Massoni, gesuiti e gattopardi a caccia di stelle. I 230 anni della Specola di Palermo, culla dell’astrofisica

di Monica LA TORRE

Nato da utopia illuminata, popolato da strumenti nautici e astronomici sullo sfondo di pareti di legni antichi come la plancia del Nautilus, l’osservatorio astronomico di Palermo ed il suo Museo sono una foresta di simboli. L’intervista all’astronoma Ileana Chinnici*
fig 1 Specola di Palermo, Incisione, 1814

Esiste un luogo simile in tutto e per tutto alla plancia del Nautilus. Un susseguirsi di stanze che avrebbero fatto la felicità di Jules Verne. Una sfera di legni antichi e strumenti navali, astronomici, cartografici. Uno scrigno di scienza e sapere antico in  cima alla torre di un palazzo normanno.  Un luogo dell’anima, la wunderkammer perfetta, lo stargate  di un mondo scomparso, sognato da un massone, voluto da un re, portato ad iscrivere la sua storia negli annali della scienza moderna, diretto da un teatino ed un gesuita. Qui, dove cinquecentine e secentine si alternano a sestanti, cronografi marini, telescopi  del XVIII secolo, si è portato a compimento uno dei sogni più ambiziosi delle logge massoniche intrise di ideali illuministi, a cavallo tra il Settento e l’Ottocento.

Il gioiello massonico

Questo formidabile giacimento di suggestioni, di potenza immaginifica fuori dal comune, è il Museo della Specola, gioiello storico dell’Osservatorio Astronomico di Palermo. Qui da duecento anni si esplorano le profondità dell’universo. Qui, gli strumenti che misuravano tempo, cielo e terra si sono spesso incrociati e fusi con quelli dell’andar per mare.

Il tempo dell’esplorazione e della scienza

Era il tempo della Compagnia delle Indie. Il tempo delle spedizioni scientifiche a caccia di eclissi di sole e transiti di pianeti. Il tempo della classificazione delle stelle, della nascita della moderna cartografia. Il tempo in cui Re Ferdinando di Borbone, rispondendo ai desiderata del viceré di Sicilia, fonda nella remota ma vivacissima Palermo di fine XVIII secolo un luogo di scienze applicate destinato a divenire centrale, negli studi astronomici ed astrofisici italiani ed europei dei due secoli a venire: l‘Osservatorio Astronomico.

fig 2 Palazzo dei Normanni,  PA, cupola dell’Osservatorio

Il cuore normanno della città

Per la sua collocazione, sceglie la torre pisana del Palazzo Reale, il palazzo dei Normanni. Ovvero, quello che un tempo doveva essere il più alto punto di osservazione della città, data la millenaria imponenza del complesso, dove ancora oggi la Regione Sicilia insedia il suo governo. Già da queste scarne premesse, già  dopo la drastica banalizzazione della sua origine, appare chiaro come la matrice massonica permei la genesi, l’orientamento, l’attività dell’osservatorio sin dal suo primo apparire. In pieno secolo dei Lumi, le logge influenzavano fortemente l’attività culturale e scientifica delle elites europee: e soprattutto, spingevano alla diffusione del sapere scientifico destinato, nelle intenzioni, a spazzar via “l’ombra della superstizione e dell’ignoranza”, in nome “delle magnifiche sorti progressive”.

L’intervista: Ileana Chinnici

fig 3 Ileana Chinnici

Non è un caso, vedremo in seguito, come i principali osservatori astronomici europei sorgessero nelle città dove la presenza massonica era più forte e determinante. E la Sicilia non fa eccezione.

A guidarci alla scoperta di questa fortezza della scienza moderna, ammantata da una “foresta di simboli” e suggestioni scientifiche, filosofiche e storiche, oggi saldamente gestita dall’Istituto nazionale di Astrofisica, Ileana Chinnici ricercatrice e astronoma Inaf, in forze all’Osservatorio come responsabile scientifico delle collezioni storiche, di per sé appartenenti all’Università di Palermo e come tali facenti parte del Sistema Museale di Ateneo.

La mano di Re Ferdinando

fig 4 Francesco D’Aquino, Principe di Caramanico

«L’osservatorio nasce sotto una forte impronta massonica – ribadisce la studiosa-. A spingere fortemente per la sua fondazione, avvenuta nel 1790, per decreto ufficiale di istituzione da parte di Ferdinando di Borbone, era stato il Viceré di Sicilia Francesco D’Aquino Principe di Caramanico, (ambasciatore del Regno sia a Londra che Parigi e poi assurto al rango di Viceré, tra i più grandi massoni del suo tempo, ndr. ). A capo della neonata istituzione scientifica era stato chiamato Giuseppe Piazzi, altro affiliato, oltreché padre teatino. «La doppia veste di affiliato e clericale non deve stupire – specifica la Chinnici – . In quel tempo, non era raro imbattersi in un ecclesiastico massone. Molti furono i personaggi di spicco della cultura di quel periodo ad assumere entrambe le caratteristiche. E tutti, laici e non, erano impegnati a impegnati a diffondere i principi desunti dall’illuminismo francese: ad iniziare dal progresso delle Scienze».

La nascita di una wunderkammer

L’Osservatorio è specchio di questa fortissima tensione all’universalizzazione del Sapere. Le sue collezioni, raccontano il parto della scienza moderna. E di una genesi, hanno potenza e  suggestione.

fig 5 Specola di Palermo, interni

La collezione antica

«La collezione storica si articola in tre sezioni fondamentali – racconta l’astronoma-. La prima,  museale, comprende gli strumenti astronomici, meteorologici, topografici, spettroscopici, di orologeria e di vario altro tipo, costruiti tra la fine del XVIII ed i primi del XX secolo.  In questa sezione rientrano anche gli arredi originali e la quadreria, con i ritratti dei grandi astronomi dell’epoca venuti a contatto con l’Osservatorio . La seconda sezione comprende il fondo antico della biblioteca, che va dalle cinquecentine e secentine fino ai volumi del XIX secolo. Non vi troviamo solo letteratura scientifica, ma anche testi di letteratura e filosofia: difatti proprio qui confluì anche la biblioteca personale di Piazzi. Terza parte, ciò che resta dell’archivio storico, purtroppo devastato  in parte nel corso delle rivoluzioni risorgimentali: ovvero il corpus che racchiude i documenti dalla fondazione del 1790 fino agli anni Cinquanta del secolo scorso».

La militanza massonica

fig 6 Giuseppe Piazzi

«La vicinanza dei fondatori alle logge massoniche europee, l’appartenenza ed i contatti in essere furono determinanti per reperire la prima strumentazione dell’Osservatorio – specifica l’astrofisica -. Piazzi non era un astronomo, bensì un matematico. E per questo, chiese ed ottenne dal Re la licenza di recarsi all’estero per un duplice scopo: specializzarsi ed acquistare gli strumenti. Il suo viaggio per tappe toccò le città dove erano attivi gli osservatori astronomici più importanti, impegnati sia nella ricerca che nella sperimentazione». Città, non a caso, caratterizzate anche dalla presenza massonica più forte ed attiva.

Di loggia in loggia

«Siamo tra il 1787 ed il 1789 – prosegue la Chinnici -. Piazzi  si reca in prima battuta a Parigi.  Il suo osservatorio, conosciuto in tutta Europa, era stato fondato  da un secolo prima del periodo d’oro della massoneria illuministica: e tuttavia, vi era legato, dato che la comunità scientifica francese contava moltissimi affiliati. In un secondo momento, Piazzi raggiunge poi l’Inghilterra, che in quegli anni vantava le migliori officine di strumenti scientifici al mondo: su tutte, quella di Jesse Ramsden.  Ed è proprio qui che il direttore acquisterà gli strumenti destinati a Palermo».

fig 7 Flotta inglese, XVIII secolo

La navigazione, la cartografia e le osservazioni astronomiche …

Le ragioni del primato inglese sono intimamente legate alla potenza navale del Regno.  La supremazia inglese sui mari, e di conseguenza l’interesse del paese per la navigazione, giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo del sapere astronomico. «Alla fine del XVIII secolo l’Osservatorio astronomico di Greenwich, come del resto quello di Parigi e delle altre città europee, aveva il compito di fornire le effemeridi per la navigazione – prosegue l’astrofisica -. Queste assicuravano il un corretto orientamento in mare delle  flotte, sia militari che commerciali. Non solo: per gli stessi scopi militari e commerciali, misure astronomiche corrette servivano anche per lo sviluppo della cartografia, che permetteva l’elaborazione di mappe sempre più accurate. Piazzi si trova a viaggiare tra Francia e Inghilterra proprio negli anni durante i quali i due paesi erano impegnati a raccordare le  rispettive carte geografiche, e prende anche parte ad alcune delle operazioni di raccordo: da quest’attività rimase così favorevolmente impressionato da ipotizzare, una volta tornato a Palermo, la realizzazione di una carta geografica della Sicilia. Il progetto purtroppo rimase nel cassetto, ed egli riuscì a portare a termine la sola carta della valle di Palermo. Ma aveva comunque acquistato tutta la strumentazione necessaria, che oggi costituisce una delle collezioni più interessanti dell’Osservatorio.

… e la misura del tempo

fig 8 Cattedrale di Palermo, meridiana

Non solo: gli Osservatori erano incaricati dallo Stato o l’organismo che ne finanziava istituzione di svolgere diverse attività avente finalità pubblica. Non ultima, quella della misurazione del tempo. «In un’epoca in cui non esistevano orologi da polso, e rarissimi erano quelli da tasca, spettava agli Osservatori “dare il segnale del mezzogiorno”, un segnale visivo o acustico che permetteva di regolare i sistemi di misura del trascorrere delle ore». Lo stesso Piazzi fu conivolto nella riforma della misura del tempo, voluta dal Governo borbonico, realizzando nel 1801, la splendida meridiana a camera oscura della Cattedrale di Palermo, che faceva da orologio solare “per la pubblica utilità”.

La migliore strumentazione esistente

fig 9 Cerchio di Ramsden

Insomma: sia per l’ampiezza del mandato, che per le ambizioni scientifiche, certo è che Piazzi torna da Londra a Palermo con la migliore strumentazione possibile. Su tutti, un gioiello unico al mondo, del quale non esistono altri esemplari, appositamente costruito proprio da Ramsden per il centro siciliano che prende il nome dal suo costruttore. «Il  cerchio di Ramsden è uno strumento progettato per misurare accuratamente le posizioni stellari. Il suo acquisto permise a Piazzi, nel 1803, di pubblicare un catalogo stellare che comprendeva le posizioni di circa 6000 stelle. A questo lavoro seguì, nel 1814, una seconda edizione, aggiornata ed ampliata contenente più di 7000 stelle. Quello che probabilmente Piazzi non si aspettava era di scoprire, nel corso di questo lavoro, una nuova classe di oggetti astronomici: gli asteroidi».

La scoperta degli asteroidi

fig 10 asteroide

Nella notte del Capodanno del 1801 l’astronomo osservò una stellina non registrata in alcun catalogo:  «Riosservandola nelle sere successive si accorse  che l’astro presentava un movimento diverso dalle altre stelle – racconta l’astronoma – e che la mancanza di coda e chioma faceva escludere anche l’ipotesi si trattasse di una cometa. Optò così per un piccolo pianeta, da lui battezzato Cerere». L’anno successivo viene scoperto in Germania un secondo simile piccolo pianeta: è l’astronomo inglese William Herschel, scopritore del pianeta Urano, ad intuire di trovarsi di fronte ad una nuova classe di corpi celesti, per i quali propone il nome di asteroidi. Piazzi, che quindi aveva scoperto il primo asteroide, in realtà ci rimase male, quasi si trattasse di una declassazione della sua scoperta. A partire da Cerere, si aprì tutto un nuovo orizzonte di ricerca, quello sugli asteroidi, appunto, di cui oggi si conoscono diverse centinaia di migliaia. Cerere, tuttavia, è stato riclassificato dall’Unione Astronomica Internazionale nel 2006 come un “pianeta nano”, della stessa tipologia per intenderci di Plutone. Piazzi ha dovuto aspettare oltre due secoli, ma si è preso la sua rivincita».

Il telescopio di Merz

fig 11 Telescopio di Merz

Tornando alla strumentazione conservata nell’Osservatorio, passiamo ad un altro strumento importante, il telescopio rifrattore Merz, protagonista di pionieristiche ricerche di fisica solare: fu difatti uno dei primi telescopi italiani ad essere utilizzato per le osservazioni spettroscopiche del sole. «Con questo telescopio, Pietro Tacchini a Palermo e Padre Angelo Secchi a Roma, osservavano in contemporanea le protuberanze solari. Lo stesso gesuita (considerato il padre della moderna astrofisica, ndr)  utilizzò questo strumento durante le sue trasferte all’Osservatorio di Palermo: e proprio grazie alla collaborazione con Tacchini, diede vita alla Società degli spettroscopisti italiani, antesignana dell’attuale Società Astronomica Italiana. Rimaneggiato  più volte ed utilizzato fino agli anni ’70, il telescopio è stato restaurato negli anni Novanta e ricollocato nella sua posizione originaria, in esposizione. Per il suo ripristino, manca il  fondamentale meccanismo di orologeria, il cui originale è andato perduto nel corso di uno dei tanti adattamenti. Si tratta di uno strumento dall’eccellente qualità ottica, ed è un peccato non poterlo riutilizzare: non foss’altro a scopo didattico».

La supremazia tedesca

fig 12 Telescopio Zeiss, Specola Vaticana

Il Merz venne acquistato da Domenico Ragona, successore di Piazzi, in Germania, e precisamente a Monaco di Baviera. Ragona, seguendo le orme del suo predecessore, si reca all’estero sia per perfezionarsi come astronomo che per acquistare strumenti, Ma nel frattempo, l’eccellenza tecnologica si era trasferita dall’Inghilterra alla Germania. Qui, ancora oggi, vengono costruite le lenti più avanzate del mondo. (La stessa Specola Vaticana, osservatorio dislocato nella residenza estiva del Papa nei giardini di Castel Gandolfo, ha in dotazione un telescopio Zeiss donato da Hitler all’Italia nel 1938, ndr).

Tra le stelle ed il mare navigato

Strettissimo anche nella dotazione il legame con il mare: sia per le esigenze della navigazione, che per le affinità tra l’esplorazione celeste e quella appunto marina,

fig 13 Sestante
fig 14 Cronometri da marina

Molti, difatti, gli strumenti della collezione impiegati anche a bordo. Un corpus che rappresenta per ogni appassionato un tesoro di rara suggestione.  «Palermo custodisce un sestante fabbricato da Ramsden, utilizzato da Piazzi per misurare la latitudine di Palermo. (Il sestante è uno strumento fondamentale, ancora oggi impiegato nella navigazione: serve difatti a misurare l’angolo di elevazione di un oggetto celeste sopra l’orizzonte, allineando l’oggetto con l’orizzonte stesso. La data e l’angolo di misura danno la specifica posizione su una mappa nautica o aeronautica, ndr).

Il cronometro da marina

La collezione custodisce anche dei cronometri da marina, ovvero gli orologi di precisione utilizzati in mare, durante le spedizioni scientifiche. Per la misura del tempo a bordo, durante i viaggi, era ed è impossibile utilizzare il tradizionale orologio a pendolo.. Il moto ondoso, l’instabilità della barca ne compromettono la regolare oscillazione. Fu l’orologiaio inglese John Harrison a risolvere il problema del calcolo della longitudine, grazie alla sua invenzione: il cronometro da marina, orologio che grazie ad un sistema di molle e ammortizzatori è del tutto indipendente da oscillazioni e vibrazioni.

Le grandi spedizioni scientifiche

Perché a Palermo troviamo sia i cronometri da marina che i pendoli astronomici? «La loro presenza  è giustificata dalla necessità, per gli astronomi, di prender parte alle spedizioni scientifiche, gran parte delle quali prevedeva lunghe navigazioni. Pertanto, occorrevano strumenti maneggevoli ed affidabili, in grado di affrontare il viaggio, ed al tempo stesso capaci di assicurare misurazioni e calcoli esatti. «Gli astronomi viaggiavano spesso – specifica l’astronoma -. La loro partecipazione alle spedizioni astronomiche era frequente. Si muovevano da un capo all’altro del globo per osservare i fenomeni celesti. Un’eclissi totale di Sole, il transito di un pianeta. I viaggi avvenivano spesso per mare, oltre che via terra. E pertanto, tali strumenti “da viaggio” si rivelavano fondamentali.

fig 15 Piroscafo “Il Plebiscito”

Dai garibaldini agli astronomi, a bordo del “Plebiscito”

Anche gli astronomi palermitani erano coinvolti in questi viaggi. «Tra tutte le spedizioni scientifiche che coinvolgono l’Osservatorio  è da ricordare quella che nel 1870 in Sicilia, e per la precisione ad Augusta e a Gela, raccolse tutti gli astronomi d’Italia, accorsi ad osservare l’eclissi totale di Sole di quell’anno – specifica la Chinnici-. L’evento coincise con la prima spedizione scientifica interamente finanziata dal Governo Italiano, costituitosi appena 10 anni prima. Diversi furono gli astronomi e gli strumenti imbarcati a bordo del piroscafo da guerra “Il plebiscito”, in forze alla Marina Militare Italiana». (Il vascello, varato a Glasgow nel 1956 ed impiegato con il nome di  Panther, era la stessa imbarcazione che in Italia, ribattezzata “Il Plebiscito”, aveva portato in Sicilia i Mille di Garibaldi: e che in quest’altra spedizione, di ben altro genere, aveva radunato i più grandi astronomi italiani del tempo, ndr.)

fig 16 Spedizione scientifica  Augusta, 1870

La Compagnia delle Indie

«Altra spedizione da ricordare, a bordo di mercantili armati dalla Compagnia delle Indie, e diretta proprio in India per il transito di Venere sul Sole, fu quella che nel 1874 vide salire a bordo come capo spedizione l’astronomo Pietro Tacchini, modenese all’epoca di stanza a Palermo. Qui, lo ricordiamo, grazie alla collaborazione con Padre Angelo Secchi a Roma, fu tra i primi al mondo ad effettuare studi di fisica solare, e qui rimase sino alla nomina a direttore del Collegio Romano.  Viaggio lungo e dalle molte tappe, la spedizione permise a Tacchini e ai suoi compagni di vedere il canale di Suez, aperto da soli cinque anni: e quindi fece degli astronomi italiani i testimoni della nascita della navigazione contemporanea, profondamente rivoluzionata da quella ed altre grandi opere».

fig 17 Spedizione scientifica India, 1874
fig 18 Spedizione scientifica India, 1874

Il gesuita che studiò il Sole e gli oceani

Il padre gesuita al quale si deve la nascita della moderna astrofisica, e che solo il venir meno dello Stato Pontificio nelle forme secolari all’indomani dell’Unità d’Italia privò della fama meritata, padre Angelo Secchi, ebbe con l’Osservatorio palermitano un rapporto intenso.  E proprio alla Chinnici si devono  studi  approfonditi sulla biografia e l’opera dell’astronomo «La collaborazione con Secchi è stata di fondamentale importante per l’Osservatorio di Palermo. Qui fu installato uno dei meteorografi di sua invenzione (una sorta di prototipo di centralina meteorologica automatica), qui vennero pubblicate le Memorie della Società degli Spettroscopisti, nata grazie a Secchi e a Tacchini, oggi considerata la prima rivista di astrofisica mai pubblicata. Qui, infine, Tacchini ha condotto importanti studi di fisica solare, in un continuo confronto col collega gesuita.

La pirocorvetta Immacolata Concezione

fig 21 Pirocorvetta “Immacolata Concezione”

Secchi non si occupò solo di astronomia. Ebbe svariati interessi. A lui si devono persino alcuni studi di oceanografia. «Va detto – prosegue la ricercatrice – che padre Secchi non aveva affatto simpatia per il mare. Lui stesso confida nelle sue lettere che l’odore salmastro lo disgustava. Eppure, dietro invito del comandante Alessandro Cialdi, nel 1865 era salito a bordo della pirocorvetta “Immacolata Concezione”, varata in Inghilterra e destinata all’uso personale di papa Pio IX per effettuare alcuni studi sulla trasparenza delle acque.  La nave fu una delle rarissime ed ultime barche a battere bandiera pontificia. Ma il pontefice non la utilizzò mai, con ogni probabilità per avversione nei confronti del mare. Neanche l’esilio, destinazione Gaeta, lo fece desistere dal suo proposito. Ritenne più sicuro raggiungere la cittadina via terra, travestito e sotto mentite spoglie, piuttosto che imbarcarsi».

Il disco di Secchi

fig 22 Disco di Secchi

«Angelo Secchi, dal canto suo, aveva accantonato per amore della scienza l’idiosincrasia per l’ambiente marino. E al largo di Civitavecchia aveva condotto analisi e misurazioni rivelatesi fondamentali per l’oceanografia. Fu in questa occasione che riuscì ad elaborare il metodo per la misurazione della trasparenza delle acque poi definito del “disco di Secchi”: un metodo tutt’ora in uso».

Il Principe di Lampedusa

Era insomma un’epoca di grandi opere, grandi scoperte, ed incrollabile fiducia nella scienza, tale da unire uomini di chiesa e scienziati nelle stesse stanze, chini sugli stessi telescopi, imbarcati sulle stesse navi. Dal canto suo, il neonato governo finanziava le prime spedizioni. Ma va detto che la finalità pubblica non era l’unica scintilla della ricerca. Nell’epoca dei grandi patrimoni, in Italia, non esistevano solo osservatori governativi. «A Palermo – ricorda la Chinnici – anche il principe Tomasi di Lampedusa, bisnonno dello scrittore, che a lui si ispirò nel delineare la figura del protagonista del Gattopardo, aveva il suo osservatorio personale, allestito in una villa poco distante dalla città.  Il principe pubblicò più d’un contributo scientifico nei giornali locali dell’epoca, ed era in corrispondenza con diversi astronomi celebri del suo tempo, tra cui Padre Angelo Secchi.  Quando, alla sua morte gli eredi smantellarono l’osservatorio e si disfecero dei suoi strumenti, l’Osservatorio ne acquistò i tre più importanti per uso scientifico».

fig 23 Burt Lancaster ne “Il Gattopardo” (Luchino Visconti, 1972). Scena con strumenti originali appartenuti al Principe di Salina

Sulle tracce di Luchino Visconti

Strumenti tra l’altro destinati ad una sorte insolita. «Quando Luchino Visconti decise di girare il Gattopardo, chiese all’Osservatorio di poter utilizzare gli strumenti originali del Principe, insieme a molte suppellettili ed arredi – prosegue la ricercatrice – per realizzare il set della sequenza in cui il Principe dialoga nel suo Osservatorio con l’amico e assistente padre Pirrone. Nel nostro archivio, abbiamo trovato un foglio con calcoli astronomici, con su scritto “Visconti” accanto a dei fiori, il numero 1962 e le lettere BL. Dopo alcuni studi, abbiamo rintracciato un passo del romanzo dove si legge che il principe disegnava gigli borbonici. Da lì, abbiamo capito che si trattava di un foglio di scena, con disegnati appunto dei gigli, e riportante sia la firma de regista che le iniziali dell’attore protagonista,  Burt Lancaster, insieme all’ di realizzazione del film (1962).

Una scena perduta

La scena che riproduce i disegni non compare tuttavia, nella sequenza: ci siamo rivolti alla casa produttrice, la Titanus per sapere se da qualche parte se ne conservava traccia in qualche spezzone. Purtroppo la ricerca non ha avuto esito. Non importa: ogni volta che rivediamo il Gattopardo, siamo fieri di rivedere comunque gli strumenti della nostra collezione. Oggi questi strumenti non sono solo testimoni della storia dell’astronomia palermitana: fanno parte della storia del cinema»…

Monica LA TORRE  Tropea  17 maggio 2020

*Crediti fotografici INAF-Oservatorio Astronomico di Palermo. Sistema Museale di Ateneo