Il 22 novembre u.s. si è inaugurata, presso la Galleria di Alessio Ponti in via Monserrato 8, la Mostra della “Società In Arte Libertas” (1886 – 1903), che rimarrà aperta sino al 21 dicembre.
Il ponderoso catalogo è stato curato dallo studioso Federico De Mattia, profondo conoscitore della materia, alla quale ha dedicato la tesi del suo dottorato di ricerca.
Per un lungo periodo la pittura italiana della seconda metà dell’Ottocento era caduta in un completo oblio. Seguendo in modo pedissequo le orme di Roberto Longhi, che aveva tacciato di “provincialismo” tutta la pittura italiana del secolo (dopo aver salvato in un primo momento il solo Giovanni Fattori) i critici della successiva generazione avevano saltato a piè pari l’intero periodo, ritenendolo aprioristicamente indegno di ulteriori approfondimenti. Osserva in catalogo De Mattia :
“Nella divergenza concettuale tra le svolte avanguardiste del Novecento e le manifestazioni che le hanno precedute, risiede la principale ragione di una netta cesura, precoce dimenticanza o riduzione valoriale di un’epoca al crepuscolo”.
Una revisione critica avviene soltanto in tempi moderni a partire dagli anni settanta del secolo scorso con gli studi di Dario Durbè e Anna Maria Damigella che, per primi, socchiusero la porta del secolo dimenticato. In questo nuovo cono di luce si pose, tra gli altri, la figura di Nino Costa, capostipite di tutta la pittura di paesaggio a Roma. Nato nell’Urbe nel 1826, questa mitica figura di artista e patriota rappresentò per più di cinquanta anni un insostituibile punto di riferimento per tutti i giovani italiani e non che si avvicinarono alla pittura en plein air.
Sarebbe troppo lungo in questa sede, approfondire la figura di questo illustre pittore nei suoi molteplici aspetti di artista e combattente. Basti ricordare che nel corso della sua esistenza venne a contatto con i più validi pittori stranieri passati per Roma (tra i quali i tedeschi Arnold Bocklin, Franz Dreber e lo svizzero Emile David), ma è soprattutto con gli inglesi George Mason e Frederic Leighton a stringere un’amicizia che durerà per tutta la vita.
Ma quello che più interessa qui è la sua incessante attività, possiamo dire quasi didattica, nei confronti dei giovani pittori. “Dipingere il vero attraverso il sentimento” era il suo motto e con questo principio scolpito nella mente nel 1861 a Firenze (si era trasferito temporaneamente lì, prendendo uno studio nel quartiere di S. Frediano) entrò in contatto con il nascente gruppo dei “Macchiaioli”.
Strinse amicizia con il critico Diego Martelli e con i pittori Banti, De Tivoli e Cecioni ma soprattutto spinse Giovanni Fattori a dismettere gli insulsi quadri a carattere storico per misurarsi con il paesaggio dal vero all’aria aperta. Costa aveva intuito immediatamente le grandi potenzialità del giovane pittore.
Quando andò a trovarlo nel suo studio, Fattori aveva sul cavalletto due dipinti romantici: il primo un grande quadro di soggetto mediceo; il secondo rappresentava “Maria Stuarda al Campo di Crookstone”, più alcuni piccoli bozzetti macchiaioli. Ma lasciamo la parola, un pò sgrammaticata, allo stesso Fattori:
“Il Costa entrò, esaminò i miei tentativi della macchia, fatti in campagna, messe gli occhi sul mio grande quadro mediceo e mi disse in romanesco – A Fattò, ti imbrogliano, tu hai un paro de co…. così – e fece l’atto con le mani – e non lo sai-. Mi fecero senso quelle parole e ci pensai molto. Mi misi alle sue costole e lo segui per strada, alla campagna e lui, molto benevolmente, mi apriva la mente all’arte.”
Poi proseguendo:
“Capì che in me v’era qualcosa da fare. Mi aprì la mente, mi incoraggiò e posso dire che da quell’epoca diventai artista solo per lui” (Cfr. Fattori, 1980 pagg. 90-91 e 98).
Costa dunque fu, per i giovani artisti del Caffè Michelangelo, un imprescindibile punto di riferimento ma, come giustamente osservato da Cecioni, non si confuse mai con il gruppo.
“Ciò che distingue essenzialmente il Costa dai Macchiaioli, sia nel tempo che furono meritevoli di tal nome, sia quando cessarono di esserlo – afferma l’artista toscano – e che in tutti noi prevalevano impressioni essenzialmente fisiche e materiche, mentre nel Costa dominavano le impressioni psichiche ed idealistiche.”
Impressioni che si rafforzeranno ulteriormente dopo il suo viaggio a Londra del 1862, quando l’amico Leighton gli presentò due tra i più illustri pittori della corrente preraffaellita: George Frederick Watts ed Edward Burne-Jones.
Queste frequentazioni indussero Costa a nuove riflessioni sul valore etico dell’operare artistico e sulla priorità assoluta dello studio della natura quale unica fonte di ispirazione per un pittore moderno. Tralasciamo ora i viaggi a Parigi e soprattutto a Londra ove grazie all’amicizia con Frederic Leighton, divenuto nel frattempo Presidente della Royal Accademy, espose, per quasi dieci anni alla prestigiosa ” Accademy” vendendo quasi tutti i suoi dipinti.
Torniamo alla vocazione didattica. A partire dagli anni ’70, Costa fonderà diverse associazioni pittoriche che lo vedranno sempre a capo, come una sorta di guida spirituale, La prima. nell’inverno ’75 – ” 76, è il “Gold Club”, che probabilmente nei programmi di Nino doveva rappresentare un’alternativa al Circolo Artistico Internazionale, dove i seguaci del Fortuny spadroneggiavano. Scopo del Club, frequentato principalmente da pittori inglesi, era quello di raccogliere ed incoraggiare gli artisti capaci di un autentico sentimento del vero.
Nel 1884 il pittore fondò “La Scuola Etrusca” che è, essenzialmente un’aggregazione di pittori legati al Costa da personale amicizia. Il nome stesso derivava dal soprannome di “Etrusco” affibbiato al buon Nino. Il termine”etrusco” connotava anche, geograficamente, la specializzazione dei pittori componenti il gruppo (sia Inglesi che Italiani) alla pittura di paesaggio tra le valli della Magra, dell’Arno e del Tevere, più o meno quindi nell’antico territorio dell’Etruria.
Tra gli Italiani aderirono “gli etruschi” Giuseppe Cellini, Norberto Pazzini, Gaetano Vannicola, Cesare Formilli. Napoleone Parisani, mentre più nutrito era il gruppo anglosassone con Howard, Mattew ed Edith Corbet, Barklay, Richmond, Watts, Lemon ed infine George Mason incluso di diritto da Costa, benché fosse morto dieci anni prima. Il gruppo ebbe fortuna soprattutto in Inghilterra, dove gli “Etruscans Painters” furono apprezzati attraverso le mostre londinesi della Grosvenor e poi della New Gallery.
“In Arte Libertas” nasceva invece tra i tavoli della saletta “omnibus” al Caffè Greco, dove si radunavano gli artisti dissidenti dalle posizioni ufficiali dell’arte tradizionale, quali Alessandro Morani ed Alfredo Ricci, che, con la loro foga giovanile, riuscirono ad attirare nel piano rinnovatore anche due anziani maestri come Vincenzo Cabianca e Alessandro Castelli. Nino Costa era per loro più una bandiera di principi ideali, che un compagno di lavoro e di vita.
Ma proprio perché da tempo identificato come jl capo carismatico dell’opposizione, viene subito cooptato come leader del Gruppo, che a partire dal 1887 prenderà il nome solenne di “In Arte Libertas”.
Per saperne di più su questa particolare Società non rimane che visitare la bella mostra organizzata dal gallerista Alessio Ponti e dallo storico Federico De Mattia che con pazienza e pervicacia sono riusciti ad esporre, non solo i quadri dei pittori più noti, (Costa, Sartorio, Coleman, Raggio, Cellini etc.) ma anche quelli, pur validi, di cui si era persa memoria (Formilli, Pazzini, Vannicola e udite, udite, perfino una donna, Attilia Marini, mai nominata in alcun repertorio)
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