di Marco FIORAMANTI
JOSEPH CONRAD NEL CENTENARIO DELLA MORTE
Lo spagnolo Javier Mariás (1951-2022) nel suo libro Vidas escritas (ediciones Siruela, Madrid 1992) si diverte a narrare una serie di eleganti, aneddotiche biografie insolite di una ventina di geni della letteratura.
Tutti stranieri, tutti passati a miglior vita, e tutti trattati come fossero personaggi inventati, con amicizia, affetto e profonda ironia. “Joseph Conrad en tierra” titola il secondo capitoletto della sua raccolta e ci racconta dettagli della vita del grande scrittore polacco, naturalizzato inglese.
Il titolo, ironico, si riferisce a tutti i suoi memorabili libri che hanno avuto il mare come set d’azione e chiunque di noi non può che pensarlo a bordo di un veliero. Si dà il caso invece che egli passò a terra gli ultimi trenta anni, quasi la metà della sua intera esistenza. Uomo sedentario, detestava viaggiare, amava invece restare chiuso nel suo studio scrivendo con indicibili difficoltà o chiacchierando con i suoi amici più cari.
L’occasione di queste righe è legata a una data precisa, l’anniversario del centenario della morte. Scrive Mariás:
Conrad morì quasi all’improvviso, il 3 agosto del 1924, nella sua casa [a Bishopsbourne, nel Regno Unito, ndr] a sessantasei anni. Si era sentito male il giorno prima, ma nulla lasciava presumere una morte imminente. Per questo, quando giunse il malore, era solo e stava riposando nella sua stanza. Sua moglie, nella stanza accanto lo senti gridare “Qui…!” con una seconda parola che non distinse, e poi un rumore. Conrad era caduto a terra dalla sua poltrona.
Lo scrittore spagnolo ce lo descrive nascosto nei più riservati angoli del suo giardino a scrivere e a scarabocchiare documenti. Ci dice anche che per una settimana l’hanno visto rinchiudersi nel grande bagno senza dare grandi spiegazioni alla famiglia. Era solito restare tutto il giorno in accappatoio di solito a righe gialle, nonostante le frequenti visite – spesso senza preavviso – di amici o turisti di passaggio.
L’immancabile sigaretta tra l’indice e il medio della mano destra era la preoccupazione maggiore di sua moglie Jessie, per via anche della nota sbadataggine del marito. Infatti lei non si preoccupava più del fatto che libri, asciugamani, cappotti e mobili fossero bruciacchiati, quanto che suo marito potesse improvvisamente ardere in una grande fiamma. Trovò alla fine un espediente, quello di porre delle ciotole d’acqua nelle quali Joseph potesse spegnere i mozziconi. Altre volte fu la fiamma della candela con cui leggeva i suoi libri posta troppo vicino alle pagine a rischiare che queste prendessero inevitabilmente fuoco.
Era sempre in uno stato di estrema tensione – continua Mariás- e da questo veniva la sua irritazione che poteva controllare con difficoltà e che tuttavia, una volta passata, non lasciava alcun segno o memoria. Quando sua moglie stava per dare alla luce il suo primo figlio Borys, Conrad camminava agitato nel giardino di casa. All’improvviso sentì urlare un bambino, e si avvicinò alla cucina e disse alla cameriera che avevano allora: “Faccia il favore di portar via questo bambino, irrita la signora Conrad!”, le gridò. Al che lei gli rispose urlando ancora più forte: “Guardi che è suo figlio che grida, signore”.
Molte immagini di Conrad ce lo mostrano con un monocolo all’occhio destro. Era anche cosa nota che non amasse la poesia, ma più di qualcuno assicurava che gli piacesse Keats e detestasse Shelley. Tra gli autori di prosa quello che più non sopportava era Dovstoevskij, in primis perché era russo, poi perché lo considerava un folle confusionario e il solo sentire il suo nome gli provocava scatti di ira. Veniamo a sapere anche che Conrad non si sposò fino ai 38 anni, e quando alla fine, manifestò la sua intenzione annunciò che non gli restava molto da vivere e tanto meno aveva intenzione di avere figli. Ma la sua vita coniugale non fu delle peggiori. Conrad fu un marito gentile: non mancavano i fiori e ogni volta che finiva un libro, le faceva un grande regalo.
Pur avendo perso suo padre in giovane età e con pochi ricordi di lui, era un uomo preoccupato per l’onore dei suoi antenati, al punto di lamentarsi più di una volta quando un suo prozio, agli ordini di Napoleone durante la ritirata di Mosca, si era visto così affamato da rimediare in qualche modo, in compagnia degli altri ufficiali, a scapito di uno “sfortunato cane lituano”. Che un suo parente si fosse alimentato di carne canina gli sembrava un rimprovero di cui indirettamente incolpava Napoleone in persona.
L’ultima stranezza da mettere a nota di Joseph Conrad mi ricorda tanto (all’inverso, stavolta) la storia di Giorgio De Chirico quando, con naturalezza, autenticava delle ottime copie non dipinte da lui. Sembra infatti che il nostro scrittore negli ultimi anni, fosse solito negare di aver scritto alcuni articoli, racconti o capitoli – redatti in collaborazione con Ford Madox Ford – senza dubbio di sua mano e pubblicati a sua firma. Posto davanti a suoi manoscritti, con la prova provata che quelle pagine erano uscite dalla sua penna, Joseph dava un’alzata di spalle, che era uno dei suoi gesti più caratteristici e si chiudeva in uno dei suoi prolungati silenzi.
Nato a Berdyčiv (Polonia, oggi Ucraina) il 3 dicembre 1857, Joseph Conrad è considerato uno dei più importanti moderni scrittori in lingua inglese. Unico figlio di Apollo Korzeniowski – scrittore e traduttore di Shakespeare, Hugo e Dickens – e di Ewa Bobrowska, entrambi di nobili famiglie polacche. Restato orfano a 15 anni fu affidato alle cure dello zio Tadeusz, fratello della madre. Per evitare di essere arruolato nell’esercito zarista s’imbarcò a Marsiglia su un brigantino diretto in Martinica. Fu l’inizio della sua vita avventurosa, quindici anni di navigazione in tutti i mari del mondo. Il suo capolavoro, “Heart of Darkness” (Cuore di Tenebra), sul viaggio il narratore Charles Marlow lungo la risalita del fiume Congo, mostra le crudeltà dell’essere umano all’interno della colonizzazione europea in centro Africa.
Marco FIORAMANTI Roma 4 Agosto 2024