di Claudio LISTANTI
Un buon successo di pubblico ha salutato l’esecuzione di Madama Butterfly.
Il capolavoro pucciniano ha concluso la prima parte della Stagione Lirica del Teatro dell’Opera prima della ripresa autunnale del prossimo settembre. Affidata ad una compagnia di canto molto preparata è stato accolto favorevolmente dal pubblico nonostante le consuete ‘stranezze’ registiche.
La scelta di inserire in programma il capolavoro pucciniano ancora una volta si è rivelata vincente visto il numero si spettatori che hanno affollato la Sala del Costanzi, dimostrando con la loro presenza che la Butterfly è, praticamente, un’opera ‘sempre verde’ che riesce ad entrare nel cuore e nei sentimenti dello spettatore che si rende sempre partecipe delle vicende della sfortunata donna giapponese vittima della tracotanza e della protervia maschile stimolando suggestioni ed emozioni.
Per riferire di questo spettacolo iniziamo, come di consueto, dalla parte prettamente visiva, una componente determinante dello spettacolo lirico che negli ultimi tempi stimola discussioni e considerazioni soprattutto per quelle realizzazioni concepite per proporre novità e diverse chiavi di lettura del contenuto di ogni singola opera.
Il Teatro dell’Opera di Roma ha scelto di rappresentare Butterfly con un allestimento affidato ad Àlex Ollé, appartenente alla compagnia de La fura dels Baus, e realizzato in collaborazione con Opera Australia / Sidney Opera House. Nato per la stagione estiva delle Terme di Caracalla, qui è andato in scena nelle estati del 2015 e del 2016 con una ulteriore riproposta nel 2021 quando la stagione lirica estiva si trasferì, causa covid, presso il Circo Massimo. Con opportuni adattamenti, lo spettacolo, è stato ospitato nel più consono palcoscenico di una sala al chiuso, una collocazione che ne consente una più puntuale analisi sia per la parte visiva sia, ma con più efficacia, per la parte prettamente musicale.
Àlex Ollé è artista di teatro trai più apprezzati a livello internazionale per le sue realizzazioni improntate costantemente alla ricerca di nuove strade che consentano, anche se spesso non necessaria, una diversa e più attuale lettura del lavoro interpretato. Qui a Roma ha collaborato diverse volte con il Teatro dell’Opera lasciando un buon ricordo soprattutto per Le Grand Macabre di György Ligeti andato in scena nel 2009 ma anche per realizzazioni contrastanti come Samson et Dalila di Camille Saint-Saëns nel 2013 e, in special modo, per Il Trovatore di Verdi nel 2017 per il quale ci fu qualche perplessità per l’ambientazione spostata nel periodo della Prima Guerra mondiale.
Anche per questa Madama Butterfly c’è stato un cambio d’epoca, con l’abbandono delle consuete giapponeserie per virare verso una cornice sempre giapponese ma dei nostri giorni, con Pinkerton al quale viene tolta la consueta divisa di ufficiale della Marina statunitense per rappresentarlo come uomo d’affari e costruttore emergente, supponente e privo di qualsiasi scrupolo. Alcuni personaggi di contorno perdono i loro costumi tradizionali, come lo zio Bonzo o Goro il mediatore matrimoniale. Agiscono in un ambiente che rievoca certe affollate periferie orientali dominate da palazzi pollaio che fanno da squallida cornice a quanto avviene nella scena togliendole così qualsiasi elemento poetico.
Chiaro in questa realizzazione è il riferimento alla crudezza del neoliberismo attuale che sta annientando le società di tutto il mondo rendendo gli individui completamente succubi ed asserviti allo strapotere di pochi. Ma tutto ciò, a nostro avviso, poco c’entra con il cuore del dramma di Butterfly, della sua tragedia personale e della ferocia con la quale è trattata da Pinkerton. Puccini da al suo personaggio femminile i caratteri di persona ingenua, quasi fanciullesca, una dolce idealista vittima dell’amore che prova verso Pinkerton che riesce a mortificarla con il suo comportamento spregiudicato di maschio dominatore.
A dimostrazione di ciò vogliamo citare la realizzazione della scena dominata dal cosiddetto ‘coro a bocca chiusa’ tramite il quale Puccini vuole comunicare allo spettatore/ascoltatore il travaglio interiore di Cio-Cio-San che passa la notte in attesa del ritorno del suo amato dopo tre anni di assenza che sono stati densi di avvenimenti tra i quali anche la nascita del bambino. Qui Ollé ha messo sulla scena un gruppo di persone scacciate nella notte dalle loro case presumibilmente per lasciare spazio alle speculazioni edilizie messe in atto da Pinkerton per i suoi sporchi affari che nulla centrano con la poesia e l’interiorità di questa opera. Personalmente crediamo che il neoliberismo sfrenato sia, oggi, la malattia principale della quale soffre l’umanità che, se non interverranno fatti nuovi e decisivi, è destinata ad essere annientata. Ma questo modo di vedere le cose nulla centrano con la storia d’amore di Madama Butterfly.
Quando l’opera si avvicina al tragico epilogo, e la musica di Puccini sottolinea, grazie alla sua maestria di strumentatore e di compositore, il dramma personale che travolge Cio-Cio-San, la scena diviene all’occhio dello spettatore una cosa inutile, un orpello al quale nemmeno si fa più caso con la musica pucciniana che irrompe come un tornado nella sensibilità e nell’animo di noi ascoltatori; ci si dimentica in un sol battito di tutto quanto visto fino a quel momento per condurre il nostro pensiero accanto a quello di Butterfly che decide di togliersi la vita per non essere riuscita a raggiungere la felicità desiderata.
Per la realizzazione della parte visiva c’erano anche le scene di Alfons Flores, i costumi di Lluc Castells, le luci di Marco Filibeck e i video di Franc Aleu. Grazie alla loro professionalità queste componenti dello spettacolo si sono rivelate ideali per realizzare l’impostazione voluta dal regista.
Per quanto riguarda la parte musicale Roberto Abbado ha diretto con precisione e cura tutta l’opera anche se la sua direzione è risultata sovente incolore rispetto alla smagliante orchestrazione pucciniana che non è riuscita ad emergere nella sua bellezza come nel primo atto quando Puccini descrive con i suoni i caratteri dell’ambientazione giapponese e i frequenti contrasti tra la civiltà del luogo e quella degli americani che realizza con il sovrapporsi di elementi esotici orientali e quelli più ascrivibili alla cultura occidentale rappresentata da Pinkerton e da Sharpless. Lodevole la decisione di unire secondo e terzo atto utilizzando l’intermezzo come compariva nell’edizione originale del capolavoro pucciniano.
A proposito di questo aspetto sarebbe stato di un certo interesse riproporre Butterfly proprio nell’edizione originale andata in scena alla Scala nel 1904.
Come è noto l’opera non fu accolta benevolmente dal pubblico milanese. Un insuccesso causato anche da fattori che nulla ebbero a che vedere con la validità della partitura. Ma Puccini volle revisionare il suo capolavoro che poi trionfò a Brescia solo qualche mese dopo. Puccini, non contento ancora del risultato sottopose la partitura ad altri aggiustamenti: a Londra nel 1905, a Torino e Parigi nel 1906 e a New York nel 1907, per arrivare addirittura fino al 1920.
La riproposta dell’edizione originale sarebbe opportuna anche perché con i vari ripensamenti si sono persi elementi anche importanti per la drammaturgia stessa dell’opera. Ad esempio i diversi interventi di carattere popolare del primo atto e, soprattutto, la diversa rappresentazione del finale che nell’edizione originaria dava una descrizione più feroce della coppia Pinkerton-Kate (sua nuova sposa) visti con una luce più drammatica, figure più attinenti alla rappresentazione del neo-liberismo degli Stati Uniti dell’epoca che, forse, poteva essere più vicina alla lettura di Àlex Ollé.
Pensiamo che il pubblico sia ormai maturo per recepire un’operazione del genere, soprattutto per un capolavoro conosciutissimo come questo la cui fruizione dell’edizione originale arricchirebbe l’esperienza d’ascolto, non solo per gli addetti ai lavori ma, anche, per tutto il resto degli spettatori. Occorrerebbe un atto di coraggio che, probabilmente, qui a Roma è mancato per l’attuale assenza di un direttore artistico le cui competenze dovrebbero essere rivolte ad aspetti come questo. La nostra è una esortazione che rivolgiamo a tutti i direttori, Roberto Abbado compreso, e chissà se, in un futuro, la cosa non possa essere possibile.
Per quanto riguarda la compagnia di canto è risultata del tutto valida, come ha decretato anche il numeroso pubblico convenuto in teatro la sera del 21 giugno per la recita che stiamo recensendo.
Trionfatori della serata sono stati tre cantanti. In primis Eleonora Buratto che ci ha dato una Cio-Cio-San intensa e coinvolgente anche se la sua prova è iniziata con qualche riserva nell’espressione ma la sua interpretazione è cresciuta con il procedere della recita fino a diventare grandiosa e vibrante nel finale, esaltando così l’altro elemento intenso di questa parte dello spettacolo, quello musicale. La Buratto, in possesso di una carriera di tutto rispetto, ha mostrato piena padronanza dei suoi mezzi che ha messo a disposizione dell’esecuzione impreziosendone i contenuti. Per lei applausi e ovazioni.
Poi c’è da mettere in evidenza lo Sharpless di Roberto Frontali dalle emissioni e dizione sicure per una parte vocale non trascendentale ma dai contorni drammaturgici di straordinaria importanza per un personaggio che il baritono ha saputo disegnare con sicurezza ed efficacia. Per lui un felice successo personale come quello del mezzosoprano Anna Maria Chiuri una Suzuki di spessore che ha saputo intrepretare con evidente passione e coinvolgimento l’importante parte prevista per lei nell’atto finale.
Il Pinkerton di Dmytro Popov seppur con qualche inflessione di carattere eroico, non pertinente con il contenuto dell’opera, è risultato comunque cantato in maniera soddisfacente facendo emergere un personaggio che, per sua natura, resta antipatico al pubblico al punto di oscurare anche interpretazioni vocali valide.
Tutti soddisfacenti i cantanti impegnati nelle altre parti: il tenore Carlo Bosi Goro, il basso Luciano Leoni Zio Bonzo, Angela Nicoli La madre, Cristina Tarantino La cugina e Antonio Taschini L’Ufficiale del Registro. Da non dimenticare i tre cantanti provenienti dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma impegnati in brevi ma significative parti: Eduardo Niave Il Principe Yamadori, Ekaterine Buachidze Kate Pinkerton e Mattia Rossi Il Commissario Imperiale.
Come già detto la stagione al chiuso entra in pausa ma per il Teatro dell’Opera inizia ora una intensa stagione estiva che si svolgerà nel grande scenario delle Terme di Caracalla con numerosi ed interessanti spettacoli che terranno banco fino al prossimo 10 agosto di cui daremo puntualmente conto.
Claudio LISTANTI Roma 25 Giugno 2023