di Giulio de MARTINO
Interrotta bruscamente dalla pandemia, e opportunamente prolungata, si può ancora visitare, fino al 30 aprile 2022, la mostra fotografica Prima, donna. Margaret Bourke-White. La propone il Museo di Roma in Trastevere.
Si tratta di una formidabile occasione per comprendere cosa sia stata la grande fotografia del ‘900 e quale sia stato il suo contributo – oltre che a svariati settori della comunicazione e dell’industria – alle narrazioni sociali e personali.
Prima della diffusione del fotografare di massa e poi dell’immagine digitalizzata e multireplicata dai devices personali e dalla rete di internet, la fotografia e l’azione dei fotografi del Novecento erano connesse alla presenza fisica nei luoghi degli eventi e alla tempestività univoca del tempo dello scatto.
Nata nel corso della seconda rivoluzione industriale, la tecnologia fotografica si è rivelata flessibile e versatile, capace di inserirsi a più livelli nella comunicazione sociale e di potenziare – attraverso l’opera dei fotografi professionisti – la percezione della realtà nelle persone, come singoli e come collettività.
Lo sguardo fotografico non è lo sguardo corporeo, personale: un «occhio meccanico» (l’obiettivo, il diaframma, la pellicola) e un «fotografo» (la persona spazio-temporale sincronica) si interpongano fra lo spettatore e l’oggetto. Questa mediazione, però, diventa quasi invisibile, anonima, e l’immagine fotografica riesce ad entrare nella psicologia personale come se ognuno di noi quella cosa o quella persona l’avesse vista con i propri occhi e con la propria mente.
È bene sapere che Margaret Bourke-White (New York, 14 giugno 1904 – Stamford, 27 agosto 1971) è stata la più importante fotografa americana del ‘900, la prima donna fotografa del settimanale Life (1883-2007) e la prima fotografa straniera ad avere l’autorizzazione a scattare foto in URSS.
Esordì come fotografa industriale alla fine degli anni ’20. Nelle sue immagini si univano l’interesse informativo e descrittivo dei grandi impianti industriali, con il linguaggio figurativo della pittura cubista tradotto nelle coordinate visuali e tecniche dell’immagine fotografata e riprodotta.
La vastità dello spazio industriale, la ridefinizione del campo delle soggettività in esso incluse, erano raffigurati e rimpiccioliti in uno spazio molto contenuto – quello dell’immagine stampata e riprodotta su manifesti, libri, giornali – senza perdere nulla della loro potenza espressiva.
Un notevole salto per la Bourke-White fu quello costituito dal passaggio dalla fotografia delle «cose» a quello della fotografia delle «persone», o meglio, alla fotografia delle persone modificate dal linguaggio delle cose. L’occasione fu offerta dal fotogiornalismo e dall’inserimento dell’immagine fotografica nei palinsesti dell’informazione stampata dove si ponevano sullo stesso piano il giornalista scrittore e il giornalista fotografo e reporter.
La fotografia di reportage e di cronaca riuscì a dare una percezione oggettiva e fisica delle dinamiche contraddittorie del mondo nazionale e del mondo globale. Contribuì all’ampliamento psicologico e cognitivo dei cittadini occidentali – primi gli americani e i francesi – diffondendo una rappresentazione visuale e oggettiva del concetto astratto di «società». In tal modo, accanto al ristretto «ambiente personale» di ognuno, si sviluppò una percezione mentale del tempo e dello spazio espansa: dilatata al mondo e alla storia, ma anche delimitata dalle forme della «percezione fotografica» stessa.
Nei suoi reportage di fotografia aerea, Bourke-White mostrò come l’America fosse capace di «visione dall’alto» e di ampliare la percezione della realtà interpersonale includendovi il «mondo», oltre che il «prossimo». Il suo globalismo fotografico avrebbe contribuito a modificare il concetto di pubblica opinione, estendendolo a territori e a contesti prima inaccessibili, ma adesso divenuti conoscibili e condivisibili.
Con i suoi reportage per testate come Fortune e Life la Bourke-White seppe inserire l’elemento «storico» nella mentalità americana e poi europea, ancora chiuse in rappresentazioni localistiche e provinciali. Si pensi alle cronache visive del Secondo conflitto mondiale, ai ritratti di Stalin e di Gandhi, ai viaggi nel Sud Africa dell’apartheid e alle inchieste fotografiche nell’America dei conflitti razziali.
In questo senso contribuì a formare le precondizioni tecniche e cognitive di quella forma di «percezione estesa ed espansa» della società e della storia che si sarebbe diffusa nel mondo a partire dalla contestazione americana e francese del 1968.
Nella mostra romana si vedono 100 immagini, provenienti dall’archivio Life di New York e divise in 11 sezioni tematiche e cronologiche. La prima è la sezione dal titolo L’incanto delle acciaierie, relativa ai lavori di fotografia industriale del 1928, quando la Bourke-White aprì il suo studio fotografico a Cleveland. La seconda sezione, intitolata Conca di polvere, si riferisce agli anni della Grande Depressione nelle sue ripercussioni nel Sud degli USA.
La terza sezione documenta i reportage per LIFE, mentre la quarta sezione, Sguardi sulla Russia, la vede fotografare le fasi del piano quinquennale 1933-1937 in Unione Sovietica, dove sarebbe tornata – quando era scoppiata la Seconda guerra mondiale e l’URSS era diventata co-belligerante degli Alleati – per realizzare il ritratto di Stalin in esclusiva per Life.
Nella primavera del 1945, Margaret Bourke-White fu al seguito del generale George S. Patton durante la sua avanzata in Germania. Documentò l’ingresso nei campi di concentramento della NSDAP. Lo si vede nelle sezioni 5 e 6: Sul fronte dimenticato: gli anni della guerra e Nei Campi, in cui è testimoniato l’orrore al momento dell’apertura e dello smantellamento del Campo di concentramento di Buchenwald (1945).
La settima sezione, L’India, raccoglie il reportage effettuato al momento dell’indipendenza dell’India e della sua separazione dal Pakistan (1950); l’ottava sezione si riferisce al Sud Africa, mentre, nella nona sezione, Voci del Sud bianco, fotografie a colori del 1956, lo sguardo si rivolge nuovamente all’interno della società americana e al tema del segregazionismo dei neri nel Sud degli USA.
La decima sezione, In alto e a casa, raccoglie alcune tra le più significative immagini aeree realizzate dalla fotografa, mentre nell’undicesima sezione, La mia misteriosa malattia, una serie di immagini – scattate da Alfred Eisenstaedt (1898 – 1995) – documentano la sua ultima, strenua lotta, dal 1952, contro il morbo di Parkinson.
Giulio de MARTINO Roma 20 Febbraio 2022
La mostra
Prima, donna. Margaret Bourke-White
dal 21 Settembre 2021 – 27 febbraio 2022, prolungata al 30 Aprile 2022. Museo di Roma in Trastevere. Piazza S. Egidio 1b – Roma
ORARI: Dal martedì alla domenica ore 10.00 – 20.00 24 e 31 dicembre 10.00-14.00. Alessandra Mauro
ORGANIZZAZIONE Contrasto e Zètema Progetto Cultura, in collaborazione con: Life Picture Collection, detentrice dell’archivio storico di LIFE.
ENTI PROMOTORI: Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali
Catalogo: edito da Contrasto.