di Nica FIORI
LIU BOLIN. The invisible man
Apprezzato da un pubblico internazionale, l’artista cinese Liu Bolin viene celebrato per la prima volta a Roma con una grande mostra al Vittoriano (fino al 1° luglio 2018). Il titolo “Liu Bolin. The invisible man” allude alle sue straordinarie doti di inserirsi nell’ambiente mimetizzandosi in esso.
Il sogno dell’invisibilità dell’uomo, legato a credenze magiche, lo troviamo nella letteratura di diversi paesi, ma l’invisibilità di Liu Bolin è più simile a quella di certi animali, a partire dai camaleonti, che assumono colori diversi a seconda del paesaggio (che muta con le diverse stagioni) o delle situazioni nelle quali si trovano. Il mimetismo è una forma di autodifesa, che serve per affrontare il nemico nella lunga lotta per la sopravvivenza.
Sembra quasi che gli esseri umani abbiano dimenticato la propria natura animale, sostiene Liu Bolin, perché “non sanno più proteggere se stessi … Mentre L’umanità si gode i frutti del proprio progresso, scava la propria tomba con la sua ingordigia”. Questo perché “la specie umana progredisce distruggendo l’ambiente circostante”.
Liu Bolin vuole evidenziare il suo rapporto con la natura immergendosi nell’ambiente, diventando parte della realtà. Lo dimostrano le fotografie esposte in mostra che raccontano la storia dell’artista, dalla prima performance a Pechino fino agli scatti più recenti del 2017 alla Reggia di Caserta e al Colosseo. Non si tratta di una semplice mostra fotografica, perché presenta diversi livelli di lettura.
Liu Bolin sceglie il luogo dove andrà a scomparire, diventando oggetto di camouflage, grazie alla pittura del proprio corpo (vestito di una tuta) e del volto, che una serie di aiutanti eseguono a comando. A un primo impatto le immagini fotografiche sembrano realizzate col Photoshop, ma osservando attentamente ci rendiamo conto che l’artista è veramente presente nella foto, perfettamente camuffato in modo tale da sembrare un collage di architettura, di cielo, di mare o di qualunque altra cosa.
Considerando che questo artista, nato nel 1973, viene da una formazione accademica di scultura, potremmo dire che gioca a fare “la bella statuina”, affinando sempre di più nelle sue performances le sue doti di trasformista. L’idea è indubbiamente interessante e ha reso “l’uomo invisibile” famoso in tutto il mondo, e probabilmente superpagato, anche perché si mimetizza non solo nei bellissimi monumenti dei Paesi visitati, ma anche negli atelier di moda, come quello di Valentino, nelle stoffe di Missoni, nelle lussuose Ferrari e negli scaffali dei supermercati.
Le immagini fotografiche sono comunque spettacolari e ci incuriosiscono non poco. Liu Bolin vuole entrare all’interno delle cose, più che nascondersi in esse. È forse un modo per conoscerle e conoscere insieme sé stesso. Quindi il suo è un lavoro intimamente connesso all’idea di conoscenza, che ci riporta a diversi filosofi e pensatori orientali e occidentali. Tutto ha avuto inizio quando, nel 2005, il suo studio di Pechino venne distrutto insieme a quelli di altri artisti critici con il governo. Privo del suo ambiente creativo e degli strumenti del suo lavoro, gli rimaneva soltanto il corpo.
Egli voleva dissolversi, allo stesso modo delle immagini distrutte dagli hackers, e così decise di mimetizzarsi tra le macerie con la tecnica del body painting, si fece fotografare e divulgò la foto, dando vita a una protesta silenziosa. Il successo fu tale da dare il via a una straordinaria carriera, in una sintesi di moderni linguaggi quali la pittura, l’installazione e la fotografia.
La mostra, curata da Raffaele Gavarro, è suddivisa in sette cicli tematici a partire da “Hiding in the city”, comprendente le prime performances in Cina, dove appare nascosto nei luoghi più significativi della sua città, da piazza Tienanmen alla Città Proibita, passando per le nuove urbanizzazioni, evidenziando così le contraddizioni che si sono formate tra passato e presente, tra identità culturali e problematiche sociali.
“Hiding in Italy” è la sezione relativa al suo viaggio in Italia, una sorta di Grand tour moderno, che comprende Verona, con l’Arena e la Scala della Ragione, Milano con il Duomo e il Teatro alla Scala, Venezia con il Ponte di Rialto e Piazza San Marco, Pompei con la Villa dei Misteri e il Tempio di Apollo, la Reggia di Caserta e ovviamente Roma, con diverse suggestive immagini, tra cui la sala con la Paolina Bonaparte Borghese nella Galleria Borghese, il Colosseo, ponte Sant’Angelo. Come ha dichiarato l’artista, folgorato dalle bellezze dell’Italia, il Bel Paese è per lui “la culla della cultura mondiale”.
Segue “Hiding in the rest of the world”, che comprende le foto effettuate in altri interessanti Paesi da lui visitati, dall’India agli Usa, all’Europa, quindi “Fade in Italy”, da non confondere con il made in Italy nel quale si fonde. Fade in effetti vuol dire svanire, scomparire, divenendo in questo caso cibo, cultura, design italiani.
“Cooperations” è la sezione che mostra come Liu Bolin presta il suo linguaggio a importanti marchi del mondo della moda: in particolare è protagonista di una delle campagne di comunicazione più note per Moncler, il brand franco-italiano specializzato in piumini e cappotti sportivi. “Shelves” è la serie dedicata agli scaffali, dove si identifica con i prodotti esposti, dalle bevande analcoliche, alle riviste, ai cellulari, e infine “Migrants” rappresenta l’altra faccia della medaglia. Non si immedesima più con la ricchezza degli scaffali pieni di mercanzie, delle macchine di lusso e dei vestiti griffati, ma con la povertà o con la speranza (v. The Hope) di chi lascia il proprio Paese per sfuggire alle guerre, alla fame, alla carestia. D’altra parte la realtà è fatta di contrasti e di contraddizioni che la sua arte cerca di cogliere con immagini ogni volta diverse, anche se l’idea è sempre quella di fondersi nell’ambiente.
L’impressione che si ha è che le foto dell’uomo invisibile servano per fermare il tempo presente e lasciare un documento per chi verrà dopo. Ma, volendo andare a fondo, stare nella realtà contemporanea significa anche avere presente il passato (da qui la scelta di immedesimarsi con i monumenti più importanti dell’architettura), perché solo in questo modo si può progettare il futuro. E il presente è come alimentato dalla nostalgia del vissuto e dall’attesa di ciò che ci aspettiamo dalla vita.
LIU BOLIN. The invisible man
2 marzo- 1 luglio 2018-03-06 Complesso del Vittoriano – Ala Brasini Roma, ingresso da via di S. Pietro in Carcere. Orario di apertura: dal lunedì al giovedì 9.30 – 19.30 venerdì e sabato 9.30 – 22.00; domenica 9.30 – 20.30 Biglietti: intero € 12,00; ridotto € 10,00 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Nica FIORI Roma 7 marzo 2018