di Mario URSINO
Piazza Rotella alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna
E’ stata definita, la mostra per il Centenario della nascita dell’artista catanzarese Mimmo Rotella (1918-2006), dai curatori Germano Celant e Antonella Soldaini, Manifesto Rotella (fino al 10 febbraio 2019). Oltre centosessanta sue opere sono esposte nel Salone centrale del museo, distribuite sulle sei grandi pareti e raggruppate per cronologia e tecnica dalla metà degli anni Cinquanta al Duemila, ma come se fossero sei “grandi insieme-manifesti”, secondo la trovata dei curatori di voler ricreare nel museo l’idea di una piazza cittadina. In parole povere, si vede, in ciascuna delle sei pareti del Salone centrale, un unico monumentale “poster” composto appunto da un insieme di opere-manifesto dell’artista.
Sarebbe piaciuto a Mimmo Rotella questo singolare allestimento, mi sono chiesto? Non saprei dire. Ma questo è il criterio dell’esposizione, ovvero di suggerire al visitatore l’idea generatrice dell’artista quando strappava i manifesti pubblicitari dalle piazze e strade romane, utilizzando, come è noto, quei lacerti di affissioni (scelti prevalentemente da Rotella tra quelli della pubblicità cinematografica) per costruire poi in studio inedite icone incollate su supporti di varia natura (tela, legno, faesite etc ). Lavoro di gesto e composizione che lo hanno apparentato agli artisti del noveau réalisme (P. Restany).
Ma le sale di un museo non possono evocare il contesto urbano, con i suoi suoni, il trambusto del traffico, le voci confuse, la moltitudine delle persone che si muove in ogni direzione, la luce che muta continuamente nell’arco della giornata, la notte con gli abbagli delle luci artificiali, e in mezzo a tutto questo appaiono gli squillanti cartelloni pubblicitari che hanno scatenato la convulsa creazione delle opere di Rotella. Tutto ciò descritto, ovvero l’atmostera metropolitana, è quanto si vede solo nel bel documentato video in una saletta contigua al Salone Centrale.
Curiosamente al sottoscritto è capitato, non molto tempo fa di vedere un “Rotella” in un’affiche lacerata, ben inquadrata in un tabellone municipale in ferro, tra i molti dislocati nelle città metropolitane, che ho fotografato e ho voluto pubblicare in una scherzosa nota su questa rivista collocando l’immagine accanto alla foto di una delle più note opere dell’artista del 1954 (vedi https://www.aboutartonline.com/2018/06/17/accumulate-accumulate-qualcosa-restera-un-punto-di-vista/).
La mostra, come dicevo, raffigura invece una gigantesca icona, somma di una grande quantità di icone, cosicché l’invenzione curatoriale si sovrappone a quella dell’artista che ha concepito le sue opere una per una, con una diacronia emozionale, compulsiva, ripetitiva, eppure di volta in volta sempre diversa. Purtroppo questa energia compositiva, caratteristica in tutta l’opera di Rotella, è stata vanificata, a mio avviso, dalla compressione di codesto “grande insieme manifesto”, imponente, ma sterile e con effetto oltremodo statico, parietale di tre metri per dieci, come fosse un grande affresco. (v. foto)
Le opere di Rotella, viceversa, sono la testimonianza della sua “guerra” con il colore, realizzando la pittura con altri mezzi, parafrasando la nota affermazione di von Clausewitz. Sono dei quadri, e come tali dovrebbero essere esposti in una sede museale, per la storia e per consentirne la pubblica e corretta comprensione. Sarà banale, ma è così.
Non giova, inoltre, la laconicità didattica della mostra (che vuole essere antologica) nella vastità del Salone centrale del museo, ancorché dotato di bacheche con documentazione di foto, cataloghi di mostre, lettere, appunti e rubriche dell’artista (non collegate direttamente con quanto esposto), per cui è necessaria la consultazione di un ponderoso e scomodo catalogo, a forma di scatola, per conoscere i titoli delle opere, le provenienze, le cronologie, le tecniche che hanno contraddistinto l’infaticabile, continua sperimentazione fino agli ultimi anni di vita di Mimmo Rotella, per trovare sempre nuove e diverse fasi creative di questa singolare figura d’artista del nostro secondo Novecento.
Mario URSINO Roma novembre 2018