“L’uomo che volò oltre se stesso”. La ‘trappola’ (riuscita) di Giuseppe Manfridi al Teatro Marconi.

di Marco FIORAMANTI

Teatro Marconi  (V.le Guglielmo Marconi, 698 /E )

L’Uomo che volò oltre se stesso

di/con Giuseppe Manfridi

Regia di Claudio Boccaccini

————————————————–

BASTA CREDERCI, E ACCADE!

I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo.
Ludwig Wittgenstein (“Tractatus logico-philosophicus”)

È forse lo scrittore, e l’artista in generale, condannato da forze demoniache a descrivere il dramma della condizione umana?

1

A sipario aperto Giuseppe Manfridi, copione in mano, entra di colpo in scena proprio come farebbe un attore durante una prova in avanzato stadio di lavorazione. Ho subito pensato che fosse uno dei soliti “scherzi scenici” a cui ci ha più volte abituato per spiazzare lo spettatore. Stavolta non è stato così. Lo spettacolo stava davvero cominciando e lui, uomo/voce narrante, era pronto ad aprirsi a storie una dentro l’altra, in una sorta di affabulazione compulsiva da ipertesto, alla ricerca spasmodica di parole-chiave. L’operazione complessa – e anche molto arbitraria – quella che l’autore compie, più che nella decodificazione dei vari tratti pertinenti propri di ognuna delle storie, va letta nell’accostamento coincidenziale insito nella globalità dei fatti.

Prima storia. Nathaniel Hawthorne, scrittore statunitense, è autore di una novella dal titolo “Wakefield” e, fin dall’incipit, decide di svincolarsi dall’autorialità. Comincia infatti ricordandosi

di aver letto in qualche vecchia rivista o giornale la storia, riferita come vera, di un uomo, cui daremo il nome di Wakefield, il quale abbandonò per lungo tempo sua moglie.

Questa è la prima tessera dell’intero puzzle, ci dice Manfridi, e il passaggio dalla cronaca all’immaginazione sarà il passepartout dell’intera drammaturgia. Col tempo scopriremo quanto il potere deflagrante di questa libera, demoniaca, totale apertura dello scrittore gli permetta di trasformare la realtà dei fatti in una nuova ugualmente credibile.

Dicevamo di Wakefield. Londra, un venerdì di ottobre del 1835

l’uomo col pretesto di partire per un viaggio prese alloggio in una strada vicino alla sua casa e lì, all’insaputa della moglie e degli amici, e senza l’ombra di un motivo per questo volontario esilio, visse più di venti anni.
2

In questa sede non interessa il vagabondaggio di Wakefield in quei due stravaganti decenni. Quello che ci interessa davvero è prendere nota dell’atto deviante n.1, del perché un uomo abitudinario come lui, nel giro di una notte, decide di dare una svolta improvvisa e irrazionale al suo destino.

La devianza n.2 è quella scritta da Jules Laforgue in Un Amleto di meno (1877) in cui il principe non può compiere la sua edipica vendetta perché suo padre/spettro, oggetto del suo odio, è già stato ucciso e quella morte viene quindi sentita come liberazione. Amleto si dimentica del padre ucciso, resta chiuso nel suo castello e diventa uno scrittore. Un altro caso in cui l’assenza di un progetto di colpo porta a un repentino cambio esistenziale.

Anche Robert Walser, poeta e scrittore svizzero di lingua tedesca, ha il suo frastornamento emotivo e ce lo racconta in un suo libro. Una sera, seduto – da solo – in un locale, gli si siede accanto una signora, forse bionda, certamente di bello e di gentile aspetto, che gli lancia sguardi di chiaro interesse. Colto di sorpresa, l’uomo continua a leggere il giornale alzando ogni tanto la testa, ricambiando l’attenzione fin quando non viene attratto da un racconto che lo avvince al punto da dimenticarsi completamente della presenza (e disponibilità) della donna per gettarsi a capofitto nella storia. E Il lettore s’impossessò, così, della devianza n.3.

Il protagonista della storia n.4 esce dalla penna di Isaac B. Singer, scrittore e traduttore polacco/statunitense, e si perde stavolta nel confine tra devianza e follia in un racconto che devia radicalmente dalle premesse editoriali per diventare una dettagliata storia di cavalli. Viene poi scomodato persino l’argentino Borges in uno dei suoi più affascinanti racconti: Le tre versioni di Giuda, (contenuto nella raccolta Finzioni, 1944) in cui la libertà espressiva dell’autore arriva al punto estremo di scrivere: “le conclusioni precedettero le prove”. Tutte ipotetiche certezze, dunque. Inventare delle storie per raccontare ciò che l’autore vuole si sappia.

È a questo punto che Manfridi porta l’asticella alla sua massima altezza superando sé stesso.

4

Parte, come sempre, da una storia vera per dimostrare quanto gli eventi possano in un attimo stravolgere l’esistenza, quella di un giovane studente nero newyorkese di m. 1,91: Robert (Bob) Beamon (classe 1946). Un’adolescenza complicata, sua madre muore di tisi, diventa una promessa dell’atletica, vince una borsa di studio che poi non riuscirà a ottenere, viene abbandonato dalla moglie … È il 1968 ed è candidato alle olimpiadi di Città del Messico. Specialità: salto in lungo. Qui il nostro autore si dilunga ossessivamente nei minimi dettagli costruendo passo passo le sventure e le difficoltà dell’uomo fino al giorno in cui il nostro atleta – pettorale n. 254 – trova le condizioni climatiche ideali per compiere il suo salto/volo/tuffo di 8 metri e 90 centimetri, superando di 55 centimetri il record precedente. Quell’impresa, quei sette secondi in aria, daranno una svolta repentina alla sua vita.

Con la sua effervescente capacità affabulatoria, dopo un monologo di due ore, Giuseppe Manfridi avvince la platea richiamando alla mente gli apparenti legami con tutte le storie finora narrate. Vita e letteratura finemente intrecciate, vero e verosimile intimamente fusi in sentieri che invece di biforcarsi s’intersecano di continuo. Le sincronicità legate a quei ‘venerdì’ di ‘ottobre’ di molti degli accadimenti e il gioco cabalistico attorno al numero 5 danno merito all’autore di aver costruito lo stesso gioco manipolatorio degli autori delle storie. Non è affatto importante se alcuni riferimenti cronologici nella realtà non tornano con quanto narrato. È la letteratura, bellezza…, risponderebbe beffardo l’autore romano. Ci ha teso una trappola nella quale tutti “abbiamo ‘mboccato” (per i non romani: “siamo caduti con tutte le scarpe”). Bravo Manfridi, ci hai centrati nel bersaglio!

Marco FIORAMANTI  Roma 27 Luglio 2024

Foto di William Nessuno