di Maria Giulia BARBERINI e Claudio STRINATI
E’ passato poco più di un mese dalla scomparsa di Maria Letizia Casanova, dirigente e funzionario dei Beni culturali tra i più competenti, direttrice per molti anni di Palazzo Venezia, sempre generosamente disponibile, studiosa attenta e capace di spaziare nei vari campi di ricerca; riceviamo e volentieri pubblichiamo il sentito ricordo di Maria Giulia Barberini che la ebbe spesso come collega in vari eventi culturali e con cui aveva intessuto una stretta amicizia, come pure stretta amica e generosissima collega era stata di Claudio Strinati che ne ricorda con aneddoti e testimonianze dirette legate al tempo della loro collaborazione alla testa di due strutture dei Beni culturali, la disponibilità e l’affetto con cui lo istradò, lui giovane funzionario, nei meandri spesso insidiosi della pubblica amministrazione.
Ricordo di Maria Letizia Casanova (Maria Giulia BARBERINI)
Nell’aprile del 2023 abbiamo perso una cara amica e collega, Maria Letizia Casanova, funzionario direttivo della già Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Roma e del Lazio; e dal 1979 direttrice del Museo del Palazzo di Venezia del quale, in qualità di ‘padrona di casa’, ha offerto un quadro approfondito con numerosi studi storico- critici tesi alla conoscenza e alla valorizzazione della storia dell’edificio e delle svariate e complesse collezioni in esso contenute.
Nata a Roma nel gennaio del 1932, si era laureata in Lettere e Filosofia presso l’Università della Sapienza, dove aveva acquisito anche il diploma di Specializzazione in Storia dell’Arte. Agli inizi degli anni ‘60 aveva iniziato a collaborare a vario titolo con la Soprintendenza alle Gallerie e alle opere d’arte medioevali e moderne del Lazio, diretta da Emilio Lavagnino, la cui influenza di eccezionale qualità fu decisiva per la sua formazione come storica dell’arte, abituandola ad affrontare realtà ambientali e culturali diverse nell’ambito della ricognizione del patrimonio artistico del territorio laziale. Ne è esempio l’articolo relativo alle Vicende del campanile della chiesa di S. Maria Maggiore in Tivoli, pubblicato in “Atti e memorie della società tiburtina di storia e d’arte” (1959-1960, vol. XXXII-XXXIII, nn.1-8, pp. 123-127). Risale al 1962 la sua partecipazione, in qualità di traduttrice dei testi del catalogo, alla mostra Il ritratto francese da Clouet a Degas, curata da Germain Bazin, conservateur en chef del Louvre, e da Gaston Palewski, ambasciatore di Francia in Italia e dallo stesso Lavagnino con la collaborazione di Italo Faldi, direttore della Soprintendenza alle Gallerie del Lazio e di Antonino Santangelo, direttore del Museo di Palazzo Venezia, il quale per l’occasione mise a disposizione le sale del palazzo. Si trattava di una mostra che dagli inizi del Cinquecento conduceva sino alle soglie dell’arte moderna, riassumendo le vicende della pittura e del disegno francese in quattro secoli di vita sul tema del ritratto: un’appassionata indagine nel misterioso mondo dell’anima, come ebbe a definirla la Casanova stessa (Gente di Francia a Palazzo Venezia, in “Capitolium”, a. XXXVII, (1962), n. 6, pp. 388-392). Contemporaneamente, nell’ambito della collana di monografie dedicate alle “Chiese di Roma illustrate”, pubblicava il testo su Santa Maria di Montesanto e Santa Maria dei Miracoli (n. 58, Roma 1960, editore Marietti); e nel 1962, per la stessa serie ( n. 70), quello sulla chiesa del SS. Nome di Maria, ricco di informazioni storico-artistiche attinte spesso a fonti inedite d’archivio, scritto in collaborazione con l’amico e ricercatore Antonio Martini.
Entrata nell’amministrazione delle Antichità e Belle Arti, divenne ispettrice dei Musei statali a Napoli, diretti da Raffaello Causa. Qui la sua curiosità si appuntò sulla collezione di porcellane della collezione del duca di Martina, conservata nella villa detta ‘la Floridiana’ al Vomero. Guardando alla enorme varietà di manufatti, allora considerati ‘arte minore’ e che ancora in buona parte attendevano di essere catalogati, iniziò una ricognizione sistematica delle porcellane francesi che successivamente estese alle collezioni del Museo di Capodimonte, al Filangieri, al Palazzo Reale e al Museo Pignatelli Cortes, con la consapevolezza che la porcellana d’arte si poteva dire di casa nei musei di Napoli grazie al potere attrattivo esercitato dalla fama della fabbrica borbonica di Capodimonte. Gli importanti risultati del complesso lavoro di spoglio sono stati resi noti con la pubblicazione di un cospicuo numero di opere del XVIII e XIX secolo, quasi tutte inedite (Le porcellane francesi nei Musei di Napoli, 1974, Di Mauro Editore, Cava dei Tirreni-Napoli, introduzione di Bruno Molajoli).
Rientrata a Roma, nella Soprintendenza alle Gallerie per il Lazio, diretta da Guglielmo Matthiae, svolse un’intensa attività scientifica spaziando dalla tutela del territorio della provincia di Latina al riordinamento di collezioni museali di primissima importanza, quali quelle del già Museo Artistico Industriale in Palazzo Barberini, sotto la guida di Maria Vittoria Brugnoli.
Intensa fu la sua attività di catalogazione per la tutela del patrimonio della provincia di Latina la cui schedatura precedente risaliva agli anni 1928-1931 per i centri dei Lepini fino a Terracina; al periodo della seconda guerra mondiale per Gaeta; mentre più recente era quella riguardante il circondario di Fondi e i paesi del Garigliano. Con l’aiuto di cinque schedatori e di fotografi d’arte, catalogò sia opere di indiscusso valore sia le espressioni, anche le più modeste, di artigianato popolare e devozionale. Un impegno che produsse 3000 schede e 4000 fotografie con la punta massima di oltre 600 schede per Gaeta e un minimo di 15-20 schede per i centri montani. La catalogazione mise in luce episodi di cultura poco noti: per esempio gli affreschi del XIII secolo a Priverno, nella chiesa di San Benedetto; oppure a Minturno, nella chiesa dell’Annunziata, le Storie di Santa Cecilia, testimonianza della persistenza di un filone giottesco-napoletano intorno al 1340.
E ancora: il bel soffitto ligneo della chiesa di San Francesco a Cori, compiuto da Luigi Guarnieri nel 1675-1676; e i busti-reliquiari riemersi dai depositi della Cattedrale di Gaeta o della Cattedrale di Sezze. Un’intensa attività documentata da importanti pubblicazioni: Restauri 1970-1971, Soprintendenza alle Gallerie e alle opere d’arte medioevali e moderne per il Lazio, De Luca editore, Roma 1972, scheda per: Girolamo Stabile (sec. XVI), Madonna con Bambino tra i Ss. Sebastiano e Rocco, tavola, Formia, cappella di San Rocco; Relazione sulla catalogazione nella provincia di Latina, in “Bollettino d’Arte”, a. LVI (1972), fasc. III-IV, pp. 237-239. I risultati di questa intensa attività di conservazione e di valorizzazione furono presentati nel 1976 nella mostra Arte a Gaeta. Dipinti dal XII al XVIII secolo (Gaeta, Palazzo De Vio, agosto-ottobre 1976, Centro Di- Firenze) che vide la compartecipazione dello Stato (la Soprintendenza guidata da Paola Della Pergola), della Regione Lazio (assessore per la cultura, Tullio De Mauro), dell’Associazione culturale ‘Centro Storico Culturale di Gaeta’ e dell’Ente Provinciale del Turismo di Latina.
Le opere esposte andavano dal Medioevo alla fine del Settecento delineando la storia complessa di Gaeta, cui era stato da sempre riservato il destino di ‘città di confine’.
Fu questa l’attività che le valse la direzione del Museo di Palazzo Venezia: un museo difficile, alla ricerca continua di se stesso, ricchissimo di collezioni disparate – dipinti, sculture, ma anche argenti, mobili, armi, serrature e chiavi, monete e medaglie, porcellane e ceramiche, stoffe- di così vaste proporzioni da costituire tanti micromusei. E soprattutto distanti tra loro per materia, gusto, epoche.
Svolse questo compito direzionale con entusiasmo, pensando inizialmente di continuare il lavoro di Maria Vittoria Brugnoli che ne era stata direttrice tra il 1965 e il 1973; e di Giovanni Carandente che aveva ipotizzato un ordinamento tipologico, un museo delle “arti decorative”.
Presto però modificò il suo atteggiamento progettando (1984-1985), a seguito dei finanziamenti ottenuti attraverso i progetti FIO per la valorizzazione delle Gallerie dello Stato a Roma, un nuovo allestimento museografico delle raccolte d’arte a carattere ‘cronologico’. Nacque così la prima sezione (sala I-X) dedicata all’arte medioevale, costituita da opere in gran parte provenienti dalla diaspora del Museo Kircheriano (bronzi barbarici; pesi altomedioevali, sigilli). Ai quali venne unita una piccola rassegna di elementi architettonici tipici delle fabbriche medioevali religiose e civili – frammenti di plutei e di architrave – riferiti all’ambito di schemi decorativi ricorrenti nel repertorio iconografico paleocristiano provenienti dal disperso Museo Artistico Industriale.
Il punto focale di questo allestimento era costituito dalla solenne, mutila, statua di pontefice seduto, attribuita ad Arnolfo di Cambio ma che in tempi più recenti è stata restituita ad un Ambito romano, ultimo quarto del XIII secolo (Manuela Gianandrea, in <<Tracce di pietra. La collezione dei marmi di Palazzo Venezia>>, a cura di M.G. Barberini, Roma, Campisano Editore, 2008, scheda n. 46, p. 209-211); dalla statua lignea Madonna con Bambino, detta di Acuto, dalla località di provenienza nel frusinate; da ceramiche di produzione romana, laziale e toscana; da dipinti su tavola e da tessuti, articolati in due settori: il cosiddetto <<Tesoro di Tivoli>>; da una raccolta di veli di seta riconducibili a manifatture dell’Italia centrale del XIV secolo. E dalla serie delle stoffe copte, restaurate per l’occasione a cura dell’Istituto Centrale del Restauro.
Per valorizzare le raccolte e far conoscere il museo, poco noto al grande pubblico, creò una vivace attività didattica definita in mostre veloci e in scritti divulgativi, oggi dimenticati anche dalla sua bibliografia di studiosa. Una attività di “ordinaria amministrazione” che la vide partecipare all’organizzazione di esposizioni all’estero (Un itinerario artistico nella Russia e nell’Italia dell’800, Mosca, 14 ottobre-15 novembre 1988, Roma, Ervin 1988; Masterpieces of Renaissance and Baroque Sculpture from the Palazzo Venezia, Rome, Georgia Museum of Art, october 5-november 24, 1996, University of Georgia); e generosa nei prestiti a mostre.
Ma il suo progetto museografico non prese quota, modificato da una scelta, da lei sofferta, di ordinamento museale consistente sostanzialmente nel conservare al museo il carattere originario derivante dalla formazione delle sue raccolte per ‘tipologia dei materiali’, ricomposte e distribuite negli spazi del ‘palazzetto’ dove ancora oggi sono esposte (Progetto di riordinamento del Museo Nazionale di Palazzo Venezia, a cura del soprintendente Dante Bernini e dell’architetto Franco Minissi, De Luca Editore 1985, Roma).
Gli anni 1990 fino al suo pensionamento, la videro impegnata nello studio del Palazzo Venezia dove ha offerto un quadro approfondito sull’architettura e la decorazione dell’intero edificio: un volume scritto in modo semplice ed elegante – una capacità per la quale andava particolarmente fiera – ricco di incisioni e immagini d’epoca (Editalia 1992, Roma, presentazione Carlo Pietrangeli); e nel 1993 con Valnea Santa Maria Scrinari, Roberto Luciani e Armando Zimolo del volume Il Palazzo delle Generali a Piazza Venezia Editalia, (Editalia, con introduzione di Claudio Strinati). Maria Letizia Casanova concluse la sua attività di funzionario di Direttore museale pubblicando il catalogo sistematico delle Porcellane europee del Museo di Palazzo Venezia, un lavoro già promosso nel 1994 dalla soprintendente Evelina Borea (2004, Soprintendenza Speciale Polo Museale Romano, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, introduzione di Claudio Strinati).
Testimonia infine la sua vivacità di studiosa e di direttrice la monumentale opera di storia dell’arte e dell’architettura italiana in dieci volumi, di numerosi studiosi, da lei curata e pubblicata dall’editore Curcio, intitolata con esemplare apoditticità Museo Italia, che attesta anche la sua capacità di autrice e di coordinatrice di gruppi di studio.
L’ultimo suo lavoro è stato però dedicato ad un suo grande e antico interesse: la storia urbanistica di Roma medievale. Un piccolo e agile volume suddiviso in 7 itinerari, frutto di un lavoro di anni, che vuole far recuperare al lettore alcuni tratti peculiari della città legandola, per quanto possibile, al territorio e alla sua percorribilità. Una storia di chiese sorte sul disfacimento della città antica e spina dorsale della “nuova Roma”. (Roma Medievale. Itinerari da scoprire, De Luca Editore d’Arte, Roma 2022). Questo libro è stato presentato il 5 aprile 2023 nel Museo di Roma-Palazzo Braschi nell’ambito della rassegna ‘Libri al museo’.
Una settimana dopo ci avrebbe lasciati affidandoci il suo ricordo di compagna di lavoro attenta e disponibile con i colleghi con i quali aveva instaurato e sempre mantenuto rapporti d’amicizia.
Allegra e arguta, curiosa e molto simpatica.
Maria Giulia BARBERINI Roma 26 maggio 2023
di Claudio STRINATI
Ho sentito il desiderio di rendere omaggio a Maria Letizia Casanova per una serie di motivi, di cui il principale è l’affetto. Se c’è stata, infatti, una persona cui sono stato sempre legato da sincera condivisione è stata lei e questo stato d’ animo non è mai venuto meno, dal primo giorno in cui ci siamo conosciuti all’ ultimo.
E il bellissimo articolo dedicatole in memoriam da Maria Giulia Barberini ha accentuato questo mio desiderio.
Ho un ricordo indelebile del mio primo incontro con Maria Letizia.
Ero appena arrivato, giovane ispettore storico dell’arte, alla Soprintendenza di Palazzo Venezia allora denominata per i beni artistici e storici di Roma.
All’epoca, era il 1976, I funzionari storici dell’arte erano pochi e tutti autorevoli, per lo più maturi di età e di esperienza. Era Soprintendente Paola Della Pergola, persona cui debbo moltissimo, che mi ha insegnato il mestiere, guidandomi nei meandri della burocrazia e dei rapporti umani. Perseguitata come ebrea durante il Regime era ancora in servizio perché il Ministero le aveva restituito gli anni sottrattile dal fascismo. Stimava molto Maria Letizia quale persona seria, onesta, competente e capace. Così appena preso servizio, la Della Pergola mi dice, con quel suo tono brusco e amorevole insieme:
“Le faccio conoscere la Casanova che dirige il Museo, così la introduce lei nell’ambiente”.
Conoscevo poco e niente della Soprintendenza, tranne Luisa Mortari, che mi faceva spavento per quanto mi sembrava intransigente, e Italo Faldi di cui si diceva che fosse intimo amico di quel Federico Zeri che era per me un nome mitico, il più grande di tutti ma con la fama di essere anche un pò mariuolo. Maldicenze ministeriali, si sa.
Per me Zeri era l’autore del più bel libro d’arte che avessi mai letto, Pittura e Controriforma, quindi il più grande e basta, anche se, a dire il vero, non è che ne avessi letti così tanti di libri d’ arte. La Casanova invece leggeva molto, sapeva un sacco di cose ma non ostentava.
Mi dette subito la conferma:
“si è bellissimo il libro di Zeri ma guarda che ha fatto molto altro. Il catalogo della Spada, almeno, lo conosci? L’ ha diretta lui, per pochissimo tempo ma l’ha rivoltata come un pedalino. Una persona straordinaria, dovresti conoscerlo”.
E infatti, poco dopo, lo conobbi rafforzando i miei convincimenti.
La Casanova fu così la mia prima e vera collega. Mi parlava del lavoro e mi sembrava che la sua occupazione precipua non consistesse nell’ impedire sempre e comunque le pubblicazioni altrui, che mi pareva la prassi vigente. Maria Letizia non la vedeva così e ignorava spontaneamente quel formidabile e funesto baluardo dell’esistenza che è l’Ipocrisia. Conosceva invece la dimensione dell’Amicizia e la coltivava sul serio.
Mi fece subito un bel regalo. Era il catalogo di una mostra che aveva appena curato, edito dal Centro Di di Firenze.
“E molto bene, osservava la Della Pergola, tutte cose sconosciute, poi ha fatto una campagna di catalogazione e restauri a tappeto, imponente”.
Era la mostra dell’ Arte a Gaeta, Dipinti dal XII al XVIII secolo, uno dei primi cataloghi che ricevevo in vita mia e, leggendolo, cominciai a capire che vuol dire studiare il territorio, fare mostre, diventare esperto sul campo.
“Ma sai, diceva Maria Letizia, Zeri ha fatto la stessa cosa. Adesso, naturalmente, è un padreterno ma l’ occhio se l’ è fatto sul campo, come dovremmo fare tutti”.
La Casanova anche su questo mi ha insegnato bene. Non c’è differenza, in tal senso, tra Museo e Territorio. Il Museo è un territorio e se lo indaghi così, escono fuori le cose e si lavora bene. A quel tempo, antecedente all’ assassinio dell’ On. Aldo Moro, era ancora agli albori la tiritera dei tesori nascosti, del bene culturale come fattore identitario, dei giacimenti culturali incomparabili rispetto a qualunque altra nazione del mondo, della immensa ricchezza dei nostri depositi ignobilmente trascurati e avviliti, del necessario equilibrio tra tutela e valorizzazione (non c’è valorizzazione senza tutela, ci mancherebbe altro!), della necessaria sinergia pubblico-privato con rilevanti e più che legittime conseguenze economiche, della contrattazione decentrata, del Conto Terzi soprattutto per gli addetti ai servizi di vigilanza.
Venni subito al sodo. “Ma perché Gaeta, non dirigi il Museo?”
“Perché sono stata ispettrice di zona per la Provincia di Latina e adesso ho cambiato incarico. É tanto semplice! Ma non sai niente di come funziona la Soprintendenza? Ma prima che facevi?”
Non facevo nulla, ecco il punto, ma in pochi minuti ho capito tutto e andava bene.
Così mi portò a Gaeta a vedere la mostra dove c’era Giovanni da Gaeta e diceva: “Lo sai che praticamente lo ha scoperto Zeri?” Non lo sapevo, in effetti, perché su Pittura e Controriforma non c’era scritto. Però le dissi di si, che lo sapevo benissimo. Lei non ci credette ma funzionò lo stesso.Da quel giorno imparai come si fa, e credo di averla onorata la nostra amicizia, perché ho imparato bene, o almeno credo.
Erano tempi difficili e Maria Letizia ci pensava spesso e spesso ci pensavamo insieme. Avevamo avuto i figli più o momento nello stesso momento; lei, già in età matura, una bellissima bambina, io, ancora giovane, due gemelli maschi. E lei diceva talvolta in che brutto mondo li avevamo fatti nascere. “Ma si dice sempre così”, obiettavo io. “E non sarà mica colpa nostra, no?” Però qualcosa di profondamente preoccupante c’era nell’ aria. C’erano già le Brigate Rosse e già erano successe cose spaventose e super inquietanti. A posteriori è facile capirlo tranne per chi, come noi, di politica non capiva e mai avrebbe capito niente. Ma mai avrei creduto che la nostra vita felice e produttiva sarebbe stata sconvolta in un modo atroce le cui conseguenze pesano tremende sull’ oggi, proprio a partire dal sequestro e omicidio Moro. Me lo ricordo perché fu lei a darmi la notizia. Maria Letizia mi aveva aiutato a entrare nel collegio giudicante di una commissione di concorso per guide turistiche che si riuniva, mi pare, al Palazzo della Prefettura. Doveva andarci lei, in rappresentanza della Soprintendenza, ma era una perdita di tempo infinita e quindi è comprensibile che ci partecipasse un giovane, però già con un minimo di esperienza. Ormai avevo trent’ anni e potevo pure starci. Così Maria Letizia, che di anni ne aveva quarantasei, mi chiese se potevo andarci io al suo posto, col gradimento del Soprintendente, e naturalmente accettai. Mi piaceva fare il commissario di concorso e i colleghi erano brave persone. La mattina del 16 marzo 1978 stavo uscendo da casa per andare alla commissione e Maria Letizia mi chiama dicendo:
”Hanno rapito Moro e ammazzato tutta la scorta. Sono sospese tutte le attività. Restatene a casa”.
Percepii che le cose non sarebbero state più come prima e restai a casa.
Ne abbiamo parlato continuamente durante quei due mesi scarsi. Poi l’ hanno ammazzato e noi, come tutti, abbiamo ripreso le nostre cose. Aveva, Maria Letizia, un senso altissimo della dignità, della giustizia e dell’ onore. “ma ti rendi conto, Pasolini tre anni fa. Adesso Moro”.
“Ma non c’entra niente, obbiettavo io, non fare di ogni erba un fascio”, ma non ero convintissimo.
Intanto le nostre attività procedevano normalmente. Era cambiato il Soprintendente. Era venuta Maria Vittoria Brugnoli verso la quale Maria Letizia aveva un rapporto di grande rispetto e stima. Era un piacere vederle lavorare insieme. Spesso ci intrattenevamo con la Brugnoli ed ero colpito dalla intelligenza, la saggezza e l’onestà di quella grande donna. Quando, quasi centenaria, morì nel 2013 fu proprio Maria Letizia a commemorarla in un modo sobrio e commovente al contempo, per intensità di affetto e profondità di comprensione. La Brugnoli fumava molto. Sul tavolo dell’ufficio aveva una specie di enorme vasca a fungere da posacenere. Incredibile, ma vero! Anche su questo Maria Letizia era possibilista: “ma chi l’ha detto che il fumo fa male? Vedi lei? Sta benissimo”. “E infatti non è ipocrita scrivere per legge sul pacchetto che il fumo uccide, consentendo, in piena legalità, la vendita?”
Erano le cose che non sopportava: l’ ipocrisia, l’ inganno, la sopraffazione. Qualche anno dopo, quando l’ipocrisia, l’inganno e la sopraffazione ebbi modo di sperimentarle in prima persona, fu Maria Letizia a darmi una dritta:
”Succede ma poi le cose si aggiustano, Claudio. Guarda quante ne ho dovute sopportare io, eppure vedi. Le cose vanno bene e andranno bene, vedrai!”
Dopo un po’ di tempo le feci sentire il Centro di gravità permanente di Battiato. Quando dice
“non sopporto i cori russi, la musica finto rock, la new wave italiana, il free jazz punk inglese, neanche la nera africana”,
ci siamo fatti un sacco di risate. “Ma è matto? Però che grande musicista! “ Lo sai che ha studiato con Stockhausen?” le dico e non mi scorderò mai la sua faccia sbalordita e divertita insieme.
Era una notevole studiosa, filologicamente attrezzata e fine indagatrice dei recessi della storia, delle cosiddette arti minori e dei periodi oscuri e mal sondati. Negli ultimi anni si era concentrata sulla Roma medievale. “Ma, tenendo conto che non se ne conosce più quasi niente, ammetti che parliamo di un argomento cruciale”
Si, me ne rendevo conto ma fino a un certo punto.
“Sto scrivendo un libro su questo e vorrei che mi aiutassi”, mi dice un bel giorno. “Aiutassi a che? perché non ne so niente”. “No, ti faccio leggere il testo a mano a mano che lo scrivo e mi dici se funziona, se è interessante, se la ricerca ti convince”.
Così è stato. Per anni e anni il lavoro avanzava. Poi per un po’ di tempo ci sentivamo meno. Io preso da tante cose che mi frastornavano la testa, lei immersa in mille problemi pratici, controverse questioni di famiglia, molteplici necessità quotidiane. Ma sempre di ottimo umore. Si fidava, pur non essendo affatto una sprovveduta. Amici o estranei che fossero, sapeva comportarsi solo in un modo, che effettivamente in certi casi può essere anche il modo migliore di farsi fregare. Stava bene, in realtà, confortata dagli affetti e dalla stima di tanti di noi, ma le difficoltà non mancavano. Era andata ad abitare fuori Roma, peraltro in un bel posto ma scomodo. Insomma, per un motivo e per un altro avevamo un pò perso la continuità delle nostre frequentazioni.
Poi, pochi mesi fa, mi arriva l’ invito alla mostra Roma medievale. Il volto perduto della città, a Palazzo Braschi per la curatela delle egregie studiose Marina Righetti e Anna Maria d’ Acchille. E penso: “guarda un po’ proprio quello che Maria Letizia voleva fare”, non una mostra ma il libro. Vedo che il catalogo è di De Luca e penso: “figurati, l’esclusione è sempre all’ ordine del giorno”. E invece no. Mi accorgo che, a latere, De Luca ha pubblicato anche un volume che si chiama Roma medievale. Itinerari da scoprire, di Maria Letizia Casanova. Eccolo il libro su cui ha lavorato tanto. Finalmente è uscito ed è venuto bene, se posso permettermi.
Non ho fatto in tempo a dirglielo perchè il 5 aprile scorso, la presentazione mi coincideva con l’appuntamento dall’ oculista e ci dovevo andare.
Ma pochi giorni dopo lei è morta.
Sarebbe bello se questo libro circolasse ampiamente e venisse letto da tutti noi e da tanti interessati.
É molto buono.
Claudio STRINATI Roma 26 Maggio 2023