di Claudio LISTANTI
Successo al Teatro dell’Opera per Orfeo ed Euridice di Gluck-Calzabigi
Molto apprezzato il regista Carsen per una realizzazione felicemente ‘essenziale’. Buona la parte musicale con il direttore Gianluca Capuano e Carlo Vistoli apprezzato Orfeo
Recentemente è andata in scena al Teatro dell’Operadi Roma un nuovo allestimento del capolavoro di Christoph Willibald Gluck, Orfeo ed Euridice, frutto di una coproduzione fra il teatro lirico romano e Théâtre des Champs-Elysées, Château de Versailles Spectacles e Canadian Opera Company, diretto per la parte musicale da Gianluca Capuano e per la parte visiva del regista canadese Robert Carsen, al suo debutto nel teatro della capitale.
Con questa proposta musicale il Teatro dell’Opera, attualmente diretto dal sovrintendente Carlo Fuortes e dal direttore artistico Alessio Vlad, ha sanato l’inspiegabile mancanza dalle scene romane di questo capolavoro, durata poco più di 50 anni. Infatti l’ultima edizione in forma scenica risale al dicembre del 1968, molto apprezzata allora per il contributo del coreografo-regista Aurelio Millos e, per le scene, di Enrico d’Assia, spettacolo incantevole del quale conserviamo un ricordo indelebile.
Far trascorrere mezzo secolo senza rappresentazioni di un’opera così importante è un fatto, in un certo senso, imperdonabile per un teatro d’opera della valenza del Teatro dell’Opera di Roma, in possesso di una storia di grande rilievo nell’ambito della produzione italiana di spettacoli lirici, soprattutto perché l’Orfeo gluckiano è una delle poche opere che nel corso dei secoli (rappresentata infatti nel 1762) è sempre rimasta saldamente nel repertorio. Comunque, finalmente, questa anomalia è stata sanata.
L’importanza principale di Orfeo ed Euridice è quella di essere una sorta di manifesto di quella che è chiamata nella storia la Riforma del melodramma o, anche, la Riforma di Gluck.
Tale iniziativa scaturiva dalla necessità di cambiare la struttura dell’opera che, superata la metà del ‘700 era entrata in una sorta di vicolo cieco dove trionfavano la personalità ed i capricci dei cantanti, ormai divenuti vere stelle canore che facevano e disfacevano a loro piacimento la linea vocale per diventare protagonisti assoluti delle serate e del gusto del pubblico. Tale modo di agire era agevolato dalla struttura dell’opera che si basava sulla dicotomia recitativo-aria dove al primo elemento era demandato lo sviluppo della trama e dell’azione ed al secondo l’espressione di stati d’animo e di sensazioni. L’opera, teatralmente, finiva per essere una identità astratta dove testo e musica si divaricavano ed il senso del dramma e dell’azione era addirittura difficilmente percepibile anzi, alle volte, risultava del tutto superfluo, venendo così a determinare una spiacevole mancanza di teatralità che, al contrario, doveva essere l’elemento portante dell’opera dove testo e musica debbono integrarsi e seguire di pari passo, appaiati, l’evolvere del dramma. Inoltre il testo doveva essere in piena sintonia con la musica, cioè creato proprio in funzione di quest’ultima, superando le peculiarità dei testi di Pietro Metastasio che in quegli anni avevano il dominio assoluto nelle produzioni operistiche, certamente di grande valore poetico ma del tutto sganciati dalla musica, tanto è vero che ogni testo metastasiano era messo in musica da una moltitudine di musicisti spesso dalle diverse caratteristiche basilari.
Gluck intuì alla perfezione questa necessità e con la collaborazione del poeta livornese Ranieri de’ Calzabigi misero in atto questa ‘riforma’ che può essere considerata la base dell’opera del futuro che avrà la sua massima espansione, ed espressione, in tutto l’800 fino ai primi del ‘900. La prima tappa fu proprio Orfeo ed Euridice che andò in scena, in lingua italiana, il 5 ottobre del 1762 presso il Teatro Imperiale di Vienna, una prima assoluta per la quale Calzabigi scrisse un testo ideale per le idee musicali di Gluck contribuendo ad un prodotto di straordinario fascino teatrale dove poesia e musica procedono a stretto contatto per arrivare a rappresentare, con estrema efficacia ed intelligibilità il dramma.
Lo spettacolo al quale abbiamo assistito al Teatro dell’Opera valorizzava tutti questi aspetti grazie all’allestimento curato da Robert Carsen, finalmente libero da tutte le stranezze e le eccentricità che spesso sedicenti registi introduco negli spettacoli solo per far parlare di sé trascurando spesso le necessità e le peculiarità della musica. Qui è avvenuto, finalmente vogliamo dire, l’esatto contrario, perché la regia di Carsen ha rispettato pienamente quanto testo e musica descrivono realizzando una messa in scena per certi versi esemplare.
Come accennato Orfeo e Euridice di Gluck-Calzabigi contiene una semplificazione del modo di eseguire l’opera per giungere a risultati drammatici e teatrali dal contenuto inequivocabile e Carsen ha concepito uno spettacolo meravigliosamente calzante a questa visione, del tutto privo di orpelli che aveva come cornice una realizzazione scenica ad essa particolarmente congegnale, grazie anche scene e costumi di Tobias Hoheisel ed alle luci Peter Van Praet e dello stesso Carsen, per una parte visiva scarna ma non povera, semplice ma non disadorna, dove agli interpreti ed al coro sono stati affidati movimenti intensi e straordinariamente teatrali; una rappresentazione che riusciva a trasmettere con efficacia allo spettatore emozioni e sensazioni di quanto espresso dalla musica. Per l’ambientazione sono stati utilizzati costumi di stile attuale ma inseriti in un contesto che ha dato come risultato visivo una modernità senza tempo (come lo stesso Carsen l’ha definita), una azione che ha messo in risalto morte ed amore, due temi che il regista ha individuato come conduttori di questo dramma; si parte dallo straordinario senso di morte che pervade la prima scena dominata dalla disperazione di Orfeo per la perdita della sua cara Euridice, una disperazione dovuta all’amore di Orfeo per la sua sposa, un amore che lo porta a disobbedire alle condizioni a lui imposte per poter riportare in vita Euridice, un comportamento guidato da un senso di immenso amore che poi gli dei premieranno concedendo a Euridice di risorgere per la seconda volta.
Per quanto riguarda la parte musicale, basata proprio sull’edizione viennese del 1762, Gianluca Capuano ha offerto una esecuzione dai caratteri contenuti e delicati perfettamente in linea con la concezione visiva di Carsen. Per la parte di Orfeo, scritta per il castrato Gaetano Guadagni, un contralto famoso all’epoca dalle peculiarità vocali che gli storici ci dicono affini allo stile gluckiano soprattutto per il fatto di non essere incline ai virtuosismi ed alle improvvisazioni, elementi questi che lo rendevano interprete ideale per un’opera della cosiddetta ‘riforma’, una parte che oggi, per ovvi motivi, è impossibile realizzare per come è stata scritta; si è scelto di affidarla al controtenore anziché alla voce femminile di contralto o addirittura ad un baritono, le tre opzioni che oggi abbiamo per interpretare le parti destinate i castrati. La scelta, come sempre accade in questi casi, scatenerà discussioni tra chi predilige l’una o le altre soluzioni, discussioni che noi guardiamo con neutralità. Possiamo solo dire che Carlo Vistoli, cantante di enorme esperienza in questo genere di repertorio ha affrontato la parte con sicurezza ed incisività restituendoci un Orfeo del tutto credibile nel contesto nel quale lo ha raffigurato Gluck. Mariangela Sicilia, altra cantante molto apprezzata oggi, ci ha offerto una Euridice dalla voce aggraziata e sensuale per un cast molto equilibrato e completato da un’altra voce molto esperta nel repertorio barocco, quella dell’ungherese Emőke Baráth.
L’opera è stata a lungo applaudita al termine della recita (ci riferiamo a quella del 22 marzo) da tutto il pubblico che è convenuto numeroso al Teatro dell’Opera per godere del fascino di una delle più belle opere mai scritte, riservando consensi per tutti, a partire da Roberto Gabbiani, per la sua sempre convincente direzione del Coro, per finire a tutti gli altri interpreti, direttore e cantanti. In questi applausi, ne siamo convinti, c’era anche una incondizionata approvazione per la parte scenica di Carsen che dopo il suo debutto a Roma è atteso nel prossimo mese di novembre in una altra impegnativa prova: Idomeneo di Mozart.
Claudio LISTANTI Roma marzo 2018