il concetto di naturalismo? perché si rischiava l’accusa di eccessivo naturalismo? il naturalismo esclude lo studio dell’antico? e così via. Mi sono persuasa che soprattutto in scultura, ma non solo, il passaggio dall’antico alla scultura barocca di Bernini possa essere interpretato anche alla luce degli studi di Rubens.
-Spesso si crede che del barocco o del prebarocco sia stato detto pressoché tutto ma mi pare invece che tu stia sollevando nuovi spunti che ovviamente meritano ulteriori approfondimenti e ricerche.
R: Sicuramente, anche perché noi come moderni studiosi abbiamo a che fare con nuove direzioni della ricerca e nuove domande, con approfondimenti sulla tecnica e sui materiali e con lo sviluppo di argomenti che erano certamente presenti negli studi ma non teorizzati; pensa al transmediale, cioè come gli artisti possano lavorare elaborando uno stesso concetto sia che dipingano sia che si dedichino alla scultura di grandi o piccole dimensioni. Insomma la mostra è stata l’occasione per dimostrare come fosse a più largo raggio l’utilizzo che si poteva fare dell’ esperienza di Rubens.
-E’ in questa logica che state portando avanti con i focus come questo che si è appena aperto e che riguarda Velasquez?
R: Diciamo intanto che anche il prestito di un dipinto singolo di un artista eccezionale rientra in un preciso criterio progettuale; infatti siamo a conclusione di un anno di ricerca sulla presenza a Roma e in Italia di artisti stranieri e del loro rapporto con l’Italia, soprattutto con Roma, centro catalizzatore della cultura e dell’arte, quando com’è noto vi arrivano un numero indefinibile di giovani artisti da ogni parte d’Europa, attratti certamente anche dalla rivoluzione caravaggesca, i quali poi riportano in patria le loro esperienze. E questi modi di operare non sono univoci, anzi spesso sono differenti l’uno dall’altro perché in Italia si cambia ma non tutti cambiano allo stesso modo.
-In effetti questa idea unitaria del caravaggismo è stata ampiamente rivista, ma allora ti chiedo, ritornando al contemporaneo, anche la Bourgeois in Italia cambia, adegua in qualche misura il suo modus operandi?
R: Ma certamente, ad esempio affronta il marmo, a dimostrazione che l’Italia anche in tempi più recenti continua a offrire nuovi spunti operativi e pensando alla Galleria Borghese non è casuale che la collezione costruita da Scipione anche oggi sia visitata e studiata dagli artisti; dunque, era questo che con la mostra su Rubens abbiamo voluto mettere in evidenza.
-Allora se posso consigliarti un prossimo artista cui dedicare un focus ti farei il nome di Poussin; sappiamo che è proprio in Italia con i contatti che prende con intellettuali, con nobili e soprattutto con le rovine, con l’amicizia con Giambattista Marino, egli assume ed esprime tutta la sua straordinaria poetica artistica, ma se hai letto l’intervista al massimo esperto del pittore, cioè Pierre Rosenberg, ancora poco si sa dei primi tempi del suo soggiorno romano, dove deve anche affrontare un periodo molto duro.
R: E’ vero; certo ci sono quelle prime opere fatte per i mercanti pubblicate da Patrizia Cavazzini, ma noi organizziamo a fine autunno una grande esposizione precisamente su Giambattista Marino, ai suoi tempi ritenuto geniale, oggi poco conosciuto, e certamente ci sarà Nicolas Poussin, sarà uno dei nodi centrali di questa mostra, curata da Emilio Russo, Patrizia Tosini e Andrea Zezza.
-Venire a Roma a quei tempi per gli artisti era anche vantaggioso, pensiamo alle committenze che potevano ricevere.
R: Si, a Roma si veniva “per vedere e per imparare”; le rovine antiche, Raffaello, Michelangelo, cosa non c’era da vedere e da studiare ! Ed è ovvio che una committenza tanto ampia e interessata a autorappresentarsi attraverso le opere d’arte, pensiamo alle famiglie della corte pontificia che volevano affermare il proprio status, o ai nuovi ordini religiosi che costruivano le loro chiese, porgeva grandi occasioni agli artisti, accrescendo un clima di emulazione e rivalità. Inoltre si poteva lavorare per il mercato, tanto più che l’ambiente non richiedeva per forza un’istruzione accademica e inoltre la libertà espressiva era piuttosto ampia. Roma infatti era una città molto vivace, un vero centro d’attrazione dove la possibilità di professarsi artisti non conosceva limiti.
–Hai fatto cenno prima al coinvolgimento di giovani nella redazione delle schede del prossimo catalogo ragionato dei dipinti; ecco, ti chiedo anche sulla base della tua esperienza di docente universitaria oltre che di direttrice di un museo così importante, se dovessi consigliare ad un giovane studioso cosa dover imparare necessariamente cosa suggeriresti?
R: Direi che in primo luogo è opportuno specializzarsi, studiare, avere un proprio campo di ricerca, lavorare in un contesto dove sia possibile il confronto. Il tirocinio è fondamentale, fare esperienza in un museo o in un luogo della cultura. E’ ovvio poi che quanto si studia e si apprende deve divenire operativo cioè una esperienza condivisa, in contesti dove si sa organizzare una ricerca, ad esempio, gestire la comunicazione, organizzare l’attività didattica, e quant’altro, perché nell’ambito del patrimonio culturale si affrontano gli aspetti legati all’organizzazione e all’amministrazione.
–Mentre ci avviamo alla conclusione vorrei chiederti cosa ne pensi di questo tema della decolonizzazione che è centrale alla 60^ Biennale di Venezia e che il curatore, il brasiliano Pedroso, ha intitolato proprio ‘Stranieri ovunque’; la tesi è che l’Occidente abbia perduto la sua spinta propulsiva in ambito artistico e si delinea una condizione in cui sarà il sud del mondo a prendere il campo.
R: Non ho ancora potuto approfondire i temi della Biennale, cosa che mi riprometto di fare perché mi interessa molto. Posso dirti intanto che la questione della decolonizzazione è oggetto di grande attenzione da tempo nei musei, per la Galleria Borghese l’incidenza dell’argomento è piuttosto relativa. Tuttavia posso anticiparti che stiamo progettando per il prossimo anno una mostra, ma è ancora in via di elaborazione, che abbiamo chiamato ‘il mondo a Roma’ sul tema della globalizzazione e solo per caso capiterebbe nell’anno del Giubileo; ma non tratterà solo di grandi personaggi e di artisti che venivano a Roma ma del contesto e della compagine sociale nella città in quegli anni.
-Posso chiederti come ha preso corpo questo progetto?
R: Adesso a Roma alla Sapienza c’è Francesco Freddolini, docente universitario del primo insegnamento in Italia di Storia dell’Arte globale; si tratta di considerare in un ambito teorico più ampio episodi, motivi iconografici, usi dei materiali.
-Infine l’ultima domanda su un tema sempre più attuale, quello dell’intelligenza artificiale; qualche settimana fa mi è capitato di leggere che la faccia anzi il sorriso del noto attore americano Tom Hanks è apparso su una marca di dentifrici; l’attore è dovuto intervenire per chiarire che non era lui ma la riproduzione artificiale … tu come pensi di affrontare questa sfida che sarà quella che ci attende nei prossimi anni?
R: Ne so troppo poco per esprimere idee che valga la pena di ascoltare, anche perché le applicazioni mi sembrano in continua evoluzione. Al di là di casi come quello che hai citato credo che per alcuni aspetti la nostra disciplina possa uscirne avvantaggiata. Le ricerche sono sempre più rapide, per esempio, e l’archiviazione dei testi non è più separata dalla ricerca. Inoltre, lavorando sulla storia del collezionismo, alcune applicazioni di IA sono utili per ricostruire gli ambienti sulla base della documentazione del passato, dello studio degli inventari e può essere importante ricorrervi; si riesce a rimettere insieme i dati e a visualizzare gli assetti con risultati efficaci. Ma, ripeto, si tratta di seguire le evoluzioni rapide nel campo delle Digital Humanities.
-Magari con un bel convegno alla Galleria Borghese su questo tema?
R: Perché no! Pensiamoci !