di Nica FIORI
Non sono molte le donne che si sono affermate nel campo della pittura tra il XVI e il XVII secolo, quando ancora non era ammessa la loro presenza nelle accademie d’arte.
Alcune di loro hanno avuto la fortuna di poter studiare nella bottega di famiglia e in alcuni casi hanno continuato a dipingere diventando suore. Lucrina Fetti, nata verso la fine del XVI secolo, è una di queste, avendo imparato la pittura dal famoso fratello Domenico Fetti e avendola poi esercitata in un convento a Mantova.
L’esposizione a Roma, nei Musei Capitolini, del suo quadro storicamente più importante, “Il Ritratto di Eleonora Gonzaga” (1622, olio su tela, cm 201,8 x 119,9 Mantova – Complesso museale Palazzo Ducale), l’unico datato e firmato della pittrice, è quindi particolarmente apprezzabile per ricostruire la presenza a Roma di artiste donne in un periodo in cui l’arte al femminile era una rarità. L’opera, di proprietà dell’Accademia Nazionale Virgiliana, è stata prestata grazie ad un accordo tra la Sovrintendenza Capitolina – Direzione Musei Civici, la Fondazione Palazzo Te e il Museo di Palazzo Ducale di Mantova e sarà visibile fino al 1° ottobre 2023 all’interno della Pinacoteca Capitolina, nella sala VI dedicata alla pittura bolognese e dell’Italia settentrionale. L’evento è stato inaugurato lo scorso 8 giugno con una visita guidata, tenuta dalla direttrice dei Musei Capitolini Ilaria Miarelli Mariani, ed è accompagnato da un dépliant intitolato “Lucrina Fetti, una pittrice romana alla corte di Mantova. Il Ritratto di Eleonora Gonzaga”.
L’aggettivo “romana” evidenzia subito che la pittrice era nata con tutta probabilità a Roma e in questa città si era formata artisticamente; il suo vero nome era Giustina ed era figlia di Pietro Fetti e sorella di Domenico, dal quale apprese la tecnica pittorica. La data di nascita, in base ad alcuni documenti conservati nell’Archivio del Vicariato di Roma, va collocata intorno al 1589 (e non nel 1600 ca. come si legge su wikipedia). L’ipotesi che voleva i fratelli Fetti allievi del padre sembra smentita dal fatto che Pietro è ricordato nei documenti come “libraro”, ovvero libraio o stampatore. Domenico, l’unico figlio maschio, aveva studiato con Ludovico Cardi, detto il Cigoli, ed era aggiornato sulle novità che circolavano a Roma agli inizi del XVI secolo, quando la città era diventata il punto di convergenza di artisti del calibro di Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni, Rubens, Brill, Elsheimer, tutti apportatori di nuovi stimoli creativi.
Giustina venne destinata dalla famiglia alla vita monacale, dalla quale deriva il cambiamento del nome di battesimo, e la sua produzione artistica (ritratti e scene religiose) è stata quasi totalmente interna al convento di Sant’Orsola a Mantova, dove si trasferì nel 1614 al seguito di Domenico, chiamato da Ferdinando IV Gonzaga come pittore di corte.
Ricordiamo che Ferdinando aveva studiato a Roma, dove era entrato in rapporto con il pittore presso l’Oratorio di San Filippo Neri. Nel 1607, appena ventenne, divenne cardinale diacono di Santa Maria in Domnica, ma, in seguito alla morte del fratello Francesco avvenuta nel 1612, venne chiamato a Mantova per ricoprire il ruolo di duca e allora abbandonò la porpora cardinalizia. Essendo amante delle arti, Ferdinando chiese a Domenico Fetti di raggiungerlo come suo stipendiato. Domenico accettò e si trasferì a Mantova con tutta la famiglia, ovvero Lucrina, le altre due sorelle e il padre, che lo aiutò a guadagnare denaro gestendo prestiti e commerciando in quadri.
Il convento nel quale entrò Lucrina rappresentava all’epoca una delle corti femminili più raffinate d’Europa. Era stato progettato da Antonio Maria Viani, architetto di corte dei Gonzaga, per volere di Margherita Gonzaga, sorella di Ferdinando IV, che era ritornata a Mantova dopo la morte del marito Alfonso II d’Este, duca di Ferrara. Il convento, fondato nel 1599, divenne ben presto luogo di istruzione e ritrovo culturale per le giovani principesse Gonzaga e le nobili mantovane. Margherita, amante dell’arte proprio come il fratello, lo fece decorare con affreschi e dipinti e Lucrina divenne la principale artista di quella che era considerata la “corte” parallela del potere gonzaghesco.
In effetti, quando Lucrina si trasferì da Roma a Mantova, era un’artista già formata e la sua dote per l’entrata in convento venne pagata dallo stesso duca Ferdinando, con l’intento di fornire la corte di Margherita di una brava pittrice, mentre Domenico Fetti pagò la dote per le altre sorelle, che entrarono in un altro convento. Giovanni Baglione, che fu a Mantova nel 1621, scrisse che Lucrina “esercitava il talento della pittura e con buona maniera e con amore operando” (Cfr. “Le vite de’ pittori”, Roma 1642).
Lucrina Fetti condivise, quindi, con altre artiste del suo tempo la condizione monacale, che, sia pure nella relegazione claustrale, consentiva di godere di una maggiore libertà in campo artistico, non avendo marito e figli cui accudire. Per la chiesa aperta all’esterno del convento Lucrina eseguì alcune tele non più in loco, tra cui una notevole Santa Margherita in onore della fondatrice, mentre per la chiesa interna eseguì varie scene religiose, tre delle quali, datate al 1629, sono ancora a Mantova. I dipinti più interessanti dal punto di vista storico sono i ritratti delle nobildonne di casa Gonzaga, tra cui due di Margherita Gonzaga e quello presentato a Roma, che ritrae Eleonora.
Figlia minore del duca Vincenzo (1562-1612) e di Eleonora de’ Medici (1567-1611), Eleonora Gonzaga (1598-1655) venne educata, dopo la morte della madre, dalla zia Margherita nel convento delle Orsoline, fino al matrimonio con l’imperatore Ferdinando II d’Asburgo, avvenuto nel 1622. A giudicare dal suo ritratto eseguito in occasione delle nozze, Eleonora non doveva essere una bellezza in senso classico, ma aveva avuto un’ottima educazione ed era, pertanto, una donna raffinata e colta, profondamente religiosa e consapevole del suo status di principessa, che andava in sposa per motivi politici a un uomo molto più grande di lei, vedovo della prima moglie. Sappiamo che il suo matrimonio, pur non allietato da figli, fu felice; lei si trovò bene a Vienna e non fece mai ritorno a Mantova.
Il grande ritratto a figura intera la ritrae in atteggiamento maestoso, con un tendaggio violaceo sulla destra e un tavolo a sinistra, sul quale poggiano la corona imperiale e una lettera dove si legge: “Alla Sacra Maestà della Imperatrice Leonora Gonzaga – Mantova”.
Eleonora indossa un abito sontuoso di broccato intessuto di fili d’oro e ornato da pizzi, reso dalla pittrice con grande perizia (straordinaria è la gorgiera) e qua e là con un tocco di originalità, come per esempio nei riflessi lucenti dell’interno del mantello, lasciato in parte a vista. Sulla sinistra del corsetto appare un pendente con il monogramma asburgico (F II), mentre sul petto è una grande preziosa collana con pietre incastonate.
Il dipinto appare forse un po’ piatto rispetto ad altre opere della pittrice, evidentemente perché Lucrina era condizionata dai canoni dei ritratti ufficiali: è stata probabilmente influenzata dal ritratto della stessa Eleonora Gonzaga, eseguito dal fiammingo Justus Sustermans nel 1621 e conservato presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Questo pittore è noto soprattutto per i ritratti che eseguì per la famiglia dei Medici a Firenze e, in effetti, per poter ritrarre Eleonora a Mantova, ottenne il permesso di assentarsi dalla corte medicea. Certo il soggetto è lo stesso, l’abito è molto simile, ma ci sono comunque delle differenze iconografiche, come la presenza del cagnolino, simbolo di fedeltà, nel dipinto del fiammingo, mentre Lucrina inserisce la corona da imperatrice e allude al “giogo” matrimoniale, dipingendo il dito della mano destra della sposa infilato nella catena-gioiello che regge il medaglione.
Probabilmente il dipinto di Sustermans è stato realizzato prima delle nozze e subito dopo inviato a Vienna; quello di Lucrina, destinato al convento nel quale l’effigiata era cresciuta, è stato eseguito, invece, quando Eleonora era già sposata, anche se solo per procura: cerimonia avvenuta il 21 novembre 1621 nel Palazzo Ducale di Mantova, mentre l’anno successivo venne celebrato il matrimonio a Innsbruck.
Il dipinto conservato a Mantova è datato al 1622, come attestato da una scritta sul retro (“Suor Lucrina Fetti romana in S. Orsola, Mantova, ha fatto, 1622”), ora non più leggibile in seguito alla rifoderatura del 1981.
Il 1622 è lo stesso anno in cui Domenico Fetti lascia Mantova per Venezia (dove morirà nel 1623), privando così la sorella del confronto artistico col fratello, ma Lucrina continuò comunque a esercitare la sua arte nel convento fino a tarda età, come scrive Filippo Baldinucci (“ne’ tempi avanzati sempre applicava a dipingere”), e la sua morte può essere avvenuta nel 1673.
Come è stato evidenziato nel corso della presentazione, il dipinto incrementa, sia pure per pochi mesi, la presenza di artiste nel percorso della Pinacoteca Capitolina, che accoglie opere di altre due pittrici. La prima è la romana Maria Felice Tibaldi Subleyras, autrice di un acquerello su pergamena del 1748, che è una piccola copia della Cena in casa del fariseo, del marito Pierre Subleyras. L’opera è datata e firmata dalla pittrice, che ricorda con orgoglio la sua appartenenza all’Arcadia e all’Accademia di San Luca.
La seconda è la monaca genovese Maria Luigia Raggi, attiva tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, della quale sono presenti quattro Paesaggi con rovine, realizzati a tempera su pergamena, prima attribuiti all’anonimo Maestro dei capricci di Prato, e ricondotti alla Raggi da Sergio Guarino, che ha completato la visita guidata dello scorso 8 giugno nella cosiddetta Galleria Cini, illustrando i dipinti di queste due artiste.
Nica FIORI Roma 18 Giugno 2023
“Lucrina Fetti, una pittrice romana alla corte di Mantova. Il ritratto di Eleonora Gonzaga (1622)”
Musei Capitolini – Pinacoteca. Piazza del Campidoglio, 1
Si accede con il biglietto d’ingresso al museo.. Ingresso gratuito con la Mic card.
Orari: tutti i giorni 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima).