di Giulio de MARTINO
La città globale. Gli Scenari metropolitani di Gabriele Basilico
Con oltre 250 fotografie in b/n e alcune a colori – molte di grande formato – la mostra «Metropoli» al Palazzo delle Esposizioni celebra la lunga carriera di Gabriele Basilico (Milano 1944–2013). Con uno spettacolare e avvolgente allestimento e la lucida presentazione audio dei due curatori, Giovanna Calvenzi e Filippo Maggia, è offerta ai visitatori una efficace antologia delle immagini che collocano Basilico fra i più grandi fotografi internazionali del secondo ‘900.
Gabriele Basilico ha avuto formazione da architetto: ha conosciuto sia la storia dell’architettura sia le tecniche di costruzione, le politiche urbanistiche e le forme dell’abitare e del produrre. Ha scelto, però, di non progettare, di non disegnare, bensì di fare il fotografo dei paesaggi urbani con uno stile e un’identità inconfondibili.
Sulla tecnica di Basilico – l’uso del cavalletto, l’analisi delle luci, la composizione attenta dell’inquadratura, la modulazione delle geometrie architettoniche con le geometrie fotografiche, la cancellazione della presenza del soggetto umano rispetto al manufatto edilizio e al paesaggio urbano, l’accorta e contenuta rivelazione della personalità del fotografo dentro l’immagine – si è scritto molto. A differenza della Street-photografy, di tanta fotografia sociale degli anni ’60 e ’70, allontanandosi dalle «Tranche de vie» di Cartier-Bresson e anche dalla semiotica pubblicitaria o di fashion dell’uomo-manichino e dell’uomo-consumatore, Basilico ha cancellato la presenza fisica degli umani e della natura dalle sue immagini a vantaggio di una poesia dell’«artificiale» e del «costruito».
Scattando le foto all’alba, ricercando gli spazi e i tempi vuoti di attività, esplorando quei luoghi immensi in cui la ridotta presenza umana – come in certe stampe del ‘700 – funge da minuscolo contrappunto alla maestosità dei monumenti e delle architetture,
Basilico ha preferito mostrare l’umano attraverso la sua monumentale opera urbanistica e commerciale, l’ingegneria dei trasporti e l’economia delle comunicazioni. Come a dire: «è questo il mondo in cui abitiamo».
Alcuni hanno scritto che il tema di Basilico è stato quello del «paesaggio antropizzato» quasi fosse stato il Sebastião Salgado del cemento armato. Nulla di più errato. Basilico non ha fotografato le città del nostro Pianeta, casomai ponendole in contrasto con la Wilderness dell’ambiente naturale. E neppure si è proposto di farci vedere lo spazio urbano, nelle sue varie morfologie, come una sorta di «seconda natura», di habitat umano – casomai alienato – che ha sostituito il mondo naturale con quello artificiale.
Temi di Basilico sono stati: l’unificazione dello spazio urbano in ogni parte del mondo, la globalizzazione dell’abitare e la standardizzazione funzionale dei luoghi e delle forme di attività umana. Si tratta di un processo intensificatosi con il passaggio – avvenuto tra i due ultimi secoli – dalla società industriale a quella postindustriale. Se non vi fossero le opportune didascalie, sarebbe difficile distinguere un paesaggio di Berlino, da uno di Caracas, da uno di Los Angeles, da uno di Shanghai, da uno di Dubai. L’«International Style» caratterizza le metropoli di tutto il Pianeta.
Non solo. All’interno di ognuna di esse, la differenza funzionale e architettonica fra una banca e un ospedale, una scuola e un aeroporto, una via del centro e una di periferia si sono ridotte fin quasi a scomparire. Facendo astrazione dal materiale umano (persone, traffico, merci, vestiti, cortei, negozi con clienti ecc.), Basilico ha esaltato l’omogeneo complesso architettonico e urbanistico, occidentalizzato e globalizzato, che si è diffuso nei cinque continenti dagli anni ’60 ad oggi.
Che la scoperta dell’unità morfologica e urbanistica delle civiltà sia il motore della ricerca fotografica di Gabriele Basilico emerge dall’osservazione cronologica del suo lavoro nelle sue diverse fasi. Mettendo tra parentesi le foto con personaggi o le fotografie delle città d’arte (pensiamo alle foto di Roma) in cui, a mio avviso, Basilico smarrisce – in parte – il suo stile e diventa un fotografo dei «contrasti» come altri, la cifra della sua estetica fotografica emerge con pienezza solo quando la sua camera si trova davanti allo scenario urbano contemporaneo. Che sia una metropoli ripresa da un elicottero o da un grattacielo, il muro di una fabbrica, un «Trade Center», lì, nel momento in cui cade – nell’equivocità e nell’equivalenza dei volumi e degli edifici – la differenza fra oriente e occidente, fra centro e periferia, fra antico e moderno, fra industriale e residenziale lì emerge l’argomento di Basilico.
Gabriele Basilico, tuttavia, non è stato un fotografo di architettura, un apologeta del progresso e delle tecnologie. Non è stato un illustratore del design urbano e delle grandi realizzazioni degli architetti come si trovano sulle riviste specializzate e nei periodici dei costruttori. L’obiettivo fotografico di Basilico ha scattato solo dopo che l’architettura e l’urbanistica avevano fatto il loro corso, solo dopo che gli uomini avevano preso ad abitare negli spazi e nei luoghi pianificati da urbanisti e imprenditori e costruiti dagli ingegneri e dai geometri. Basilico ha fotografato quel vuoto che resta nello spazio urbano dopo che l’architettura ne ha riempito la più gran parte. Ed è in quel vuoto, in quel silenzio, in quegli interstizi tra luce e buio che abita l’umanità. Il pudore del fotografo allude all’umano e non osa duplicarlo e rappresentarlo nell’immagine. Le citta «senza uomini» sono le città «degli uomini».
Si vedano le sezioni in cui si articola il percorso espositivo della mostra «Metropoli», al Palaexpo fino al 13 aprile 2020: cinque grandi capitoli. Milano. Ritratti di fabbriche 1978-1980 e poi le Sezioni del paesaggio italiano, un progetto realizzato nel 1996 in collaborazione con Stefano Boeri e presentato alla Biennale Architettura di Venezia. Non ritraggono neanche un corteo, uno striscione, un contadino, uno studente, una femminista in lotta. Basilico non è Ugo Mulas o Stefano Agosti: non ha fotografato la società in movimento e i suoi eventi lieti e luttuosi, di arte e di lotta. Ha inteso separare radicalmente l’uso del mezzo fotografico e della sua capacità di raffigurazione dalla rappresentazione cronistica o politica dei percorsi del sociale. Al modo di Piranesi e di Canaletto, Basilico ha scelto lo «sguardo da lontano», lo «sguardo dal di fuori».
Le immagini di Beirut, scattate in due campagne fotografiche realizzate nel 1991 in bianco e nero e nel 2011 a colori, ci raccontano gli effetti della lunga guerra in Libano – durata oltre quindici anni – sul corpo martoriato della città e poi l’epoca della sua ricostruzione. Basilico racconta le persone e la loro esistenza attraverso la corporeità dei palazzi, dei balconi, delle finestre: prima macerie, pilastri spezzati e, dopo, strade libere e sgombre, edifici svettanti verso il cielo.
Per Le città del mondo ha viaggiato a Palermo, Bari, Napoli, Genova e Milano fino a Istanbul, Gerusalemme, Shanghai, Mosca, New York, Rio de Janeiro per scoprire che non siamo più nel mondo del Rinascimento e neppure nel mondo del Settecento. Ovunque vai, oggi il mondo è diventato eguale. Ogni città ha luoghi simili o indentici a tutte le altre. La differenza la fanno le persone, ma la propongono nella loro invisibile e non fotografabile identità individuale: l’umanità culturale e morale non è visualizzabile in simboli e rituali pubblici.
La sezione dedicata a Roma – città in cui Basilico ha fotografato a più riprese, sviluppando progetti diversi fino al 2010 – mostra come l’estetica di Basilico sia estranea al «fascino delle rovine» e alle antigeometrie della scultura e dell’architettura preindustriale. I paesaggi romani di Basilico giustappongono antico e moderno e somigliano a quelli di cento altri fotografi. Basilico, come non è stato un fotografo del sociale, così non è un fotografo dell’arte e dei monumenti. La contrapposizione del vecchio e del nuovo, così tipica del «paesaggio italiano», è ben lontana dall’intercettare il vero stile di Basilico che si è – invece – sviluppato e radicato in un mondo in cui forse la bellezza – ma non l’arte – è scomparsa.
Giulio de MARTINO Roma febbraio 2020
Gabriele Basilico «Metropoli»
25 gennaio – 13 aprile 2020
a cura di Giovanna Calvenzi e Filippo Maggia
Promossa da Roma Capitale – Assessorato alla Crescita culturale e dall’Azienda Speciale Palaexpo
Roma – Palazzo delle Esposizioni, Via Nazionale, 194. ufficio.stampa@palaexpo.it
f.spatola@palaexpo.it d.santarsiero@palaexpo.it – p.paris@palaexpo.it