Nasce a Genova un grande progetto per una “rivoluzione divulgativa” in ambito storico artistico. About Art intervista l’autore, Giacomo Montanari.

di Francesca SARACENO

A GENOVA UN GRANDE PROGETTO DI DIVULGAZIONE CULTURALE.

Intervista a Giacomo Montanari.

Fig. 1 Giacomo Montanari

Quello che andiamo a raccontare è un esempio vincente di alta professionalità in ambito storico e artistico, al servizio della divulgazione scientifica. Genova è al centro di un progetto ambizioso quanto efficace che, all’esperienza della visita museale, affianca una rigorosa ma avvincente trasmissione di informazioni e conoscenze a un pubblico variegato.

Abbiamo incontrato il prof. Giacomo Montanari (fig. 1), artefice – insieme a un team di professionisti – di questa “rivoluzione” divulgativa, per conoscerne meglio metodologie, obbiettivi e possibilità di sviluppo.

– Prof. Montanari, lei è ricercatore in Storia dell’Arte presso l’Università di Genova, e da tempo porta avanti progetti di valorizzazione del patrimonio storico-artistico della sua splendida città, attraverso un’intensa attività di divulgazione scientifica. Ce ne vuole parlare?

R) La cosa è nata naturalmente e anche – se vogliamo – un po’ per caso: quando nel 2009/2010 si svolsero le prime iniziative di valorizzazione del Sito UNESCO Genova: le Strade Nuove e il Sistema dei Palazzi dei Rolli (riconosciuto nel 2006) io iniziavo il mio corso di Dottorato all’Università di Genova. Il mio referente (e mio maestro), Prof. Lauro Magnani, propose a me e ad altri colleghi, di mettere in pratica modalità di accompagnamento guidato di alto livello all’interno dei palazzi proprietà dell’Ateneo, facenti parte del Sito UNESCO, combinandole con percorsi formativi per gli studenti del triennio in Beni Culturali. Da quelle pionieristiche esperienze, poi, nel giro di 10 anni, l’evento è cresciuto, si è esteso a tanti beni di proprietà sia pubblica sia privata, ha visto coinvolgimenti strutturati di tantissimi enti territoriali e ha assunto rilevanza nazionale. Nel 2018, quando mi è stato chiesto di assumere la curatela scientifica dell’evento per conto del Comune di Genova – ente gestore del Sito – e di progettarne la struttura futura, abbiamo inserito progettualmente anche i bandi nazionali per la selezione volta a individuare giovani professionisti nelle humanities, da formare e retribuire per svolgere il ruolo di Divulgatori Scientifici, durante le aperture dei Palazzi dei Rolli al pubblico. Questi ultimi cinque anni sono stati un crescendo: lo sviluppo creativo e la realizzazione di materiali digitali, campagne fotografiche e l’elaborazione di strategie comunicative, con al centro il Patrimonio UNESCO, hanno permesso di evolvere fortemente il pubblico coinvolto sotto il profilo nazionale e internazionale; contemporaneamente l’utilizzo di una bigliettazione digitale e l’implementazione di uno studio sulla valutazione di impatto dell’evento, hanno permesso da un lato di evitare fenomeni di overtourism (tutti i siti sono prenotabili fino al sold out), e dall’altro di misurare l’enorme impatto economico e sociale delle giornate di apertura sul territorio. Diciamo che, alla mia “carriera” da ricercatore, ho affiancato, parallelamente, una intensa attività di “trasferimento tecnologico” delle informazioni, frutto della ricerca stessa e della mia formazione, nei confronti di un pubblico sempre più ampio. Non voglio sembrare assertivo, ma credo che se più docenti in formazione seguissero itinerari formativi di questo tipo, avremmo una maggiore consapevolezza dell’importanza degli studi umanistici, storici e artistici per la società.

– Ne sono convinta anch’io. Quali sono i motivi che l’hanno spinta a puntare su eventi come i “Rolli Days” (fig. 2), che hanno coinvolto giovani professionisti della divulgazione, appositamente formati e opportunamente retribuiti? Peraltro con l’intento dichiarato di “rimettere al centro le persone” che, nel caso specifico, non sono soltanto i giovani professionisti ma anche e soprattutto le persone comuni, i fruitori di monumenti e opere d’arte, troppo spesso relegati al ruolo passivo e infruttuoso di “consumatori”.

Fig. 2 Locandina dei “Rolli Days”

R: Credo che sia fondamentale strutturare e mettere in pratica modalità che consentano di veicolare i risultati della ricerca scientifica nei confronti dei diversi pubblici, anche di quelli più lontani dalle tematiche in oggetto. È una necessità – potrà sembrare strano – ancora maggiore per chi fa il mio lavoro, cioè il ricercatore e il docente in Università: se non restituiamo a tutti le chiavi di accesso al patrimonio culturale, infatti, non solo riterrei la nostra azione parzialmente fallimentare, ma si alimenterebbe lo sciocco pregiudizio che le scienze umanistiche siano solo “passatempi”, piuttosto inutili, che tutti possono apprendere quando gli pare. Un pregiudizio sciocco, che però si riflette tragicamente in un paese come il nostro, dove la spesa in cultura è tra le più basse dell’area OCSE: credo ci sia una correlazione, e che sia l’ora di sfatare queste “leggende nere” una volta per tutte. Rimettere al centro le persone significa dare valore a chi si forma nelle discipline umanistiche come mediatore indispensabile tra il patrimonio culturale e la società, ma anche – al contempo – evidenziare la necessità e il valore di una relazione formativa “human to human”. Il punto di contatto con il personale umano, in un Museo, in un luogo monumentale, può essere supplito dalla comunicazione digitale, ma mai – e ne abbiamo le prove – sostituito come portato di valori e di contenuti.

Fig. 3 Gruppo di giovani divulgatori formati nell’ambito del progetto “Rolli Days”

Questo valorizza potentemente anche il pubblico (figg. 3-4): al pubblico restituiamo, attraverso le voci di chi svolge il ruolo di Divulgatore Scientifico, il valore e l’importanza della formazione che permette di avere occhi capaci di vedere e capire ciò che ci sta intorno: sapete quanto sono stupefatti i molti genovesi che ancora affollano l’evento, di sentirsi raccontare con profondità, competenza e qualità i beni artistici della propria città da dottori di ricerca, laureati e laureandi romani, torinesi, fiorentini (e l’elenco sarebbe lungo)? La città è vivificata da giovani professionisti che la vedono come potenziale meta per il proprio (ancorché temporaneo) percorso lavorativo di sviluppo professionale, e questo ha avuto un effetto clamoroso sul coefficiente di gradimento di un pubblico sempre più nazionale e internazionale (ultimi dati: 51% liguri, 39% italiani, 10% stranieri).

Fig. 4 Un momento dell’attività divulgativa

Immagino sia un’esperienza straordinaria e gratificante, per chi racconta e per chi ascolta. So anche di un’altra bellissima attività di divulgazione scientifica denominata “IANUA-Genova nel Medioevo” (fig. 5); un progetto “coraggioso” e affascinante, che parte da lontano e per il quale c’è stata una lunga e serissima preparazione, densa di incontri, conferenze e convegni scientifici. Ci spiega bene di che si tratta?

Fig. 5 Locandina dell’evento “IANUA-Genova nel Medioevo”

R) Quando leggerete queste righe questa esperienza sarà finita e potremo trarne le valutazioni necessarie. Quello che posso dire è che il percorso per arrivarci è stato estremamente complesso e strutturato, proprio perché si trattava di una “prima volta” e di un focus cronologico assai diverso dal contesto del tardo rinascimento e del barocco dei Palazzi dei Rolli. Per questo abbiamo lavorato con un curatore d’eccezione – il Prof. Antonio Musarra, genovesissimo docente di storia medievale presso La Sapienza – e un pool di giovani Dottori di Ricerca (Enrico Cipollina, Simone Lombardo, Margherita Orsero) capaci di darci i contenuti per formare una squadra di un centinaio di divulgatori scientifici con background universitari diversi (architetti, storici, archivisti, storici dell’arte) che dovranno essere capaci di trascinare il pubblico nella Genova del Duecento facendone “parlare le pietre”. La città è stata al centro di un percorso condiviso e partecipato da oltre venti associazioni ed enti culturali sul territorio che – da gennaio a ottobre 2024 – hanno erogato decine di incontri, conferenze, mostre, inaugurazioni dedicate al Medioevo genovese (fig. 6), preparando il terreno all’evento dell’11-13 ottobre.

Fig. 6 Incontro formativo di preparazione all’evento “IANUA-Genova nel Medioevo”, nella chiesa di Santa Maria di Castello, Genova.

Ci aspettiamo un grande successo – di metodo, ma mentre scrivo le prenotazioni sono già 25mila – per dimostrare che la buona divulgazione ha bisogno di qualità, di giovani professionisti con itinerari formativi dedicati e di essere coordinata dagli Atenei a livello di contenuti. Credo che “IANUA- Genova nel Medioevo” darà a molti le risposte che servono per arrivare a codificare come si lavora per svolgere con qualità, competenza e ottimi risultati la preparazione di un evento culturale di livello nazionale.

Infatti: qualità, competenza, metodo, sono elementi da cui non si può prescindere, meno che mai in ambito culturale. A tal proposito: lei ha sempre espresso un’idea di divulgazione che, in questo tempo “mordi-consuma-e fuggi”, può sembrare quasi una sfida, perché fa dei visitatori che partecipano ai vostri eventi, un pubblico attivo e interattivo, che non si limita a guardare monumenti e opere d’arte, ma acquisisce conoscenze e informazioni e ne fa bagaglio culturale vero e duraturo. Perché, come lei stesso ha affermato:

“Fare cultura è – soprattutto – questo: mettere i risultati della ricerca degli studiosi nelle mani dei cittadini. Allora si può fare…? Non è vero che la storia dell’arte è materia solo per addetti ai lavori…”

R) Non si può fare. Si DEVE fare. Rispondo con un esempio: dopo molti tentativi un ingegnere sviluppa un motore miniaturizzato (ricerca), lo brevetta e ne rende così evidente la tecnologia (didattica). Se questo brevetto rimanesse nel cassetto sarebbe un interessante contenuto per la formazione di futuri ingegneri o future tecnologie ma – potenzialmente – nessuno, se non gli addetti ai lavori, ne saprebbe mai nulla. Se invece il brevetto del motore miniaturizzato finisce nello spazzolino elettrico prodotto in decine di migliaia di esemplari che entra nelle case e nella quotidianità di tutti, può cambiare un pezzetto della vita delle persone che – magari – mai sapranno come quel brevetto sia nato. Questa è la terza missione: il trasferimento tecnologico e la divulgazione scientifica. Fuori di metafora, sul patrimonio culturale della nazione sappiamo tantissime cose che – però – sono conosciute da un ridottissimo numero di persone. Dobbiamo riappianare questo divario: dare a più persone possibile le chiavi di lettura per essere primi esploratori curiosi dei territori, dei beni artistici, del patrimonio culturale. E non è vero che le persone non desiderano contenuti complessi: certo, vanno correttamente “distillati”, ma se c’è una cosa che il pubblico detesta è di essere pensato come incapace di capire. La distanza storicamente percepita tra accademia e società va ridotta e accorciata. Altrimenti condanneremo le nostre fondamentali discipline a ruoli marginali quando non alla totale scomparsa. E questo, per il bene della nostra società, non possiamo permetterlo: il patrimonio culturale e in particolare quello storico-artistico sono, per l’Italia, una carta di identità fondamentale e irrinunciabile, a cui tutti dobbiamo avere accesso consapevole.

Nel ringraziare il prof. Montanari per la sua disponibilità, aggiungo solo che le sue parole aprono un varco di speranza per la cultura italiana, in un panorama generale di progressiva e inesorabile decadenza. Modelli virtuosi di valorizzazione del patrimonio storico-artistico, di trasmissione del sapere, sono possibili e, come abbiamo visto, pienamente realizzabili; e quando il progetto è valido, e posto in opera attraverso metodologie ragionate ed efficaci, la risposta del pubblico è entusiastica. Fare cultura vuol dire trasmettere conoscenze; assimilare conoscenze vuol dire crescere: come persone, come cittadini, come società civile. Tutto questo si può. Tutto questo SI DEVE.

©Francesca SARACENO Catania, 13 ottobre 2024.