di Francesco PETRUCCI
Luciano Regoli e il ritorno del figurativo
Luciano Regoli (Terni 1949) costituisce uno degli artisti più interessanti nel panorama contemporaneo, soprattutto per l’aspirazione ad una visione globale delle forme e alla tensione verso l’interdisciplinarietà dell’esperienza visuale che caratterizza la sua produzione artistica, con un recupero della figuratività e del rigore della tecnica.
La sua matrice formativa nello specifico della pittura è da rintracciare nel realismo della scuola napoletana dell’800, in un filo diretto che passa attraverso il suo maestro, Padre Ortensio Gionfra, allievo di Carlo Siviero, a sua volta legato culturalmente a Bernardo Celentano, Antonio Mancini e Francesco Paolo Michetti. La venerazione per la pittura del ‘600, tra Velázquez, Mola e Hals, fanno il resto.
Regoli è solitario depositario di un linguaggio che un tempo si tramandava da generazioni, isolato e isolano, avendo scelto come propria residenza e luogo di lavoro l’Isola dell’Elba, ove si è stabilito dal 1980 e ove ha formato una sorta di accademia di pittura con allievi che vengono da tutto il mondo, “La Scuola di Valle di Lazzaro”.
Dopo l’apertura di uno studio a via del Governo Vecchio, poi a Trastevere, dal 2012 il suo punto d’appoggio “romano” è Anticoli Corrado, una delle località consacrate dalla pittura di paesaggio tra ‘800 e ‘900: scelta emblematica di una programmatica marginalità rispetto alle tendenze contemporanee e di un rinnovato sentimento della natura di matrice romantica.
La sua specialità e principale occupazione è stata per molti anni la ritrattistica, un genere che gli ha consentito di viaggiare in tutto il mondo, tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio del nuovo millennio, secondo la tradizione degli “artisti itineranti” e dei ritrattisti di corte che si spostavano periodicamente in cerca di nuovi committenti. Ha potuto così mettere in posa noti imprenditori, nobili ed intellettuali di tutt’Europa, ma anche in Brasile, Stati Uniti ed Egitto, come Riki Sprüngli, industriale svizzero della cioccolata Lindt & Sprüngli, il filosofo U.G. Krishnamurti (1980) o il presidente egiziano Hosni Mubarak (1982).
Artista totale, poliedrico e multiforme, si dedica alla pittura di figura e paesaggio, ma eccelle anche nella scultura e soprattutto nella natura morta, genere in cui ha prodotto dei veri capolavori per originalità e intelligenza creativa, a mio avviso un vertice della sua arte (figg. 1-9).
Luciano Regoli ha una vita parallela di musicista, che porta avanti sin dagli anni ’70 come cantante del gruppo progressive-rock Raccomandata Ricevuta Ritorno, con cui ha inciso diversi dischi ed eseguito concerti, persino in Giappone.
Da circa vent’anni ha iniziato a dedicarsi all’arte sacra, eseguendo dipinti chiesastici e pale d’altare, tra cui la Lapidazione di Santo Stefano per la chiesa romanica di Santo Stefano a Buggiano (fig. 4), diocesi di Pescia, o la Beata Gemma Galgani nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo a Roma.
Tra le sue opere pubbliche di impatto monumentale lo Sbarco di Napoleone all’Isola d’Elba (1814), eseguita nel 2014 per le celebrazioni del bicentenario dell’esilio dell’imperatore sull’isola (Portoferraio, Pinacoteca Foresiana), mentre ha donato a Papa Francesco in occasione dell’udienza del 17 giugno 2015 La Svestizione del Papa ora in Vaticano.
Regoli ha sempre affiancato all’attività artistica anche una produzione letteraria, pubblicando nel 1995 il libro autobiografico a tiratura limitata Il pittore volante, oltre a vari articoli su riviste e giornali, mentre nel 2018 ha dato alle stampe il primo numero della rivista “Pro Arte. La Scuola di Valle di Lazzaro” e il libro 5000 km per vedere un orecchio. La Morte della Grande Pittura (Patrocinio Unesco e del Comune di Pienza), vero e proprio manifesto delle proprie aspirazioni estetiche e del suo concetto di “buona pittura”.
Attualmente sta lavorando ad un Trattato della Pittura, ben memore della trattatistica rinascimentale,
“incentrato sulla propria esperienza pittorica, con lo scopo di lasciare in eredità alle nuove generazioni di pittori le sue conoscenze tecniche, con un insegnamento rispettoso dei valori artistici, etici, morali e universali della Grande Pittura” (web-site).
Profondo conoscitore della tecnica tradizionale della pittura ad olio, che trasmette con passione agli allievi e su cui si sofferma nei propri scritti, è consapevole di una sorta di missione storica che le vicissitudini dell’arte contemporanea gli hanno conferito e di cui si sente investito.
Regoli è infatti tra i rari depositari di modalità espressive e di ricette antiche, un tempo ampliamente diffuse nelle botteghe d’arte ed oggi dimenticate a seguito del sovvertimento operato sin dai primi del ‘900 dalle correnti moderniste, modalità divenute oggi veri e propri “segreti” di tecnica pittorica.
È uno dei pochi artisti viventi che propone una pittura in totale contrapposizione nei confronti delle avanguardie storiche e delle varie e multiformi correnti che si sono intrecciate, sovrapposte e affiancate con sconcertante rapidità e mutevolezza, promosse dalla critica d’arte e dal mercato nel corso del secolo passato, anche in campo figurativo.
Regoli, artista colto e pittore filosofo, conscio delle proprie ispirazioni, è esponente di un dissenso che investe anche la sfera critica, per la piena coscienza intellettuale e spirituale delle ragioni del proprio operare. Produce volutamente una sorta di “azzeramento della modernità”, un negazionismo viscerale e incondizionato che approda ad uno iato di oltre un secolo, rifiutando qualsiasi confronto con la storia dell’arte contemporanea.
In realtà c’è una linea continua di arte figurativa che percorre l’intero Novecento, con un costante volgersi all’indietro, ad un passato vicino o lontano, tuttavia sempre in un rapporto mediato con le correnti espressioniste, astrattiste, metafisiche, surrealiste, informali che hanno segnato il secolo. Un tentativo dialettico di conciliazione con la modernità, nel migliore dei casi, spesso subordinato o addirittura succube in molti altri, segnato da esterofilia e provincialismo.
Nell’immediato dopoguerra, tra Milano e Firenze, emerge il gruppo dei “Pittori moderni della Realtà” – studiato dal mio maestro ed amico Maurizio Fagiolo dell’Arco -, formato da Giorgio De Chirico, i fratelli Antonio e Xavier Bueno (fig. 10),
Giovanni Acci, Pietro Annigoni (fig. 11), Carlo Guarienti, Gregorio Sciltian e Alfredo Serri, in aperta polemica con l’avanguardia definita “postimpressionismo decadente”. Finalità primaria del gruppo, che fu prontamente stroncato dalla critica contemporanea, era l’adesione oggettiva ed in termini puristi al vero della natura, “fonte prima ed eterna della pittura”.
Il loro manifesto teorico, pubblicato nel fascicolo-catalogo della mostra tenuta a Milano, Galleria de “L’Illustrazione Italiana”, novembre del 1947, riporta:
“Noi rinneghiamo tutta la pittura contemporanea dal postimpressionismo a oggi, considerandola l’espressione dell’epoca del falso progresso e il riflesso della pericolosa minaccia che incombe sull’umanità [..]”.
I giovani artisti affermavano poi di voler ricreare “l’arte dell’illusione della realtà, eterno e antichissimo seme delle arti figurative”, ribadendo perentoriamente di volere “una pittura capita da molti e non da pochi ‘raffinati’ [..]”, cioè i critici.
Prospettando un superamento del linguaggio astratto e concettuale delle neo-avanguardie, abbiamo assistito dal 1980 circa allo sviluppo di tendenze post-moderniste, a partire, come sempre avviene, dall’architettura, che negli anni ’70 vede l’affermazione dello stile Post Modern, con riflessi successivi in pittura, scultura, arti decorative e letteratura. Pulsioni accomunate da un “citazionismo” generalizzato, esteso ad espressioni dell’arte del passato, in una sorta di eclettismo che ricorda quello dell’architettura storicistica tra ‘800 e primo ‘900.
Nella convinzione che un determinato tipo di modernità, basata sul concetto di sviluppo costante e progresso relativo, in senso di miglioramento, sia entrata in crisi, alcuni critici ed artisti ritennero che non si potesse aggiungere nulla di nuovo e che l’unica soluzione fosse la “citazione” del passato.
Il movimento neomanierista, promosso da Giuseppe Gatt e Paolo Portoghesi, propugnando un ritorno al mestiere del pittore, compresa la riproposizione di soggetti mitologici e storici, vide, accanto al decano Bruno d’Arcevia (Arcevia 1946), pittori come Antonio D’Acchille (Pratola Peligna 1936), Luigi Stefano Cannelli (Roma 1956), volti a perseguire una ricerca puramente formalistica e anti-contenutistica, indirizzata alla ricerca della bellezza.
Lo stesso d’Arcevia fonda nel 2001 con Luigi Frappi e Vittoria Scialoja il movimento dei “Revivalisti”, ma il concetto è simile.
Movimenti che si intrecciano con il cosiddetto “anacronismo”, o “pittura colta”, teorizzato da Maurizio Calvesi e presentato nel 1980 in una mostra a Roma, con Alberto Abate, Franco Piruca, Stefano Di Stasio, Carla Maria Mariani e ancora lo stesso d’Arcevia, sempre sul libero citazionismo tratto da iconografie e tecniche del passato.
La “transavanguardia” promossa da Achille Bonito Oliva (rivista “Flash Arte”, 1979), venne presentata alla Biennale di Venezia del 1980, nell’ambito di Aperto ’80, con aspirazione al recupero della manualità e della tecnica, ma in chiave espressionista, contro l’arte povera e la minimal art.
Lo stesso anno Renato Barilli coniò la formula critica di “Nuovi nuovi” secondo il concetto di “ripetizione differente”, attorno ad un gruppo di artisti, come Marcello Jori, Luigi Mainolfi, Luigi Ontani, Pino Salvatori, che esposero presso la galleria d’Arte Moderna di Bologna, secondo uno spirito post-modern.
Una delle figure più interessanti nel recupero della tradizione italiana della grande arte figurativa, è, nella seconda metà del ‘900, Riccardo Tommasi Ferroni (Pietrasanta 1934 – Pieve di Camaiore 2000), artista oggi quasi totalmente dimenticato, avente come riferimento il caravaggismo, il manierismo e il barocco, ma in una visione onirica e chiaroveggente (fig. 12).
Legato spiritualmente a Edita Broglio, ad Achille Funi e al movimento Novecento, ma con un riferimento di continuità con Pietro Annigoni, emerge dagli anni ’70 il pittore Ulisse Sartini (Ziano Piacentino 1943), noto soprattutto come ritrattista, tanto che, assieme ad Annigoni, è l’unico artista italiano presente alla National Portrait Gallery di Londra con il ritratto della soprano Joan Sutherland (fig. 13).
In ambito internazionale uno dei padri del neofigurativo è il pittore norvegese Odd Nerdrum (Helsingborg 1944), tra i fautori della preziosità della pittura in un cupo tenebrismo di matrice rembrandtiana, che opera in aperto contrasto con astrattismi e concettualismi, definendosi esponente del Kitsch (fig. 14).
Operano sulla stessa linea di recupero della tecnica e del linguaggio figurativo, scevri da qualsiasi soggezione nei confronti del movimenti novecenteschi, artisti di nuova generazione, cui si rivolge con occhio attento Vittorio Sgarbi, come lo scultore Giuseppe Ducrot (Roma 1966), originale fautore di una rivisitazione della cultura del Barocco romano (fig. 15), i pittori Agostino Arrivabene (Rivolta d’Adda 1967), che guarda alle levigatezza del primo Rinascimento, Roberto Ferri (Taranto 1978), in chiave di accademismo romantico francesizzante (fig. 16),
o Giovanni Gasparro (Bari, 1983), con richiami espliciti al caravaggismo e al tenebrismo del ‘600 (fig. 17).
Recentemente ho avuto modo di conoscere forse il più talentuoso tra i numerosi allievi di Nerdrum, presentando una sua opera alla mostra Cani in posa presso la Reggia di Venaria Reale (2017-18), il giovane pittore cileno Guillermo Lorca (Santiago del Cile, 1984), che recupera le vibrazioni materiche velázqueziane e la pittura di tocco del Barocco in surreali composizioni monumentali (fig. 18).
Una tendenza teleologica ha in effetti dominato la storia della critica d’arte del ‘900, leggendo in senso finalistico e deterministico lo sviluppo e l’evoluzione delle arti figurative, in un processo di progressivo distacco dalla realtà che passa dall’impressionismo, all’espressionismo, all’astrattismo, all’informale, alla pop art, all’arte povera, alle varie forme dell’arte concettuale, tra performance, body art, land art, fino alla digital art o computer art.
Tale indirizzo è ben espresso dai manuali di storia dell’arte di Giulio Carlo Argan, che hanno formato dal 1970 artisti e critici, oltre a varie generazioni di italiani, essendo adottati in tutte le scuole superiori e persino all’università, negando qualsiasi deviazione dalla linea principale, arrivando ad ignorare completamente artisti del calibro di Giulio Aristide Sartorio, a mio avviso il più grande artista italiano – e non solo – del primo quarto del ‘900.
Tutto quello che esulava da questo filo rosso è stato prevalentemente disprezzato dalla critica novecentesca, spesso mossa da motivi commerciali ed esigenze di mercato, tanto che la difficoltà di gestire e giudicare i prodotti d’arte in termini di tecnica e di espressività, ha portato al proliferare di archivi di artisti contemporanei, coordinati da avvocati e da notai, o peggio ancora dai parenti dell’artista defunto, sempre più distanti dal mondo dell’arte e della creatività.
Come Regoli, gli ultimi neofigurativi rifiutano un secolo di espressioni artistiche, con la stessa determinazione con cui le avanguardie negavano il passato, cercando di ripristinare una lunga catena interrotta dalle cesure di primo ‘900. Ma questo rientra nella necessità di una rigenerazione, dato che in tutte le epoche le affermazioni di un nuovo stile nascevano dalla perentoria negazione di quello precedente, pensiamo al naturalismo caravaggesco rispetto al manierismo, al neoclassicismo rispetto al barocco, etc.
Non credo, come sostiene Regoli, che il secolo passato vada negato in blocco, tuttavia la deriva concettuale degli ultimi decenni ha prodotto certamente eclatanti mistificazioni e nefasti travisamenti sul significato dell’arte nella società contemporanea, spesso camuffando dietro presunte aspirazioni estetiche operazioni puramente commerciali.
Regoli, come alcuni degli artisti citati, oppone la ricerca della bellezza e della forma, la ricchezza della pittura sostenuta dalla tecnica e da un pensiero, alla stanca ripetizione di formule concettuali. Queste spesso non fanno altro che riproporre il ready made di Marcel Duchamp, a distanza di oltre un secolo dalla famosa Ruota di bicicletta del 1913 (New York, Sidney Janis Gallery), trasferendo semplicemente in ambito di fruizione estetica oggetti d’uso funzionale.
Gallerie e musei di arte contemporanea sono pieni di manufatti di questo tipo, più attrattavi per la didascalia che li accompagna o per le fantasiose interpretazioni datane dai critici che nella loro singolarità di oggetti estetici!
Ben venga quindi Regoli e il recupero della figurazione, sostenuto da cultura, impegno lavorativo e contenuti espressivi. La nostra scrittura è sempre contemporanea, è sempre figlia del tempo in cui viviamo, così la pittura, anche se torna a guardare alla natura che ci circonda, sarà sempre attuale, senza equivoci di sorta, senza bisogni di citazioni e di alcun neo…ismo.
Francsco PETRUCCI, Ariccia giugno 2019