di Claudio LISTANTI
Durante questi giorni di fermo per tutte le attività culturali è favorita una riflessione più attenta su quelle che sono le nostre passioni e i nostri interessi. Uno stimolo per ognuno di noi per approfondire con più tranquillità i contenuti di ciò che ci sta a cuore. Anche noi che siamo appassionati convinti del teatro in musica e di tutto quanto gira attorno a questa galassia, questi giorni di solitudine spirituale, per un certo senso benvenuti in quanto hanno posto un limite alla vita frenetica del terzo millennio senza dimenticare e sottovalutare l’immane tragedia che ci circonda, abbiamo avuto modo di riflettere sulla storia, lo sviluppo e l’evoluzione del teatro d’opera.
Scorrendo la storia di questa particolare forma musicale molto cara a noi italiani che ne siamo stati indiscussi elementi di crescita e progresso, la nostra attenzione sé stata orientata su uno dei capolavori di Gioacchino Rossini, Maometto II, che proprio quest’anno compie 200 anni di vita, del quale vogliamo ricordare l‘importanza ed il notevole peso specifico che ha avuto per lo sviluppo di questo tipo di spettacolo ricordandone il contesto storico-musicale nel quale è nato.
Maometto II è, forse, l’opera più importante del sostanzioso catalogo del cosiddetto Rossini serio. Rappresentata per la prima volta il 3 dicembre del 1820 al Teatro di San Carlo di Napoli è indiscutibile esempio del periodo ‘napoletano’ del musicista pesarese. Napoli a quell’epoca era una delle piazze, se non la più importante, d’Europa. Centro gravitazionale della vita musicale partenopea era il Teatro di San Carlo, che dal 1809 fino al 1840 fu nelle sapienti ed illuminate mani dell’impresario Domenico Barbaja. Fu personaggio di straordinario fiuto artistico e di notevole lungimiranza che riuscì a catalizzare nel suo teatro la presenza dei più grandi cantanti dell’epoca, dei più importanti musicisti e di notevoli strumentisti che formarono una orchestra di grande livello, elemento raro in quegli anni. Creò quindi una miscela di fattori che posero il Teatro di San Carlo all’avanguardia nel mondo musicale di quegli anni.
Al Barbaja, certò, non sfuggì il genio di Gioacchino Rossini; assieme crearono un sodalizio artistico fruttuoso e straordinario. Dal 1815 al 1822 Rossini fu chiamato a dirigere il teatro per il quale produsse i capolavori forse più importanti che costellarono la sua carriera artistica in un periodo nel quale il musicista sentiva la necessità di trovare quegli elementi di innovazione che potessero cambiare il volto, e la struttura, delle opere, per giungere ad una più efficace ed incisiva realizzazione dei contenuti teatrali e drammatici.
Di quel periodo sono da ricordare Elisabetta, Regina d’Inghilterra (1815), Otello, ossia il moro di Venezia (1816 ma per il Teatro dal Fondo), Armida (1817), Mosè in Egitto (1818), Ricciardo e Zoraide (1818), Ermione (1819), La donna del lago (1819), appunto Maometto II (1820) per concludersi con Zelmira nel 1822.
Queste furono le basi sulle quali Rossini costruì i suoi capolavori ed estrinsecare tutto il suo genio musicale e teatrale. Tra tutte le opere citate Maometto II può essere considerata quella che contiene i germi più evidenti di quella che sarà l’opera romantica italiana che dominerà il resto dell’800 che avrà come protagonisti Gaetano Donizetti, sostituto di Rossini alla guida del San Carlo, che sfiorò Vincenzo Bellini, purtroppo penalizzato dalla prematura morte, e che arrivò ai vertici con il genio di Giuseppe Verdi che ebbe sempre incondizionata ammirazione per il Rossini musicista. Accorate furono le sue parole quando il 13 novembre del 1868 apprese della sua morte:
“Un gran nome è scomparso dal mondo! Era la reputazione più estesa la più popolare dell’epoca nostra, ed era gloria italiana. Quando l’altra, che vive ancora (evidente allusione a Manzoni ndR) non sarà più, cosa ci resterà?”.
Maometto II, come già evidenziato, andò in scena il 3 dicembre 1820. Una parte della critica musicale, come il tedesco Anselm Gerhard, attribuisce l’ispirazione dell’opera al fatto che il 4 febbraio dello stesso anno al San Carlo fu rappresentato per la prima volta in edizione italiana, uno dei capolavori di Gaspare Spontini, Fernand Cortez ou la conquête du Mexique, opera di grandi dimensioni di carattere eminentemente storico anche se di ispirazione celebrativa per i successi miliari di Napoleone, che lo stesso pesarese diresse e concertò. Non è una cosa comprovata da documenti ma l’attiguità delle due date fa pensare ad un coinvolgimento all’ispirazione di Rossini. Nell’opera, Spontini, rappresenta il conflitto tra il dovere patriottico e l’amore di una donna per il rappresentante dell’armata nemica.
E’ in pratica la stessa situazione del Maometto II con la sola differenza che nel Fernand Cortez gli oppressi sono i messicani e di conseguenza gli oppressori sono persone legate al pubblico al quale è destinata l’opera (gli spagnoli in quanto europei). Nel Maometto II gli oppressi sono i veneziani del Negroponte (quindi gli italiani e europei) e gli oppressori l’armata ottomana del sultano Maometto. Ma in entrambe le opere la presenza degli assedianti è sempre incombente e influenza lo stato d’animo degli assediati; mentre nella prima gli oppressi soccombono agli oppressori nell’altra c’è un moto di rivalsa degli assediati versi gli oppressori.
Per realizzare questa nuova opera fu scelta la tragedia, Anna Erizo, prima opera di carattere non classico del letterato Cesare della Valle, Duca di Ventignano, che curò anche la stesura del libretto. Una prassi piuttosto inusuale per i tempi che ci fa considerare questo fattore fondamentale per quegli elementi di novità che ispirarono la composizione dell’opera. In essa agiscono quattro personaggi principali: Paolo Erisso provveditore dei veneziani in Negroponte, Calbo giovane guerriero e promesso sposo di sua figlia Anna, combattuta tra l’amor patrio e l’amore per il sultano Maometto, ruolo di contrapposizione con gli altri tre personaggi.
La trama è piuttosto lineare. L’azione è immaginata nel 1470. La colonia veneziana di Negroponte è cinta d’assedio da Maometto II che vuole distruggerla. Il popolo vive momenti drammatici. Paolo Erisso mostra segni di cedimento ma Calbo lo esorta a combattere. Quest’ultimo è designato da Paolo Erisso a sposo della figlia Anna per proteggerla meglio. Anna rifiuta rivelando di essere innamorata di un altro giovane, un certo Uberto di Mitilene. Il suono del cannone annuncia l’entrata dei musulmani in Negroponte. Calbo ed Erisso sono imprigionati, e Maometto, che ama Anna, propone a Paolo la salvezza in cambio della figlia che, però, rifiuta. Anna riconosce in Maometto il finto Uberto, e lo prega di salvare il padre e Calbo dichiarandolo suo fratello. Maometto propone ad Anna di sposarlo, e intanto Erisso ripudia la figlia.
Nel secondo atto Maometto ed Anna sono nella tenda del condottiero, che la invita a cedere all’amore. Arriva la notizia che i veneziani stanno resistendo all’assalto e costringono i Turchi ottomani a retrocedere. Maometto si precipita al campo di battaglia dopo aver donando ad Anna un anello, che le garantirà rispetto tra i musulmani.
Erisso e Calbo sono nei sotterranei del tempio entrambi colpiti dal tradimento di Anna. La ragazza giunge, e impone loro di salvarsi, dando loro l’anello e degli abiti musulmani, e chiede al padre di unirla in matrimonio a Calbo sulla tomba della madre. Rimasta sola, Anna viene accerchiata dai musulmani, che vogliono ucciderla perché giudicata responsabile della vittoria dei veneziani. Anna rimane indifesa ma rivela a Maometto di non essere la sorella, ma la sposa di Calbo. Tra l’orrore generale si trafigge con il pugnale che le donò il padre Erisso per difendersi in caso di difficoltà.
A fronte di questo soggetto Gioacchino Rossini scrisse una partitura pregevole e raffinata caratterizzata da una parte musicale del tutto funzionale all’espressività ed alla drammaticità del testo volte a realizzare una azione concisa ed essenziale.
L’opera è priva della tradizionale sinfonia sostituita da una breve ma intensa introduzione che in poche battute introduce velocemente l’ascoltatore nel clima del dramma che si vive nella Sala del Palazzo del Provveditore Erisso, causato dell’impellente minaccia dell’invasione da parte di Maometto. Le arie, intese in senso classico, sono praticamente superate se si eccettuano le due cavatine del primo atto, quella di Anna ‘Ah che invan sul mesto ciglio’ e quella di Maometto ‘Sorgete: in si bel giorno’.
(Audio 1) Il basso Samuel Ramey nell’entrata di Maometto. Ambrosian Opera Chorus · Philharmonia Orchestra · Claudio Scimone (Edizione Philips).
Il resto dell’azione è narrato in maniera avvincente grazie ad una sorta di efficace concertazione basata su un incisivo recitativo accompagnato, energico ed espressivo, che rende fruibile allo spettatore l’evoluzione della trama. Straordinario è l’impiego del coro utilizzato in maniera esclusivamente drammatica e suddiviso in gruppi per porre in contrapposizione lo stato d’animo del popolo di Negroponte sotto assedio con la ferocia delle truppe del sultano. Nell’opera, che gode di una raffinata strumentazione, è presente anche una parte ‘esotica’ che caratterizza le gesta di Maometto dei soldati turchi.
Oltre al gran finale del primo atto che evidenzia la concitazione scaturente dalla proposta di nozze di Maometto e dal conseguente ripudio della figlia da parte di Erisso ci sono altri due punti della partitura che possono essere considerati veri e propri cardini di questo spirito ‘innovativo’ rossiniano che pervade tutta l’opera. A metà del primo atto c’è il ‘terzettone’ (termine usato dallo stesso Rossini) che, quantitativamente, occupa quasi la metà di tutto l’atto. Questo numero ha la peculiarità di essere costituito da momenti scenici dai diversi contenuti teatrali ma in presenza degli stessi personaggi (Anna, Calbo e Erisso). Nella prima parte nella stanza di Anna dove c’è la sua confessione di essersi innamorata di Uberto di Metilene, cosa che provoca la meraviglia di Calbo e Erisso. Ma un colpo di cannone annuncia l’intervento dei mussulmani che interrompe la discussione; si passa rapidamente nella piazza di Negroponte dove la musica evoca con grande effetto gli echi della battaglia. Anna è scossa e canta, accompagnata dal coro, una commovente preghiera che è lo spartiacque di tutta la scena.
(Audio. 2) Il soprano June Anderson nella Preghiera di Anna: “Giusto Cielo, in tal periglio” del primo atto e la successiva scena “Ahi, padre!” con Ernesto Palacio (Erisso). Ambrosian Opera Chorus · Philharmonia Orchestra · Claudio Scimone (Edizione Philips)
Fulmineamente Calbo, Anna ed Erisso si ritrovano, ognuno di loro proseguirà per una strada propria. Erisso dona ad Anna un pugnale appartenente ad un antenato da utilizzare in caso di pericolo. Anna promette di utilizzarlo nel caso cadesse in mano del nemico. E’ difficile sintetizzare questo punto dell’opera; quanto abbiamo detto, ci auguriamo, essere utile a far comprendere le caratteristiche innovative di questi momenti teatrali.
L’altro colpo genio è il finale dell’opera interamente affidato al personaggio di Anna. Anche in questo caso non siamo di fronte ad una vera e propria aria né, tanto meno, ad un lieto fine sottolineato da un rondò come poteva accadere in quei tempi. Qui abbiamo un’aria ‘diluita’ all’interno di tutta la scena finale dove il mesto canto di Anna si intreccia al canto delle donne che dona a tutto questo momento teatrale un senso infinito di mestizia interrotto dall’arrivo dei mussulmani feroci per la sconfitta subita ed ai quali Anna risponde uccidendosi con il pugnale donatole dal padre lasciando Maometto nella completa delusione.
(Audio. 3) Il soprano June Anderson in un momento del Finale II: “Sventurata! fuggir sol ti resta” (Anna e coro). Ambrosian Opera Chorus · Philharmonia Orchestra · Claudio Scimone (Edizione Philips)
Maometto II può essere considerata opera equilibrata nel porre in evidenza l’ambientazione storica senza trascurare le passioni umane; un felice punto d’unione che può essere considerato un vero e proprio embrione di quel ‘Grand operà’ che infiammò i pubblici dei teatri lirici della metà dell’800 dove straordinari affreschi storici erano utilizzati come cornici all’interno delle quali si contrapponevano l’umanità, le sensazioni, le debolezze, i turbamenti e le coscienze dei singoli personaggi.
Il 3 dicembre 1820 la prima assoluta fu affidata a cantanti che oggi potremmo definire ‘stelle di prima grandezza’. Protagonista fu il soprano Isabella Colbran altro personaggio importante nella vita di Rossini. Legata sentimentalmente a Barbaja divenne poi amante di Rossini e successivamente, nel 1822, consorte del pesarese. Per la sua importante voce Rossini scrisse grandi parti vocali che ne potessero mettere in risalto tutte le qualità virtuosistiche.
Anna è una parte molto evidentemente scritta con queste prerogative e rendere così, principale, il personaggio in ossequio al titolo originario della tragedia di Cesare della Valle. La parte di Maometto II, anch’essa di fondamentale importanza per l’economia di questa splendida partitura nonostante le nostre osservazioni di prima, fu eseguita da Filippo Galli basso di grande fama per l’epoca (Fig. 7). Il tenore Andrea Nozzari, famoso all’epoca per la sua voce di stampo ‘baritonaleggiante’, vale a dire portato per il registro medio e dare così maggior spessore a quello acuto, interpretò Paolo Erisso (Fig. 8). Nella parte ‘en travesti’ di Calbo ci fu il contralto francese Adelaide Chamel conosciuta dal pubblico con il nome italianizzato di Adelaide Comelli. (Fig. 9)
Maometto II non ebbe un buon successo di pubblico. E’ questo un destino comune a tutte quelle opere che posseggono nel loro Dna evidenti elementi di innovazione che noi oggi, a distanza di tanti anni, possiamo giudicare con più serenità e cognizione di causa. A titolo di esempio possiamo citare Le Sacre du printemps di Stravinskij e La Traviata di Verdi anch’esse poco apprezzate del pubblico della prima assoluta. Ma se queste ultime due ben presto riuscirono ad entrare nel grande repertorio ed essere pienamente considerate per il loro indiscusso valore, per il Maometto II, purtroppo, la storia è completamente diversa.
Rossini, dopo la sua partenza da Napoli ne produsse una nuova versione che andò in scena nel 1822 alla Fenice di Venezia nella quale inserì alcune modifiche giudicate idonee per ottenere il gradimento del pubblico della città lagunare. Tra le modiche adottate la più importante fu quella di sostituire il finale tragico con uno a lieto fine snaturando così l’unità drammaturgica dell’opera senza ottenere un apprezzabile successo di pubblico.
Ma Rossini non smise mai di considerare Maometto II opera di punta della sua produzione. Quando si trasferì a Parigi, infatti, la usò come biglietto da visita per entrare nel gusto dello spettatore francese e verificarne l’indice di gradimento. Quindi rimise mano a Maometto II per produrre un’opera adatta a contenere quello stile di grandioso dramma storico che si materializzò poi con il ‘Grand operà’. Nel 1826, quindi, nacque Le siège de Corinthe, tragédie lyrique in tre atti che utilizzava buona parte della musica di Maometto II ma su un nuovo libretto scritto da Luigi Balocchi e Alexandre Soumet. L’azione fu spostata al 1453 nella Corinto assediata dall’esercito ottomano pochi anni dopo la caduta di Costantinopoli (Fig. 10)
L’operazione, in definitiva, riuscì e la nuova opera ottenne dopo la prima del 9 ottobre 1826 un buon indice di gradimento. Ma la geniale struttura innovativa del Maometto II ne uscì penalizzata in quanto l’adattamento allo stile francese produsse l’irrimediabile diluizione dell’azione scenica e, quindi, perse uno degli elementi basilari della sua architettura.
A seguito di questi rimaneggiamenti Maometto II, nella versione originale, cadde in completo disuso. Basti pensare che già all’epoca, anche presso una autorevole fonte quale poteva essere quella del principale biografo di Rossini, Giuseppe Radiciotti, era diffuso l’errore che la fonte letteraria ispiratrice del Maometto II fosse Voltaire con la tragedia Le Fanatisme ou Mahomet le Prophète molto evidentemente ispirata alla figura del profeta e non del sultano. Comunque il destino di Maometto II è comune a molte opere che subirono trattamenti analoghi, come ad esempio per lo Stiffelio verdiano che fu trasformato in Aroldo, per le quali gli spartiti originali divennero addirittura non più reperibili in quanto le prime edizioni furono considerate, a torto, come uno stadio primario dell’iter compositivo dell’opera.
La fortuna de Le siège de Corinthe, però, non superò la fine dell’800 e neanche la versione italiana dell’opera, L’assedio di Corinto, ne garantì la sopravvivenza. Soltanto a ‘900 inoltrato, soprattutto grazie alla cosiddetta ‘Rossini renaissance’, iniziò il recupero di questo tipo di repertorio (Fig. 11).
Il Rossini Opera Festival di Pesaro è stato, e continua ad essere, principale punto di riferimento di questa rinascita. Nel 1985 produsse un’apprezzabile edizione scenica del Maometto II basata su una edizione critica curata da Claudio Scimone ed edita dalla Fondazione Rossini in collaborazione con la Ricordi Spa, che accoglieva i risultati degli studi condotti per ricostruire sui documenti di archivio l’edizione originale del 1820. (Fig. 12)
Lo spettacolo ebbe successo grazie alla direzione dello stesso Scimone e ad una compagnia di canto di specialisti composta da Cecilia Gasdia Anna, Samuel Ramey Maometto, Chris Merritt Erisso e Lucia Valentini Terrani Calbo abbinati ad una adeguata cornice scenico-registica ideata da Pier Luigi Pizzi. Parallelamente Scimone diresse anche la prima registrazione assoluta discografica del Maometto II grazie alla Philips allora in prima fila per la riscoperta del repertorio dimenticato dei grandi musicisti (Fig. 13).
Queste iniziative consentirono a tutti gli appassionati e addetti ai lavori di apprezzare pienamente le qualità musicali e drammaturgiche del capolavoro rossiniano restituendolo intatto al repertorio del teatro lirico e consentire così numerose rappresentazioni di questa tragedia in musica in molte parti del mondo. C’è stato un indubbio recupero soprattutto presso gli addetti ai lavori che non ha però coinvolto la stragrande maggioranza del pubblico. Queste nostre brevi note sono destinate a tutti coloro che ancora non apprezzano pienamente gli indiscussi valori della partitura di Maometto II sperando di trasmettere loro quella vitalità di un capolavoro che restano intatte dopo 200 anni di storia ed apprezzabili anche dall’ascoltatore del terzo millennio.
Claudio LISTANTI Roma 29 marzo 2020