” … non fu mai occhio fino a questi nostri tempi che non ne stupisse”. Il Mons. Pedro de Foix Montoya, “L’Anima beata e l’Anima dannata”: storia di una committenza berniniana e un’ipotesi di collocazione.

di Claudia RENZI

Fino al 1° marzo saranno eccezionalmente, e per la prima volta presso la Pinacoteca Vaticana, in mostra Anima beata e Anima dannata di Gian Lorenzo Bernini (1619, Roma, Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede, Palazzo di Spagna – Fig. 1 – su About Art ne ha già scritto Rita Randolfi https://www.aboutartonline.com/l-orrore-per-la-guerra-e-la-speranza-per-il-futuro-le-due-anime-di-bernini-in-vaticano-per-il-giubileo-del-2025-fino-al-31-gennaio/ ), la cui storia a tratti ancora oscura è tuttavia strettamente legata a uno dei committenti dell’allora giovanissimo maestro, il monsignore sivigliano Pedro de Foix Montoya.

1. Gian Lorenzo Bernini, Anima beata e Anima dannata presso la Pinacoteca Vaticana (2025)

Montoya, nato a Siviglia nel 1559, membro dell’Accademia di Salamanca, fu a Roma dal 1595[1] ove divenne Referendario di entrambe le Segnature e membro dell’Arciconfraternita della Santissima Resurrezione di Cristo Salvatore fondata nel 1579 presso San Giacomo degli Spagnoli, chiesa nazionale degli Spagnoli a Roma sita in piazza Navona.

Nel 1622 Montoya, probabilmente dietro suggerimento dell’amico cardinale Maffeo Barberini (futuro Urbano VIII), commissionò a Bernini un busto ritratto (Fig. 2) da collocare nel monumento funebre che intendeva riservarsi presso la chiesa della sua nazione[2].

2. Gian Lorenzo Bernini, Busto di Pedro de Foix Montoya, Roma, Santa Maria in Monserrato

La parte architettonica, già riferita a Bernini, si deve all’architetto Orazio Torriani [3], eseguita materialmente dallo scalpellino Santi Ghetti [4]. Gian Lorenzo si limitò perciò, in questo caso, al solo busto, che avrebbe comunque costituito il fulcro della composizione.

Il Ritratto di Pedro de Foix Montoya riscosse sin da subito un incredibile successo:

Condusse il Bernino un ritratto così al vivo, che non fu mai occhio fino a questi nostri tempi che non ne stupisse, e avevalo già nel suo luogo collocato, quando assai Cardinali e altri Prelati vi si portarono apposta per veder sì bell’opera; tra questi uno ve ne fu, che disse: ‘Questo è il Montoya petrificato’; né ebbe egli appena proferite queste parole che quivi sopraggiunse lo stesso Montoya. Il Cardinale Maffeo Barberini, poi Urbano Ottavo, che pure anch’ esso era con quei Cardinali, si portò ad incontrarlo, e toccandolo disse: ‘Questo è il ritratto di Monsignor Montoya (e voltosi alla statua) e questo è Monsignor Montoya’[5].

Domenico Bernini riporta l’episodio più o meno negli stessi termini [6] e, come Baldinucci, ambienta l’aneddoto in San Giacomo degli Spagnoli. Invece Gian Lorenzo, ricordando l’episodio con Chantelou durante la sua permanenza in Francia alla corte di Luigi XIV, affermò che Montoya, molto soddisfatto del lavoro svolto, fu munifico nel compensarlo e volle lasciare il busto presso la sua bottega per diverso tempo così che molti potessero vederlo e, naturalmente, parlarne[7].

Gian Lorenzo affermò con Chantelou che quello di Montoya era uno dei primi busti (dal vivo) che aveva eseguito – a quella data, aveva ritratto dal vivo Giovanni Vigevano, 1619, Roma, Santa Maria sopra Minerva; il cardinale Giovanni Dolfin, 1621, Venezia, San Michele all’Isola; François Escoubleau de Sourdis, 1622, Bordeaux, Musée d’Aquitaine des Beaux Arts, e Maffeo Barberini, Roma, San Lorenzo in Fonte – e c’è da ritenere che la sua ricostruzione sia più affidabile che non quella successiva di Baldinucci o del figlio Domenico, dato che nel 1622 il monumento che doveva accogliere il busto di Montoya era ben al di là dall’essere terminato: in data 16 Settembre 1622 si apprende:

Lei yo el segretario un memorial, que decia como Mons. Pedro de Foix Montoia quiere fundar en esta Iglesia una Cappellania anidiendo un Cappellan mas y cometieren. a los SS. Berardo de Cegama, D. Botinete y D. Pedro de Alarcon p. que con los SS. Adm… traten del modo de esta fundacion con e dho mons[8];

i lavori iniziarono infatti materialmente nel ’23 e non finirono se non dopo la morte dello stesso Montoya († 1630), nel 1631.

Se dunque il busto di Montoya è rimasto nella bottega di Bernini a mo’ di campionario, si può meglio comprendere come e quanto, all’epoca, un ritratto così ben eseguito rappresentasse una sorta status symbol veicolo di affermazione sociale.

3. Monumento funebre Montoya, Roma, Santa Maria in Monserrato

In seguito il monumento (Fig. 3) fu traslato nell’altra chiesa della nazione spagnola, Santa Maria di Monserrato. Ora in un ambiente attiguo alla sacrestia, la memoria funebre di Montoya è composta da marmi policromi: due colonnine ioniche sorreggono un timpano spezzato, nel mezzo campeggia la piccola urna sopra alla quale è la nicchia da cui sporge il busto ritratto e, tra i due elementi, l’epitaffio:

D. O. M.

PETRO DE FOIX MONTOYA HISPALENSI

ORTVNIJ DE MONTOYA

ET ELONORÆ DE ARMIJO

 NOBILIVM PARENTVM FILIO

 IN INSIGNI SALMATICENSI ACADEMIA

 IVRIS PONTIFICII LICENTIATO

 VTRIVSQ SIGNATVRÆ REFERENDARIO[9]

Montoya costituisce, si percepisce immediatamente, uno dei più straordinari ritratti da modello vivente licenziati da Bernini.

La mantellina, da cui spuntano le maniche della veste talare, cade in pieghe iperrealistiche: al centro si intravede la fila di bottoni – avanguardia dei tanti che si rivedranno in altri futuri busti licenziati dal maestro – che corre ordinata sino alla gola, sbocciando in un colletto che incornicia il capo come una corolla; in vita una fascia si risolve in un fiocco che vien voglia di tirare per vedere se si scioglie.

4. Gian Lorenzo Bernini, Busto di Pedro de Foix Montoya, Roma, Santa Maria in Monserrato (partic.)

Il Ritratto di Pedro de Foix Montoya è di sconcertante realismo (Fig. 4): l’effigiato emerge dalla parete come se si fosse appena affacciato dalla finestra di casa [10] per vedere chi ha bussato alla sua porta; il volto è segaligno, le guance scavate; sulla pelata sembra quasi potersi intravedere le prime lentigo solari. Le ciglia aggrottate accentuano il contrasto delle cavità orbitarie, dando al suo sguardo un che di inquisitorio; la ragnatela di rughe sulla fronte e nella zona perioculare traccia la mappa biologica del sessantaseienne soggetto; i folti baffi spiovono scomposti da sotto un naso dritto, morbido, scendendo sulla bocca serrata, incorniciata in basso dalla mosca come se nel bel mezzo della colazione se li sia dovuti nettare col tovagliolo per andare a vedere, indispettito, chi è che lo è venuto a disturbare; gli zigomi spigolosi, uniti allo sguardo severo, contribuiscono all’impressione che Montoya fosse un tipo piuttosto casoso. Straordinaria la ricrescita della barba, la minuzia dei capelli e la vividezza dell’iride scavata a goccia; finanche le orecchie sono estremamente accurate: il padiglione auricolare appuntito conferisce al prelato una seppur vaga somiglianza con un nosferatu ante litteram perché, in effetti, l’arte di Bernini è senza dubbio teatro, messa in scena, a cominciare proprio dai ritratti che tutti, anche i più precoci, non sono statici e rappresentano soltanto la porta, o il sipario, di tutto un mondo, mai soltanto il mero dato fisiognomico.

Circa il ritratto di Montoya Fraschetti registrò:

Non è solo qui il paziente lavoro del marmorario che si affatica a rendere il vero ne’ suoi particolari quasi impercettibili, ma è ancora quello dell’uomo di genio che assorbe nella sua sostanza intima le più profonde significazioni fisionomiche, le contempera con le manifestazioni personali del soggetto e, astraendo da queste nelle più acute cose, infonde il palpito dell’anima nella materia bruta[11].

Oltre il busto, Montoya sembra essere stato il primo proprietario delle due teste in marmo note come Anima beata e Anima dannata.

Tra i beni del monsignore infatti, nel dicembre 1619, compaiono “dos medios cuerpos de pietra de estatuas[12]; menzione da alcuni associata appunto ad Anima beata e Anima dannata [13].

Grazie alla mediazione di uno dei confratelli di Montoya, Ferdinando Botinete, le due teste pervennero all’Arciconfraternita della Resurrezione per essere conservate nella sagrestia di San Giacomo degli Spagnoli: al 1637 risale una nota che li colloca, dandone una descrizione un tantino più specifica, in tale sito: “dos testas che rapresentan una el anima en gloria y la otra anima en pena[14]. Vennero citate infine in un inventario del 1680, con l’attribuzione a Bernini:

Mas dos Estatuas de Marmol blanco del Bernino, con sus piedestales de jaspre, son dos testas que rapresentan la una la anima en gloria, y la otra anima en pena & la quales vienes con lo quedejo el D. Botinete a la Iglesia[15].

Nel 1820, quando San Giacomo degli Spagnoli cessò di essere la chiesa nazionale degli Spagnoli, le teste approdarono in Santa Maria in Monserrato, dove è oggi anche il monumento di Montoya, custodite ancora una volta nella sagrestia [16]; nel 1892 furono trasferite nel Palazzo di Spagna, residenza dell’ambasciatore spagnolo presso la Santa Sede e, dopo aver rischiato di andare disperse –

Ma l’ambasciatore di Spagna presso la Santa Sede, dopo aver provato inutilmente di portarli all’estero, gli ha ritirati nel suo palazzo, collocando nella sacrestia della chiesa [San Giacomo], in luogo degli originali, le riproduzioni in gesso de’ medesimi[17]

– nel 1910 tornarono in Santa Maria in Monserrato per essere infine, nel 1943, riportate all’Ambasciata presso cui, da allora, si trovano[18].

L’Anima beata (Fig. 5) è rappresentata da una fanciulla dalla bellezza angelicata: i capelli sono coronati da un serto di rose e serpeggiano ondulati quasi lingue di fuoco animate da Sacro Amore sulle spalle e sul collo pieno, caratterizzato da due o tre “rughe di Venere”; la fronte chiara sembra illuminata dall’alto, cui si rivolgono gli occhi arrovesciati all’indietro in muta contemplazione dell’ineffabile, inesprimibile bellezza del Paradiso, sopraffatti poiché tale vista è umanamente insopportabile e di certo indescrivibile; la bocca è schiusa in intellegibile lode della Beatitudine; il contemplarla doveva infondere, come adesso, serenità.

5. Gian Lorenzo Bernini, Anima beata, Roma, Palazzo di Spagna
6. Gian Lorenzo Bernini, Anima dannata, Roma, Palazzo di Spagna

Anima dannata (Fig. 6) è invece un uomo, giovane ma apparentemente più vecchio, poiché abbrutito dal peccato, rispetto alla soave compagna. Si può facilmente immaginare Anima dannata nell’atto di saltare, agitando scompostamente braccia e mani, quasi un guitto drammaticamente danzante alla musica spietata delle fiamme irreversibili della dannazione cui volge per sempre il tragico sguardo: la testa è volta sul collo tirato in un istintivo allontanamento dalla pena; la bocca altrimenti bella è stravolta in un grido d’angoscia animalesco e disperato; sul naso arricciato le sopracciglia, inarcate al limite del possibile, incastonano occhi funestamente spalancati sull’abisso circa il quale chiunque entri deve abbandonare ogni speranza; le ciocche dei capelli, corpose e attorte, quasi unte, si rizzano frenetiche come serpenti in testa a Medusa specchi delle vertiginose fiamme d’inferno che lo stanno lambendo; il tutto concorre a trasmettere allo spettatore un senso di angoscia e, anche, un latente ammonimento.

Se Anima beata ricorda vagamente certe madonne di Guido Reni nonché la Santa Bibiana dello stesso Gian Lorenzo, di poco successiva (1624, Roma, Santa Bibiana), per Anima dannata sono stati presto proposti confronti con illustri drammatici precedenti quali la Testa d’uomo urlante studio per la Battaglia di Anghiari (1504 ca., Budapest, Szépmuvészeti Museum – Fig. 7) di Leonardo, i cui moti dell’animo erano certamente materia di studio e interesse per il giovane scultore –

Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo, altrimenti la tua arte non sarà laudabile[19] –;

 

7. Leonardo, Testa d’uomo urlante, studio per la Battaglia di Anghiari, Budapest, Szépmuvészeti Museum
8. Michelangelo, Furia, Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe

la Furia o testa urlante (1520-4 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe – Fig. 8) di Michelangelo, regalato da Michelangelo all’amico Gherardo Perini[20], e la Medusa di Caravaggio[21] (Fig. 9).

9. Caravaggio, Medusa, Firenze, Galleria degli Uffizi

Angoscia, furore, terrore, sgomento si ritrovano del resto anche nei dannati del Giudizio universale di Michelangelo (1536-41, Città del Vaticano, Cappella Sistina), il cui tema è strettamente legato a quello di Anima beata e Anima dannata, e Bernini sembra aver recepito tali stimoli drammatizzando l’evento in un’ottica del tutto teatrale i cui prodromi plastici possono essere individuati invece nei gruppi di Niccolò Dell’Arca, Guido Mazzoni, Alfonso Lombardi e Antonio Begarelli.

Dato che l’Anima dannata somiglia per certi aspetti al David (1623-4, Roma, Galleria Borghese) che com’è noto fu eseguito studiando le smorfie allo specchio [22], si è proposto di vedere in essa un precedente autoritratto realizzato in tal modo [23], tuttavia per Anima dannata è più prudente parlare semmai di studio di espressioni piuttosto che di autoritratto vero e proprio (come va fatto nel caso di Caravaggio per Medusa) dato che nessuna fonte riporta, a contrario che per il David, notizie in tal senso per essa. Non c’è assoluta certezza che Montoya abbia commissionato Anima beata e Anima dannata a Bernini, è piuttosto probabile che ne sia stato soltanto il primo proprietario: che Gian Lorenzo cioè abbia scolpito le due teste autonomamente, per sé stesso, e che Montoya le abbia viste e, apprezzandone la bellezza e il tema, le abbia comprate come già successo per il San Lorenzo sulla graticola (1615 ca., Firenze, Gallerie degli Uffizi) che un ancor più giovane Gian Lorenzo aveva scolpito per sé per poi venderlo a Leone Strozzi che se ne era innamorato.

A prescindere dall’originaria destinazione il tema di Anima beata e Anima dannata è senz’altro particolare e trae origine dalla dottrina dei Quattro Novissimi (morte, giudizio, paradiso e inferno)[24], dottrina diffusa anche tramite libri di devozione spesso provvisti di apparati iconografici che invogliavano il credente a contemplare e meditare sul tema del Giudizio intrecciato a quello della Giustificazione.

Anche alcuni busti in cera policroma di Giovanni Bernardino Azzolino, rappresentanti i Quattro Novissimi, che venivano usati a scopo devozionale, ebbero notevole successo e costituiscono un possibile precedente o fonte d’ispirazione plastica per le Anime di Bernini, per le quali è stato proposto un accostamento anche con una serie di incisioni, pubblicata nel 1605, di Alexander Mair [25] in cui le allegorie rappresentate risultano pure molto simili alle teste berniniane, sebbene già nel 1603 Cesare Ripa aveva incluso, nella sua celebre Iconologia, descrizioni di Anima beata e Pena che hanno alcune tangenze con le teste berniniane[26].

Secondo alcuni

I busti berniniani erano senza dubbio destinati a essere utilizzati come immagini devozionali e quindi alla meditazione e contemplazione privata del committente” ritenendo perciò “del tutto improbabile l’ipotesi che i busti fossero stati originariamente destinati al monumento funebre di Montoya[27].

La connessione col monumento di Montoya fu avanzata abbastanza presto [28] ma non è del tutto accolta nemmeno oggi, sebbene precedenti iconografici di monumenti funebri con figure allegoriche ai lati ci siano e pare che quello di Montoya avrebbe dovuto ospitare “due angeli mai realizzati che probabilmente Montoya desiderava allogare allo stesso Bernini[29], che non risultano tuttavia essere mai stati licenziati, né è noto se, nel corso degli anni, il monsignore abbia avuto intenzione di inserire qualcos’altro nel contesto di esso e, eventualmente, cosa e in quale modo. Inoltre Montoya, nel suo testamento (27 maggio 1630), aveva disposto messe in suffragio per le anime del Purgatorio[30], il che rafforza l’ipotesi che le teste fossero di sua proprietà, e non di Botinete († 1632), di cui nel 2015 è stato reso noto il testamento nel quale compare la voce

dos estatuas digo dos caveças blancas con su pedestal de marmol de otro color que son una ninfa y un satiro[31],

accostata alle due teste berniniane con cui tuttavia ha poco in comune:  Anima dannata in particolare, non ha del satiro le caratteristiche e nemmeno la scanzonata malizia; non ha, pur mostrando un accenno di baffi, barba caprina né soprattutto ha orecchie a punta; Bernini avrebbe scolpito, attorno al 1622, una testa di Satiro per risarcire un pezzo antico della collezione Ludovisi (oggi in Palazzo Altemps), e lì le orecchie appuntite si vedono chiaramente. L’estensore del testamento può aver confuso, nella fretta, il soggetto, ma Anima dannata non è un satiro, non lo è mai stato: il suo significato è da ricondurre ai Quattro Novissimi, come quello della sua compagna Anima beata.

Se il tema del Giudizio e Resurrezione, per l’Arciconfraternita di cui Montoya era membro,costituiva uno degli aspetti centrali della devozione[32] può essere contemplata l’ipotesi che, ad un certo punto, egli abbia preso in considerazione di impiegare Anima beata e Anima dannata, che paiono essere state sue sin dal 1619 – sebbene nell’inventario del 1637 non ci siano citate in maniera inconfutabile né è noto in che momento, e perché, Montoya le abbia affidate o regalate al confratello Botinete – al posto dei non realizzati angeli nel contesto del monumento funebre atto a ospitare il busto che Gian Lorenzo gli aveva fatto nel 1622, quasi a costituire un “trio” commemorativo di mano dello stesso geniale scultore: le due teste formano evidentemente un particolare pendant e sembrano convergere verso un comune ipotetico centro, sebbene direzione dello sguardo e attitudine siano agli antipodi, formula questa che la bottega dei Bernini aveva all’epoca già collaudato con successo.

Già nel 1621, infatti, per il cardinale Giovanni Dolfin, ambasciatore di Venezia a Roma, Gian Lorenzo aveva licenziato un busto da porsi nel contesto del monumento funebre affidato alle cure del padre Pietro e della loro bottega: Dolfin tornò a Venezia nel 1621 ove morì l’anno seguente, e il monumento (completato nel 1625) contempla ai lati due figure allegoriche (Fede e Speranza, di Pietro Bernini) e, al centro, il busto di mano di Gian Lorenzo (1621-25, Venezia, San Michele all’Isola). Poco dopo, nel 1622, quasi in contemporanea col busto di Montoya, Gian Lorenzo eseguì quello per il cardinale François Escoubleau de Sourdis, della cui memoria si sarebbe occupata la bottega ponendo al centro il busto dell’effigiato (che Gian Lorenzo aveva ritratto dal vivo come Dolfin e Montoya mentre era a Roma) e, ai lati, due statue raffiguranti l’Annunciazione, ovvero San Gabriele e l’Annunciata: nel caso del monumento di Sourdis (Bordeaux, San Bruno) le due statue laterali convergono verso il centro ove campeggia il busto del titolare (oggi una copia, l’originale è nel Musée d’Aquitaine, Bordeaux). Analoga impostazione sarà adottata infine poco più tardi per il monumento funebre del cardinale Roberto Bellarmino (1623-4, Roma, Chiesa del Gesù): di nuovo al centro il busto – quasi a figura intera e con le braccia congiunte, una novità per la ritrattistica di Gian Lorenzo – e, ai lati, due figure allegoriche (attualmente disperse) di Fortezza (o Sapienza) e Religione, come già visto per Dolfin.

In ogni caso le statue laterali erano di pertinenza della bottega di Pietro, padre di Gian Lorenzo, sebbene si ha notizia di interventi del giovane in alcune di esse: per il monumento Dolfin Baldinucci attribuì allo stesso Gian Lorenzo un angelo ignoto [33]; per il monumento Sourdis gli è attribuito il viso di Gabriele; per il monumento Bellarmino buona parte, se non tutta, della statua raffigurante la Religione[34].

Gian Lorenzo potrebbe, in altre parole, aver licenziato Anima beata e Anima dannata compatibili per una collocazione in un apparato che prevedesse al centro qualcosa cui idealmente guardare: non tanto il busto di Montoya – dato che le Anime, se si accoglie la menzione del 1619 quale prima attestazione e dunque implicita datazione, sono precedenti ad esso – quanto altro che poi, evidentemente, non è stato realizzato forse perché magari Montoya, nel 1622, dopo aver ricevuto il busto, potrebbe aver pensato per un momento di porle nel futuro monumento che aveva nel frattempo commissionato (monumento che alla consegna del ritratto non era ancora stato iniziato e che, al momento della sua morte nel 1630, risultava ancora “a lavori in corso”), per cui non è stato possibile portare a compimento la modifica o il progetto, qualora ci sia mai stato, dell’inserimento di Anima beata e Anima dannata in esso come le statue laterali per i monumenti Dolfin, Sourdis e Bellarmino.

Questo qualcosa potrebbe essere stata una rappresentazione del Giudizio universale: l’attitudine delle Anime è pertinente al tema: immaginando Anima beata a sx dell’ipotetico pannello ecco che risulta guardare in alto, dove sono i santi, i beati e gli angeli e a cui stanno ascendendo i resuscitati salvati; mentre immaginando Anima dannata a dx ecco il suo sguardo volto a guardare terrorizzato la bocca dell’inferno, verso cui i dannati come lui stanno precipitando (Fig. 10).

10. Ipotesi allestimento devozionale per Anima beata e Anima dannata

Perché va ammesso infatti che, pur facendo Montoya parte di un’Arciconfraternita la cui essenza era strettamente legata alla morte e Resurrezione, e quindi al destino dell’anima nell’aldilà e nel Giorno del Giudizio, il tema delle due Anime berniniane non è facilmente conciliabile con una tomba: se l’Anima beata poteva alludere alle qualità e meriti del defunto, e poteva avere quindi un senso, l’Anima dannata di contro avrebbe costituito motivo di comprensibile perplessità nello spettatore. È forse per questo che, alla fine, le due teste non sono state inserite nel monumento pur avendone condiviso per lungo tempo peregrinazioni e spostamenti.

Ad ogni modo Anima beata e Anima dannata costituiscono un’impressionante prova di virtuosismo da parte di un ragazzo che, all’epoca, aveva poco più di vent’anni: motivo in più per andare a vedere due opere che, di solito, non sono accessibili e ammirare il felice connubio di Natura & Invenzione di caravaggesca memoria che rappresentano.

©Claudia RENZI   Roma, 29 Gennaio 2025

NOTE

[1] Justo Fernández Alonso, Obras de Bernini en Santiago de los Espagnoles de Roma. Notas sobre el busto de Mons. Montoya y los del Anima beata y Anima dannata, in: «Anthologica Annua», XXVI-XXVII, 1979-80, pp. 657-678, p. 666.
[2] Irving Lavin, Five youthful sculptures by Gian Lorenzo Bernini and a revised chronology of his early works, in: «The Art Bulletin», L, 1968, pp. 223-248, p. pp. 239-240, nn. 111-114; J. Fernández Alonso, 1979, pp. 660-661; Rudolf Wittkower, Bernini. Lo scultore del Barocco romano, Milano, 1990 [già Londra, 1966], p. 237.
[3] Si riconduce l’attribuzione a Torriani sulla base di una postilla a margine del manoscritto di Fioravante Martinelli Roma ornata dall’architettura, Pittura e Scoltura, p. 63. Il manoscritto fu pubblicato da Cesare D’Onofrio, Roma nel Seicento, Roma, 1969; cfr. Howard Hibbard, Bernini, Harmondsworth, 1965, p. 237, n. 64.
[4] J. Fernández Alonso, 1979, pp. 661-2, 675-8; Irving Lavin, Anima beata e Anima dannata, in: Past Present, Essay on Historicism in Art from Donatello to Picasso, Berkeley-LA- Oxford, 1993, pp. 101-136, pp. 125-9, Docc. 8, 9.
[5] Filippo Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernini, Firenze, 1682, p. 76.
[6] Domenico Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernini, Roma, 1713, p. 16.
[7] Paul Fréart de Chantelou, Viaggio del Cavalier Bernini in Francia, Palermo, 1988 (17 agosto 1665).
[8] I. Lavin, 1968, p. 240, n. 111, Roma, Archivio dell’Instituto Espagñol de Estudios Eclesiásticos (d’ora in poi AIEE), Busta 1191, f. 91.
[9] Dell’iscrizione rende testimonianza Vincenzo Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, Roma, 1869-1884, III, p. 247, n. 613; J. Fernández Alonso, 1979, p. 664.
[10] Tomaso Montanari, Gian Lorenzo Bernini, Roma, 2004, p. 22.
[11] Stanislao Fraschetti, Il Bernini. La sua vita, la sua opera, il suo tempo, Milano, 1900, p. 14.
[12] J. Fernández Alonso, 1979., p. 668; I. Lavin., 1993, p. 125, Doc. 2.
[13] I. Lavin, 1993, pp. 101, 125, Doc. 1. Accoglie datazione al 1619 anche R. Wittkower, 1990, p. 233.
[14] J. Fernández Alonso, p. 668; I. Lavin, 1993, p. 129, Doc. 10.
[15] AIEE, Busta 1333, f. 134v, in: I. Lavin, 1968, p. 240, n. 14.
[16] J. Fernández Alonso, 1979, pp. 671-2.
[17] S. Fraschetti, 1900., p. 14.
[18] J. Fernández Alonso, 1979, pp. 673-4, 678-687, Doc. 2.
[19] Leonardo, Trattato della Pittura, § 290.
[20] Rudolf Preimesberger, Eine grimassierende Selbstdarstellung Berninis, in: Irving Lavin (a cura di), World Art. Themes of Unity in Diversity, Acts of the XXVth International Congress of History of Art (Washington 1986), University Park, 1989, pp. 415-423, p. 416; I. Lavin, 1993 p. 109.
[21] R. Preimesberger, 1989, p. 419.
[22] F. Baldinucci, 1682, p. 8; Domenico Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernini, Roma, 1713, p. 16.
[23] R. Wittkower, 1966, pp. 2-3; Idem, op. cit., 1990, pp. 12, 20-21, 233.
[24] Su questo tema si veda Lutz Malke, Zur Ikonologie der Vier letzen Dinge vom ausgehenden Mittlalter bis zum Rokoko, in: «Zeithschrift des Deutschen Verenis für Kunstwissenschaft», XXX, 1976, pp. 44-66, pp. 44-58; R. Preimesberger, 1989, pp. 415-423, pp. 415-16; I. Lavin, 1993, pp. 102-3.
[25] Sebastian Schütze, Anima Beata e Anima Dannata, in: Anna Coliva (a cura di), Bernini scultore. La nascita del barocco in casa Borghese, Roma, 1998, pp. 148-169, p. 161.
[26] Segnalate da I. Lavin, 1993, p. 124.
[27] S. Schütze, 1998, p. 160.
[28] Da J. Fernández Alonso, 1968, p. 106; I. Lavin, 1993, pp. 102-3 (ma già nel 1968).
[29] Vittoria Brunetti, Bernini: amici e committenti. Repertorio, in: Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, Roma, 2017, pp. 368-408, p. 397.
[30] David Garcia Cueto, Gian Lorenzo Bernini, Pedro de Foix Montoya y el culto a las Ànimas del Purgatorio, in: AA. VV., Dal Razionalismo al Rinascimento. Per i quaranta anni di studi di Silvia Danesi Squarzina, Roma, 2011, pp. 323-29.
[31] D. Garcia Cueto, On the Original Meanings of Gian Lorenzo Bernini’s ‘Anima beata’ and ‘Anima dannata’: ‘Ninfa’ and ‘Satyr’?, in: «The Sculpture Journal», XXIV, 2015, pp. 37-53, pp. 42, 52 n. 24.
[32] S. Schütze, 1998, p. 161.
[33] F. Baldinucci, 16.82, p. 103, alla voce “Statue di marmo” elenca un “Angiolo al sepolcro del cardinale Delfino”.
[34] F. Baldinucci, 1682, p. 104, alla voce “Statue di marmo” cita “Del cardinale Bellarmino al Gesù” e, alla riga seguente, “Della religione nel deposito di d[etto] cardinale al Gesù”.

BIBLIOGRAFIA

  • VV., Dal Razionalismo al Rinascimento. Per i quaranta anni di studi di Silvia Danesi Squarzina, Roma, 2011
  • VV., La Spagna a Roma. L’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede. Bernini in Vaticano, Spagna, 2024
  • Andrea Bacchi, Anima beata e Anima dannata (scheda), in: Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, Roma, 2017, pp. 44-47
  • Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, Roma, 2017
  • Andrea Bacchi, Tomaso Montanari, Beatrice Paolozzi Strozzi, Dimitros Zikos (a cura di): I marmi vivi. Bernini e la nascita del ritratto Barocco, Firenze, 2009
  • Anna Coliva (a cura di), Bernini scultore. La nascita del barocco in casa Borghese, Roma, 1998
  • Cesare D’Onofrio, Roma vista da Roma, Roma, 1967
  • Cesare Ripa, Iconologia overo Descrittione di diverse Imagini cavate dall’antichità & di propria inventione, trovate & dichiarate da Cesare Ripa Perugino, Cavaliere de santi Mauritio & Lazaro di nuovo revista & dal medesimo ampliata di 400 & più Imagini et di Figure d’intaglio adornata, Roma, 1603
  • David Garcia Cueto, Gian Lorenzo Bernini, Pedro de Foix Montoya y el culto a las Ànimas del Purgatorio, in: AA. VV., Dal Razionalismo al Rinascimento. Per i quaranta anni di studi di Silvia Danesi Squarzina, Roma, 2011, pp. 323-29
  • David Garcia Cueto, On the Original Meanings of Gian Lorenzo Bernini’s ‘Anima beata’ and ‘Anima dannata’: ‘Ninfa’ and ‘Satyr’?, in: «The Sculpture Journal», XXIV, 2015, pp. 37-53
  • Delfin Rodriguez Ruiz, Gian Lorenzo Bernini, Roma e la monarchia ispanica, in: AA. VV., La Spagna a Roma. L’Ambasciata di Spagna presso la Santa Sede. Bernini in Vaticano, Spagna, 2024, pp. 83-131
  • Maria Grazia Bernardini, Bernini. Catalogo delle sculture, Torino, 2023
  • Domenico Bernini, Vita del Cavalier Gio. Lorenzo Bernini, Roma, 1713
  • Filippo Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio. Lorenzo Bernini, Firenze, 1682
  • Howard Hibbard, Bernini, Harmondsworth, 1965
  • Irving Lavin (a cura di), Gian Lorenzo Bernini. New Aspects of his Art and Thought, Londra, 1985
  • Irving Lavin (a cura di), World Art. Themes of Unity in Diversity, Acts of the XXVth International Congress of History of Art (Washington 1986), University Park, 1989
  • Irving Lavin, Anima beata e Anima dannata, in: Past Present, Essay on Historicism in Art from Donatello to Picasso, Berkeley-LA- Oxford, 1993, pp. 101-136
  • Irving Lavin, Bernini and the Unity of the Visual Arts, NY-London, 1980
  • Irving Lavin, Five youthful sculptures by Gian Lorenzo Bernini and a revised chronology of his early works, in: «The Art Bulletin», L, 1968, pp. 223-248
  • Justo Fernández Alonso, Obras de Bernini en Santiago de los Espagnoles de Roma. Notas sobre el busto de Mons. Montoya y los del Anima beata y Anima dannata, in: «Anthologica Annua», XXVI-XXVII, 1979-80, pp. 657-678
  • Justo Fernández Alonso, Santa Maria di Monserrato, Roma, 1968
  • Lutz Malke, Zur Ikonologie der Vier letzen Dinge vom ausgehenden Mittlalter bis zum Rokoko, in: «Zeithschrift des Deutschen Verenis für Kunstwissenschaft», XXX, 1976, pp. 44-66
  • Maurizio Fagiolo Dell’Arco, Marcello Fagiolo, Una introduzione al gran teatro del barocco, Roma, 1967
  • Paul Fréart de Chantelou, Viaggio del Cavalier Bernini in Francia, Palermo, 1988
  • Rudolf Preimesberger, Eine grimassierende Selbstdarstellung Berninis, in: Irving Lavin (a cura di), World Art. Themes of Unity in Diversity, Acts of the XXVth International Congress of History of Art (Washington 1986), University Park, 1989, pp. 415-423
  • Rudolf Preimesberger, Themes for Art Theory in the early Works of Bernini, in: Irving Lavin (a cura di), Gian Lorenzo Bernini. New Aspects of his Art and Thought, Londra, 1985, pp. 1-14
  • Rudolf Wittkower, Lo scultore del Barocco romano, Milano, 1990
  • Rudolf Wittkower, The sculptor of Roman Baroque, Londra, 1966
  • Sebastian Schütze, Anima Beata e Anima Dannata, in: Anna Coliva (a cura di), Bernini scultore. La nascita del barocco in casa Borghese, Roma, 1998, pp. 148-169
  • Stanislao Fraschetti, Il Bernini. La sua vita, la sua opera, il suo tempo, Milano, 1900
  • Tomaso Montanari, Gian Lorenzo Bernini, Roma, 2004
  • Vincenzo Forcella, Iscrizioni delle chiese e d’altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai giorni nostri, Roma, 1869-1884
  • Vittoria Brunetti, Bernini: amici e committenti. Repertorio, in: Andrea Bacchi, Anna Coliva (a cura di), Bernini, Roma, 2017, pp. 368-408