Melchiorre Cafà a Palazzo Chigi, un ‘Sant’Andrea Avellino’ – donazione Martinelli – arricchisce la preziosa pinacoteca del Museo del Barocco in Ariccia

di Francesco PETRUCCI

Francesca Galante Martinelli, vedova dello storico dell’arte e studioso del Barocco romano Valentino Martinelli (Roma 1923-1999), noto per essere stato uno tra i massimi specialisti del Bernini (figg. 1, 2), ha deciso recentemente di donare a Palazzo Chigi in Ariccia una fine terracotta del grande scultore maltese Melchiorre Cafà (Vittoriosa, Malta 1636 – Roma 1667), raffigurante Sant’Andrea Avellino.[1]

Si tratta del modello per la statua del santo, scolpita nel 1664 in travertino da Ercole Ferrata e collocata in una nicchia sulla facciata della Basilica di Sant’Andrea della Valle in Roma, eretta da Carlo Rainaldi su commissione di Alessandro VII Chigi tra il 1655 e il 1665 (figg. 3, 4).[2]

 

3. M. Cafà, S. Andrea Avellino, Ariccia, Palazzo Chigi, donazione Martinelli
4. M. Cafà, S. Andrea Avellino, Ariccia, Palazzo Chigi, donazione Martinelli
Ercole Ferrata da Cafà S Andrea Avellino (1674) Roma S Andrea della Valle

La scultura faceva parte della collezione di opere d’arte riunita da Martinelli, la cui sezione più consistente fu donata alla Città di Perugia, cui era particolarmente legato per aver insegnato presso quella università, in ragione del testamento del 16 maggio 1994.

In una postilla testamentaria del 16 dicembre 1997 lo studioso aveva tuttavia deciso di modificare quanto stabilito in precedenza: qualora il Comune di Perugia non avesse ottemperato a quanto previsto nel lascito, i beni sarebbero passati al Palazzo Chigi di Ariccia, delegando in tal caso il sottoscritto della cura delle sue volontà. Secondo Martinelli infatti la dimora chigiana aveva le potenzialità per essere consacrata quale centro culturale del Barocco romano.

Il Comune di Perugia, nonostante qualche intralcio burocratico, ottemperò poi a quanto richiesto, e, dopo una destinazione provvisoria a Palazzo Della Penna, le opere della collezione Martinelli sono confluite presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, anche grazie all’impegno di Francesco Federico Mancini, allievo di Martinelli. Tuttavia una piccola parte della raccolta è rimasta in proprietà di Francesca Galante Martinelli, erede dello studioso, attenta e scrupolosa esecutrice delle sue volontà interpretandone anche i pensieri.

L’opera, generosamente donata a 20 anni dalla scomparsa di Martinelli, valorizza ulteriormente il museo ariccino in un settore oggi poco rappresentato nelle sue collezioni, benché la presenza di terrecotte, in parte confluite presso i Musei Vaticani, fosse invece di una certa rilevanza nelle antiche raccolte chigiane.

Si tratta in effetti di un piccolo capolavoro di uno scultore di enorme talento, ma molto raro, data la sua improvvisa scomparsa a causa di un incidente sul lavoro a soli 31 anni. Tra i 17 studi in terracotta oggi riferiti con certezza all’artista (Sciberras, 2006), è quello più finito e di maggiori dimensioni con una singola figura.

5. M. Cafà, Busto di Alessandro VII. Ariccia, Palazzo Chigi

Peraltro Cafà, artista eminentemente chigiano, avendo operato esclusivamente durante il pontificato alessandrino, è autore del Busto di Alessandro VII ancora a Palazzo Chigi (fig. 5), uno dei capolavori della ritrattistica barocca, eseguito anch’esso in terracotta e costituente il modello per i bronzi del Duomo di Siena e del Metropolitan Museum di New York. Fu proprio Martinelli a restituirlo a Cafà dopo la precedente attribuzione a Bernini.

Ariccia si qualifica quindi ancor più, con questo nobile gesto della signora Martinelli, anche quale luogo legato alla memoria di insigni studiosi del Barocco romano, oltre che ad importanti collezionisti (Fabrizio Lemme, Renato Laschena, Ferdinando Peretti, etc.), affiancando Valentino Martinelli a Maurizio Fagiolo dell’Arco e Oreste Ferrari, le cui collezioni sono qui confluite.

Il Sant’Andrea Avellino, reso noto da Ursula Schlegel con attribuzione ad Ercole Ferrata, è stato restituito a Melchiorre Cafà da Jennifer Montagu nel catalogo della mostra sull’artista tenuta a Malta nel 2006, con le conferme nella stessa sede di Tony Siegel e Keith Sciberras, che lo inserisce nella lista delle opere autografe dello scultore. Infatti Cafà fornì a Ferrata, di cui fu allievo e stretto collaboratore, bozzetti e modelli per varie sue opere, mentre lo scultore lombardo sarebbe divenuto poi esecutore di molti lavori lasciati incompiuti dal maltese.

Come ricordava Filippo Baldinucci nella biografia di Ferrata, compilata sulla base di sue testimonianze dirette, questi, molto abile nell’intagliare il marmo,

“nell’invenzione non ebbe gran felicità; ma conoscendo egli in questo il suo debole, procurò di supplire a tal difetto con far fare, per apertura della propria mente, a’ suoi giovani, per ogni opera invenzioni diverse, alle quali egli poi togliendo il difettoso o cattivo, e l’ottimo aggiungendo dava compimento di suo gusto”.

Sullo stesso tono si esprimeva anche Lione Pascoli nella biografia dello scultore, ribadendo che “faceva in ogni opera, che intraprender doveva, fare diversi disegni a’ suoi scolari più abili…”, tra i quali naturalmente al primo posto emergeva il Cafà, come rimarcava ancora Baldinucci.[3]

Non a caso sono note altre due terrecotte raffiguranti sant’Andrea Avellino, sempre mano del maltese, conservate presso il Museo dell’Ermitage. Molto simili tra loro (inv. H.ck-647, h cm. 39 e inv. H.ck-648, h cm. 42) e affini nella composizione a quella Martinelli, ma di minor formato, sono più veloci nell’esecuzione e caratterizzate da alcune varianti, con caratteristiche di veri e propri bozzetti (figg. 6, 7). Quella di maggiori dimensioni è presente da tempo in bibliografia, mentre l’altra, già ritenuta copia o derivazione della precedente, è correttamente schedata come autografa nella List of Works di Keith Sciberras (2006) e nel catalogo online del museo.[4]

I bozzetti provengono dalla collezione dell’abate Filippo Farsetti a Venezia ed effettivamente, a conferma della pertinenza dei due riferimenti attributivi, nel suo inventario a stampa del 1788 erano schedati tra “Modelli Originali di Figurine di Creta Cotta di tutti rilievo”, un “S. Gaetano, di Melchiorre Maltese” e un ulteriore “S. Gaetano, del Maltese”. La confusione con san Gaetano Thiene, anch’esso presente in una scultura di Domenico Guidi sulla facciata di Sant’Andrea della Valle, deriva dalla simile iconografie dei due santi teatini.[5]

Una curiosa coincidenza di pura omonimia è che la terracotta in esame proviene da una vendita dell’asta Farsetti di Prato del 1997, ove fu acquistata da Valentino Martinelli. L’opera, più alta di circa dieci centimetri rispetto ai bozzetti russi, si presenta in uno stato conservativo molto buono, con tracce di una vecchia colorazione scura, resti di doratura e policromia sulle parti anatomiche.[6]

La sua eccezionalità risiede nel fatto che, a differenza di gran parte delle terrecotte del Cafà, che sono opere di studio, spesso allo stato di abbozzo e di non finito, classificate giustamente come bozzetti, quella in esame è perfettamente finita, avendo quindi valore autonomo, pur essendo propedeutica alla scultura del Ferrata.

Quindi un vero e proprio modello o “presentation model” come ritiene Anthony Siegel, che si differenzia dalla realizzazione principalmente per la posa del braccio destro, là con la mano al petto in segno di devozione, qui disteso in avanti verso il basso, e il giglio segno di purezza tenuto con la mano sinistra nella statua, mentre nel modello solleva la tonaca (tunica manuelata).

La qualità del modellato è altissima, con un panneggio svolto in larghe pieghe fluide e alveolate, che anticipa le sculture di Giuseppe Mazzuoli, allievo indiretto di Cafà, e ricordano quelle dei dipinti di Giovan Battista Gaulli, grande amico dell’artista come ricordava Pascoli.[7]

L’allungamento della figura, elegantemente inarcata all’indietro come nello spettacolare rilievo raffigurante Santa Caterina da Siena (figg. 8, 9), capolavoro direi insuperato della scultura tardo-barocca, precorre lo sviluppo della estrema produzione berniniana – espresso dagli angeli di Ponte Sant’Angelo di pochi anni dopo -, ma andando oltre fino al rococò.

8. M. Cafà, S. Andrea Avellino, Ariccia, Palazzo Chigi, donazione Martinelli
9. Melchiorre Cafà, Santa Caterina da Siena in gloria, Roma, S. Caterina a Magnanapoli

Melchiorre Cafà, esaltato da Baldinucci come “insigne modellatore”, mentre Pascoli ricordava che “nell’inventare non cedette ad alcuno”, è giustamente considerato uno dei più talentosi scultori del Barocco romano. D’altronde lo stesso Bernini ne aveva grande stima, come rammentava l’ambasciatore dell’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani di Malta a Roma, fra’ Francesco Caumons, in una lettera del 23 maggio 1665 indirizzata al Gran Maestro Nicolas Cottoner:

“il Bernini si è sentito più volte a dire che un certo giovane maltese lo havrebbe passato nel mestiere per haver mostrato gran giudizio et attività in molti lavori da lui fatti”.[8]

In effetti Nicola Pio, che erroneamente lo riteneva allievo del Bernini, pur avendone subito l’influsso, aggiunge che fu “poi quasi competitore del maestro”, ad ulteriore testimonianza della fama raggiunta e persistente a tanti anni dalla sua prematura e disgraziata uscita di scena.[9]

Francesco PETRUCCI    Ariccia, 20 dicembre 2019

NOTE

[1] Sullo scultore cfr. F. Baldinucci, Notizie de’ Professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze 1681-1728, ediz. a cura di F. Ranalli, 1847, V, pp. 391-392; L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori, ed architetti moderni, edizione critica dedicata a V. Martinelli, Introduzione a cura di A. Marabottini, Perugia 1992, pp. 354-358 (con note critiche di M. Pedroli); N. Pio, Le vite di pittori scultori et architetti, (1718-20), a cura di C e R. Enggass, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1977, pp. 111-112; A. Nava Cellini, Contributi a Melchior Caffà, in “Paragone”, VII, 83, 1956, pp. 17-31; E. Sammut, Melchior Gafà maltese Sculptor of Baroque. Further Biographical Notes, in “Scientia”, XXIII, 1957, pp. 117-139; R. Preimesberger, Cafà Melchiorre, in “Dizionario Biografico degli Italiani”, 16, 1973, pp. 230-235; D. Jemma, Appunti inediti e documenti di Melchiorre Caffà, in “Paragone”, 379, 1981, pp. 50-61; J. Montagu, The Graphic Work of Melchior Cafà, in “Paragone”, 413, 1984, pp. 50-61; Scultura del ‘600 a Roma, a cura di A. Bacchi, con la collaborazione di S. Zanuso, Milano 1996, tavv. 250-268, pp. 791-792; Melchiorre Cafà. Maltese Genius of the Roman Baroque, a cura di K. Sciberras, Valletta, Malta 2006 (con vari contributi); S. Guido, G. Mantella, Melchiorre Cafà, Insigne modellatore. La Natività, l’Adorazione dei pastori ed altre opere in cera, Soveria Mannelli 2010.
 
[2] Terracotta, h. cm. 48,5 x 17,7 x 16 ca. La donazione è stata accolta a seguito della lettera di Francesca Galante Martinelli del 14 dicembre 2019. Sull’opera, ricomparsa in asta a Prato, Farsetti arte, 9 novembre 1997, lotto 118, con attribuzione ad Ercole Ferrata, cfr. U. Schlegel, Arbeiten in Terracotta von Alessandro Algardi und Ercole Ferrata, in Studi in onore di Mina Gregori, Milano 1994, pp. 279-284, in part. pp. 281-283, figg. 7-8 (come E. Ferrata); Scultura del ‘600 a Roma, 1996, p. 803 (come E. Ferrata); O. Ferrari, S. Papaldo, Le sculture del Seicento a Roma, Roma 1999, p. 33; J. Montagu, Melchiorre Cafa’s models for Ercole Ferrata, in Melchiorre Cafà…, 2006, pp. 68-69, figg. 89-91; T. Siegel, The Clay Modeling Techniques of Melchiorre Cafà: A Preliminary Assessment, in Melchiorre Cafà…, 2006, pp. 206-210; K. Sciberras, List of Works, in Melchiorre Cafà…, 2006, p. 258.
[3] Cfr. F. Baldinucci, ediz. 1847, V. pp. 390-391; L. Pascoli, 1992, p. 332.
[4] Per la versione in maggior formato cfr. S. O. Androsov, in Alle origini di Canova. Le terrecotte della collezione Farsetti, catalogo della mostra, Fondazione Memmo, Roma, Palazzo Ruspoli, Venezia 1992, p. 83, n. 33 (ove viene citata l’altra versione più piccola come probabile “copia tratta dalla forma della prima”); J. Montagu, 2006, p. 68, fig. 86; K. Sciberras, 2006, p. 257. Per l’altra cfr. K. Sciberras, 2006, p. 263.
[5] Cfr. Museo della Casa eccellentissima Farsetti in Venezia, Venezia sd (1788), pp. 22, 24.
[6] Vedi per lo stato conservativo T. Siegel, 2006, pp. 206-210.
[7] L. Pascoli, 1992, p. 355: “Ebbe stretta amicizia con molto bravi professori, e spezialmente col pittore Baciccio, che teneramente l’amava”.
[8] A.O.M. 1284, p.n.n.. Cfr. E. Sammut, 1957, pp. 117-139 (pp. 125, 131); V. Borg, Fabio Chigi apostolic delegate in Malta (1634-1639), Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1967, p. 115, nota 2; E. B. Di Gioia, Melchiorre Cafà a Roma tra 1660 e 1667, in Melchiorre Cafà…, 2006, p. 53; S. Guido, G. Mantella, 2010, p. 5, p. 20 nota 3.
[9] Cfr. N. Pio, 1977, p. 111.