di Maurizio BERRI
Il quadro Nel parco è concordemente riconosciuto dalla critica come il suo dipinto più bello. Siamo nel 1919 e Amedeo Bocchi (Parma, 1883 – Roma, 1976) usciva da una tragica vicenda familiare. La moglie, Rita Boraschi (sua collega d’Accademia a Parma), dopo aver dato alla luce l’amatissima Bianca (1908) moriva di tisi l’anno seguente.
Bocchi si vedeva così costretto a far la spola tra Parma e Roma, ove aveva deciso di fissare la propria dimora, attratto da quelli stimoli pittorici che l’ambiente culturale romano poteva offrire ad un giovane pittore di provincia.
È solo nel 1915 che Bocchi troverà la soluzione definitiva ai suoi problemi logistici e, forse, la serenità dopo tanto dolore. Il mecenate Alfred Strohl-Fern concede due degli atelier disseminati nel suo grande parco, a Bocchi e Brozzi. Si tira a sorte, lo studio più ampio e luminoso tocca al pittore, che qui abiterà per tutto il resto della sua lunga vita. Inizia così nel 1919 il periodo più bello della sua pittura, di grande intensità poetica. Scrive Roberto Tassi[1]
«In quell’anno i colori e le luci si esaltano, son vita piena screziata di languore, di poesia. Libero da ogni rapporto, preoccupazione o influenza, chiuso nel cerchio magico di Villa Strohl-Fern, essendogli rimasto negli occhi solo qualche ritmo di decorazione a fiori dell’esperienza Liberty (Klimt) e, forse, il ricordo di un tono acuto e puro di Matisse, Bocchi ritrova la concretezza nella liricità dei suoi affetti intimi, nell’abbandonarsi del tutto a quel suo mondo di donne amate, che trascorrono le lunghe mattine oi pomeriggi di sole dentro il verde soffocato e luminoso del giardino».
Negli anni precedenti, alle mostre internazionali di Roma, Bocchi aveva infatti ammirato la pittura bidimensionale di Klimt ed i colori violenti di Matisse, facendo propria la lezione dei maestri.
Questi insegnamenti verranno in qualche modo trasfusi, qualche anno dopo (1915-17), nella sua più grande impresa: gli affreschi della Sala del consiglio della Cassa di Risparmio di Pama. Qui Bocchi dimostra un gusto del Liberty di derivazione klimtiana, ma del tutto personale, che unisce alla fantasia della parte decorativa, la predilezione per una semplicità di linee e una dimensione di serenità e pacatezza nell’espressione dei suoi sentimenti.
Ma torniamo al 1919. È da questo momento che la pittura di Amedeo Bocchi diventa del tutto originale, staccandosi da ogni corrente della sua epoca. Il pittore si concentra, come detto, sulla figura femminile ritratta nel cerchio magico del parco di Villa Srohl-Fern.
La sua originale invenzione sta nel rendere bidimensionale il dipinto, benché la figura sia immersa in un ambiente naturale. Niente fondi d’oro, ma il paesaggio della Villa nella quale la modella si trova non ha prospettiva, ne punti di fuga, ma è come il sipario di un palcoscenico dove i gialli ed i verdi violenti del fondale rimbalzano la luce sulla persona ritratta rendendo così la sua pelle diafana e quasi trasparente. (Si potrebbero citare quadri come Bambina che dorme, Nudo sdraiato, Pomeriggio d’estate, La colazione del mattino, Il the, Nel prato, Nel parco e così via).
Fermiamoci ora sul nostro quadro, Nel parco, ossia il ritratto di Nicolina.
L’incontro di Bocchi con la splendida modella non era avvenuto per caso. Era stato un altro pittore, suo intimo amico, Pietro Gaudenzi, a presentargliela. Nicolina Toppi era infatti la cugina della moglie di Gaudenzi, Candida Toppi, entrambe modelle di Anticoli Corrado, paese famoso per la bellezza delle sue donne. Amedeo era rimasto colpito dall’avvenenza della ragazza che diventò dapprima la sua modella preferita e poi, dopo i lunghi anni di vedovanza, la donna dei suoi sogni.
Alla sua impacciata dichiarazione, Nicolina confermò che il suo amore era corrisposto. Fu così che in questo magico 1919, a pochi mesi soltanto dal matrimonio, Bocchi decise di ritrarre la fidanzata, in posa dentro la Villa, con tutta la bravura e l’amore di cui era capace. Nasce così Nel parco, quadro rigidamente bidimensionale e vicino alla paesistica visionaria di Nolde, grazie ai verdi e gialli distesi a grandi stesure con un’intensità un poco al di sopra della quiete armonica fino a toccare degli acuti che sembrano quasi dissonanze.
«Questo dipinto – ci dice Fortunato Bellonzi[2] – incredibilmente sfuggito a tutti gli storici dell’arte contemporanea, mentre non è soltanto uno dei più alti raggiungimenti del pittore, ma una delle opere d’arte nostra più belle e originali di quel periodo, fu per noi una scoperta emozionante di pochi anni fa, d’altronde facile a compiere poiché il quadro era alla portata di chiunque (Museo Comunale d’Arte Moderna di Roma). Esso ci costrinse, vorremmo dire, a dare un posto al Bocchi nella nostra storia della pittura italiana del Novecento».
Descrivendo poi il quadro si sofferma
«sui dettagli di impasto coloristico insolitamente dissonante e robusto» ed elogia il pittore «per la scelta energica e raffinata dei colori e per il sentimento che aveva sorretto quest’isola cromatica, chiamata ad inserirsi tra la massa bruna della gonna, il verde tenero e squillante del prato e il giallo di cadmio della camicetta di straordinaria risonanza, come se fosse essa medesima la fonte di quella calda luce».
Ma nel quadro si nasconde un segreto, sfuggito a tutta la critica. Guardando con attenzione il dipinto si nota, nel volto di Nicolina, una nota dissonante con la gioia che dovrebbe provare una ragazza che stava per realizzare il suo sogno d’amore. Nel suo sguardo passa veloce un velo di malinconia, un infausto presagio le dice che quel momento di felicità non è destinato a durare. (Tre anni dopo Nicolina morirà anch’essa di tisi). Sorprendentemente Bocchi riesce a cogliere con il suo pennello quell’istante di smarrimento, che rimarrà per sempre impresso nella tela.
E per finire un altro fatto sorprendete riguarderà, diversi anni dopo, il nostro quadro.
Come accennato all’inizio, noi tutti sappiamo che il quadro Nel parco è stato acquistato nel 1953 dal Museo Comunale di Arte Moderna di Roma (oggi Galleria d’Arte Moderna di Roma Capitale). In realtà ben pochi sanno che alla fine degli anni ’40 del Novecento Bocchi aveva venduto il quadro ad un privato, l’avvocato Fellaro, revisore di conti presso una società petrolifera, che era rimasto colpito dalla bellezza della fanciulla ritratta.
Il povero avvocato però non aveva fatto i conti con l’oste, perché, tornato a casa, aveva dovuto affrontare la sua irascibile signora. Le cose dovevano essere andate all’incirca così.
«Buona sera cara, guarda che bel quadro ho acquistato oggi dall’amico Bocchi».
La moglie si fece sospettosa. «E chi sarebbe la donna raffigurata?».
L’avvocato incominciò ad avvertire la brutta piega: «Ma non so – ribatté perplesso – dovrebbe essere una modella».
«Una modella? Bravo! Non sai che tutte le modelle sono delle poche di buono, pronte a concedersi al primo pittore da strapazzo! Così io dovrei appendere nel mio salotto una donna di malaffare, magari vicino ai ritratti della povera mamma e del mio adorato papà. Te lo dico subito o va fuori lei o vado fuori io».
Così il giorno dopo il povero avvocato, mogio, mogio, tornò da Bocchi chiedendo se poteva cambiare quel quadro con un più asettico paesaggio.
La vita a volte fa strani scherzi. Talora la storia viene fatta da persone ignoranti.
Nel nostro caso, se non fosse intervenuta quella bacchettone della moglie dell’avvocato, il dipinto sarebbe rimasto per sempre (tranne ripensamenti) nella casa degli eredi Fellaro e né la critica né gli altri poveri mortali avrebbero mai potuto vedere il capolavoro di Amedeo Bocchi. A questa donna meschina ed incolta, tutti noi siamo debitori. Ad essa pertanto va il nostro più sentito ringraziamento per l’immenso regalo fatto a tutti gli amanti della pittura.
Maurizio BERRI Roma 12 Gennaio 2025
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