di Giulio de MARTINO
L’arte politica di Nordine Sajot e il Sacro Cuore delle donne
Nelle arti visive del ‘900 – oltre alle distinzioni tra autori e correnti riferibili ai mezzi e ai linguaggi – si può tracciare una più ampia demarcazione fra l’arte orientata verso la libera fruizione – quindi verso il collezionismo, il mercato e i mass media – e l’arte orientata verso il sociale e animata dall’impegno politico e ideologico. In particolare, quello del rapporto fra arte e politica, arte e società, è stato uno dei dilemmi più laceranti nelle neoavanguardie artistiche degli anni ’60 e ’70 a cominciare dalla Pop Art.
Oggi che siamo in epoca totalmente diversa e, soprattutto, ora che i mass media e le tecnologie sono tutt’altre rispetto a quelle di secondo ‘900, la distinzione fra l’arte di design e di ricerca linguistica e l’arte sociale (di strada, di lotta e di denuncia) rimane valida solo se assume contorni e valenze differenti. Per la Sajot il punto di crisi è diventato la diffusione in Occidente di una onnifagia immaginale, di una bulimia massmediale che dilatano a dismisura – ricordiamo che fu una intuizione di Pier Paolo Pasolini – il campo dell’alimentazione, del cucinare e del cibarsi fino ad includere in esso tutte le forme della relazione sociale.
Le fotografie di Nordine Sajot (nata a Parigi, vive e lavora a Roma) si collocano nei bordi dell’arte politica, ma la politicità è adesso replicata per la moltitudine digitalizzata dei fruitori/utenti. La fotografia – divenuta un file di immagine – resta per Sajot un decisivo punto di passaggio: quasi una nostalgia del reportage. Ma la produzione – nata con intenzione antropologica e critica della società – non esibisce un piglio intellettualistico e neppure una scoperta carica ideologica. Rimane – come tutto – impigliata nel gioco della comunicazione con i suoi inarrestabili overcrossing, condivisoni e «copy and paste».
In un momento in cui, per la mirabile pandemia che attraversa il Pianeta, sono sospese mostre, esibizioni e presentazioni, la serie di immagini di Sajot intitolate: 07 DOLORI e 07 DOLORI #COVID19 non può altro che manifestarsi su internet: nei canali social di Instagram e Face book. Ed è quindi via web che mi è pervenuta, con la segnalazione di Brigida Mascitti. Sono meteore/metafore fotografiche che viaggiano nel cyberspazio in cui l’elemento ideologico decostruttivo e femminista si presenta sotto forma di torsione concettuale dell’immagine.
La serie è in sviluppo dal 2015 e tende a interiorizzare sempre nuovi elementi. Lo strato di base è rappresentato da una sorta di ex-voto tribale costruito dalla Sajot stessa: un cuore trafitto da sette coltelli. Fu presentato, per la prima volta, a Roma il 26 Maggio 2019 alla Galleria d’Arte Moderna di via Crispi 24. Si tratta di un Cuore Sacro posto nel corpo delle donne – come accadde a quello di Caterina da Siena – che ha come raggi non i segni di Cristo ma una corona di lame. La foto dell’ex-voto è stata poi impressa su semplici t-shirt di cotone bianco fatte indossare a donne, per lo più appartenenti al mondo dell’arte e della cultura, fotografate dalla Sajot per accostare successo e violenza, gioia e panico.
Nell’ultima evoluzione la Sajot ha chiesto alle sue modelle di aggiungere alla t-shirt una «mascherina» e di farsi un autoritratto – oggi si direbbe un Selfie – ambientato nel contesto del proprio isolamento e della propria immobilità civile, e di condividerlo.
Ne viene fuori un peculiare meme – o per restare in contesto devozionale: una «catena di sant’Antonio» – che suggerisce il sorridere, un ironico esistere che, però, porta con sé un oscuro dolore.
Giulio de MARTINO Roma 31 maggio 2020