di Claudio LISTANTI
Don Carlos a Liegi. Le interviste con alcuni dei principali protagonisti
A corredo della nostra recensione del Don Carlos di Verdi andato in scena al Teatro dell’Opéra Royal de Wallonie a Liegi pubblichiamo le interviste che il direttore artistico e regista dello spettacolo Stefano Mazzonis di Pralafera assieme al direttore d’orchestra Paolo Arrivabeni ed al tenore Gregory Kunde, tra i protagonisti principali dell’opera, hanno concesso ad aboutartonline il giorno precedente alla prima, per approfondire alcuni aspetti dello spettacolo e dell’esecuzione, ringraziandoli per la disponibilità
A Stefano Mazzonis abbiamo chiesto notizie sulla impostazione dello spettacolo e sulla scelta della versione
“Oggi vediamo nel teatro d’opera molte realizzazioni discutibili. Vorremmo sapere quale sarà la sua scelta”
“La mia scelta è ‘tradizionale’ con più di 400 costumi diversi, tutti rigorosamente d’epoca, ripresi da quadri d’epoca; ogni corista ed ogni personaggio dell’opera ha un costume diverso salvo i sei soldati che hanno una divisa e i macchinisti che hanno una specie di piccola uniforme ma tutti gli altri hanno dei costumi rigorosamente diversi; le 8 scene in realtà sono sette perché nel libretto quella del secondo e del quinto atto sono uguali; i cambi di scena poi sono molto rapidi in modo che il pubblico non abbia modo di annoiarsi. Sono dell’opinione che chi viene all’Opera voglia sognare e voglia vedere dei costumi, del fasto; di scene che son riprese dalle vicende dell’attualità la gente non ne può più; viene all’opera per distrarsi non per rivedere cose che vede abitualmente. Questa è la mia opinione. So che ci sono molto miei colleghi, sia direttori d’opera che registi, che la pensano differentemente; io rispetto le idee di tutti ma vanno rispettate anche le mie che non appartengo al vecchio stile, perché la mia è una regia diciamo tra virgolette ‘tradizionale’ ma che mette una punta di modernità appunto nelle scene, di essenziale. Come si è visto in altre edizioni recenti del Don Carlos, 5 atti non si possono reggere con una scena unica, bisogna che l’occhio del pubblico venga accontentato.”
Non sa il piacere che ho sentendo queste parole, finalmente, perché quasi ovunque vedo realizzazioni sceniche incredibili. Poi credo che Don Carlos sia legato all’epoca che rappresenta
“Ma certo. Quando sono contesti storici vanno rispettati.”
Don Carlos è un grand operà e non si può fare in maniera diversa
“Certo, oltretutto abbiamo fatto la scelta ardita di proporre la versione originale di Verdi, come è già accaduto per essere onesti sia a Parigi che a Lione, forse ora anche in Germania ma non altrove che mi risulti”
Io quella di Lione l’ho vista, debbo dire che era quasi completa hanno tagliato la metà dei balletti e un momento della scena dell’autodafé.
“Ma i balletti nella versione originale non c’erano”
Si lo sapevo. Da quello che ho letto si tratta della versione del 1866
“Si quella che Verdi ha consegnato all’Operà di Parigi”
Quindi ci sono gli 8 pezzi che furono in seguito espunti ma non c’è il balletto. Ma non credo che Verdi pensasse di non metterlo. Era solo una cosa contingente.
“La storia è molto confusa, non dico complicata ma intricata. Verdi arriva e presenta questa partitura. Le prove all’epoca durarono sei mesi. L’opera di Parigi gli chiede di comporre un balletto e lui accetta. Compone questo balletto ma al momento della prima il direttore dell’Opera di Parigi si rende conto che l’opera intera è troppo lunga. Quindi Verdi sopprime otto pezzi e fanno una versione della prima in cui c’è il balletto ma non ci sono gli otto pezzi. Quindi si deve scegliere se fare la versione della prima senza gli otto pezzi ma con il balletto. Ma tra gli otto pezzi c’è lo scambio del velo e della maschera tra Elisabetta ed Eboli. C’è il Lacrimosa. Bisognerebbe fare delle rinunce. D’accordo con il maestro Arrivabeni abbiamo deciso di fare la versione che Verdi consegnò e che si chiama la ‘versione delle prove, durante le quali il balletto non si è mai provato. E pare che a partire della seconda abbiano eliminato il balletto e ripristinato gli otto pezzi. Poi l’opera non ebbe successo e tutto si è risolto.”
Da quello che capisco avete fatto una scelta chiara.
“Si. Poi c’è Abbado che ha le parti che Verdi ha rivisitato e ricomposto nelle versioni non francesi ma nelle versioni italiane. La prima è molto zoppa, la seconda zoppica un po’ meno ma zoppica sempre, ci hanno messo le mani Verdi stesso, Ghislanzoni fu chiamato per rimetterci le mani, poi c’è la versione di Modena in cui Verdi ripristina il primo atto che lui stesso aveva tagliato sia nella versione di Napoli che in quella della Scala. E se non si vede il primo atto, cosiddetto di Fontainebleau dove Elisabetta e Carlo si vedono per la prima volta e si innamorano l’uno dell’altro, poi non si capisce il seguito dell’opera e quell’atto è indispensabile per comprendere il contesto.”
Poi non si capisce la rinuncia che Elisabetta deve fare per sposare Filippo, il tutto per il bene della Francia
“Perché c’era la pace. Il primo atto è indispensabile. Poi l’opera è stata composta in lingua francese; la prosodia e la metrica sono basate sulla lingua francese che Verdi, bisogna saperlo, conosceva benissimo, era padrone della lingua francese. E poi sul libretto francese, Verdi ha messo la mano pesantemente e rispetto alla tragedia di Schiller ha aggiunto e tolto personaggi e scene; ha aggiunto momenti. L’Ella giammai m’amò, Elle ne m’aime pas! in francese, che è la grande aria di Filippo II al quarto atto è un capolavoro che perfino gli esegeti di Schiller citano nelle loro note quando parlano della tragedia originale che io ho letto per ben tre volte per entrare nello spirito dell’autore, per capire che cosa Verdi e per quali ragioni aveva cambiato non la storia nella sua trama generale, ma dei dettagli importanti.”
Prima di essere da lei ho letto dell’utilizzo in scena dei levrieri.
“Si perché nei ritratti di Filippo II ci sono i levrieri, che sono dei cani da caccia”
Che nell’edizione di Visconti c’erano
“E’ un piccolo omaggio a Visconti”
Noi a Roma siamo molto affezionati alla messa in scena di Visconti
“L’avevo vista. Cesare Siepi che faceva Filippo II. Inarrivabile ma era in cinque atti e in italiano. Il mio è un omaggio a Visconti ed una strizzatina d’occhio verso quella edizione.”
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Al Maestro Paolo Arrivabeni abbiamo chiesto le ragioni delle scelte per questo capolavoro
E’ la prima volta che dirige al Teatro dell’Opera di Liegi?
“No sono stato Direttore Musicale dal 2008 al 2017. Facevo tre opere ogni anno più i concorsi e le audizioni. Mi occupavo intensamente della vita musicale del teatro al quale sono molto affezionato perché mi ha dato tanto ed al quale ho dato tanto. C’è un legame con Stefano Mazzonis, siamo amici. Dopo che sono partito mi ha subito invitato per fare Macbeth sono tornato adesso per fare Don Carlos e abbiamo un progetto in futuro che non svelerò.”
Sono d’accordo. Meglio venire a conoscenza delle cose quando sono ufficiali. Don Carlos o Don Carlo: per noi ascoltatori c’è sempre un problema, quello della versione adottata per l’esecuzione. Mazzonis mi ha detto che avete scelto l’edizione 1866 che è quella, diciamo, originaria dalla quale è partito tutto. Ci può dire qualcosa in merito?
“Le versioni direi che fondamentalmente sono tre perché Don Carlos si può assemblare in vari modi. Io ho diretto sempre la versione in quattro atti in italiano che, fra l’altro, è la più eseguita”
Si. Almeno fino a poco tempo fa.
“Esattamente. La versione francese in cinque atti è quella che ha un suo perché. E’ quella che ha inciso Abbado con Domingo ed è la versione allargata rispetto a quella in quattro atti perché c’è un atto in più quello cosiddetto di Fontainebleau che spiega cosa succede prima del primo atto in italiano. Ma qui che cosa abbiamo fatto in accordo con Stefano Mazzonis? Abbiamo recuperato tutte le parti che sono state espunte nel 1866 dopo la prova generale. C’è una notevole quantità di musica che raramente si è sentita perché non viene quasi mai eseguita. Tant’è che nella mia partitura che è in 5 volumi, enorme, le parti che sono state eliminate non sono stampate ma scritte a mano per cui, visivamente, si capisce ciò che è stato sempre fatto da ciò che non è stato fatto. E’ stata eliminata della musica che è di una bellezza stratosferica. Pensiamo solamente al I atto con questa introduzione strumentale insieme al coro dei ‘boucherons’ che è una musica bellissima. Dopo la morte di Rodrigo che nella versione italiana tutto viene risolto in cinque secondi qui arriva Filippo.”
Questo punto secondo me è la cosa più bella di questi straordinari recuperi tema che Verdi ha utilizzato per il Requiem.
“Si nel Lacrimosa. La pagina è ‘straziante’ perché coinvolge tutto il cast di cantanti, il coro, l’orchestra. Una pagina di una bellezza assurda. Quando l’ho provato con quelli dell’orchestra ma han detto ‘noi l’abbiamo già sentito ma che cos’è? Ma è il Lacrimosa!”
Avete fatto anche la scelta di non eseguire il balletto in quanto nell’edizione adottata non è presente. Debbo dire che, per opinione personale, il balletto è necessario.
“C’è pure una questione di tempistica. Sono già 4 ore di musica senza il balletto; con esso arriveremo a 4 ore e mezzo.”
Si il balletto è sostanzioso. Ma è anche un balletto che, a parte quello dell’Aida, è inserito nella struttura, nel tessuto connettivo.
“Io trovo che anche quelli del Macbeth siano strepitosi.”
Si quelli del Macbeth sono belli ma è un guaio non farli.
“Si purtroppo. Ho fatto molti Macbeth e pochi tengono il balletto. Mi son dovuto battere per fare il balletto. Forse l’ascoltatore moderno viene distratto dalla drammaturgia se mettiamo il balletto? All’epoca era un motivo per poter ritirarsi nei retropalchi per poter mangiare qualcosa.”
Oppure per seguire le ballerine…
“Certo. Io recentemente sono andato a Parma a dirigere al Festival Verdi I due Foscari. Al Regio ho visto che ci sono questi retropalchi. Ho chiesto al ristoratore del teatro: questi li usavano? No questi li usano! Mi ha risposto.”
Parliamo di una città particolare.
“Gaudente. Mi ha anche detto Lei non ha idea di quanti piatti di tortelli ho dovuto portar su durante l’opera! C’è quindi un fatto sociale.”
In definitiva qui è stata scelta l’edizione 1866 dove il balletto non c’era.
“Esatto!”
Per il resto è tutto completo?
“E’ tutto completo. Io e Stefano Mazzonis abbiamo riflettuto molto sull’edizione da adottare. Questa è la più completa e visto che si fa uno sforzo enorme di scenografia, costumi, orchestra, coro è giusto fare una edizione il più completa possibile; sono contento perché è un grande sforzo, oltre alla parte musicale anche scenografia e costumi, per la città di Liegi. Per la prima volta iniziamo alle 19 superando la tradizione di inizio alle ore 20.”
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A Gregory Kunde abbiamo chiesto del suo debutto nella difficile parte dell’Infante di Spagna
Siamo molto ansiosi di assistere a questa rappresentazione di Don Carlos. Mi diceva Mazzonis che la messa in scena è tradizionale.
“Si molto”
Siamo disabituati a cose del genere
“Si per me è molto bello fare un’opera come Verdi ha scritto. Poi questa è l’edizione francese, integrale, versione di Parigi ma senza balletto. Per me è stata una bellissima esperienza”
So che ci sono molto costumi
“Ho detto ai costumisti quando sono arrivato e ho fatto la prima prova dei costumi: non so quanti anni sono che non metto costumi così, dai bellissimi dettagli. Questo teatro mi sembra sempre molto tradizionale senza controversie. E’ quello che mi piace. Quattro o cinque anni fa ho fatto una Luisa Miller molto tradizionale poi una Norma un po’ diversa ma non troppo.”
Il Don Carlos è legato ad un momento storico con personaggi precisi
“Esatto! Quello è il Don Carlos”
Per me la parte di Don Carlos è una delle più difficili della produzione verdiana. E’ la prima volta che la interpreti?
“Esatto. Non l’ho mai fatta né in francese né in italiano.”
Un vero peccato perché la tua voce mi sembra indicata per questo ruolo.
“Io ho iniziato molto tardi questo repertorio verdiano.”
Lo so perché tu vieni da Rossini. Mi ricordo il Guillaume Tell a Pesaro
“Si eravamo nel 1995. 25 anni fa. Ho fatto sempre ‘belcanto’ e non avevo mai pensato a questo repertorio. Quando ho iniziato a frequentarlo 9 anni fa a Torino con i Vespri Siciliani, mi dicevano: devi affrontare Don Carlos. Ma non me lo hanno offerto. Ho affrontato prima Vespri, Ballo in maschera e Otello. Ho aspettato abbastanza tempo, secondo me il tempo giusto. Il personaggio di Don Carlos è un ‘infante’ aveva 22 – 23 anni
E’ morto a 23 anni.
“Eh si in pratica aveva l’età di mia figlia. Ma credo di avere la ‘joie de vivre’ per fare questo personaggio specialmente con questo cast incredibile. La musica è proprio Verdi ma con un po’ di belcanto perché lui ha un’arietta ma abbastanza difficile perché piuttosto alta, con una tessitura un po’ alta, però ci sono due o tre momenti drammatici, come il confronto con il padre alla fine del IV atto, come Chenier.”
Siamo lontani dal belcanto come si intende oggi
“A quel punto si. Però i duetti con Elisabetta sono proprio Belcanto”
Poi la parte è anche ‘sostanziosa’ quantitativamente.
“Esatto. Ma c’è una cosa difficile da dire. Prima di questo ho fatto Otello al Covent Garden e dall’Otello al Don Carlos c’è uno spazio grande in mezzo. Però tornando indietro e anche in francese, una lingua che mi piace molto da cantare, Guillaume Tell che hai citato, poi Mayerbeer, Gounod, Massenet, è una lingua con la quale mi trovo bene; ho fatto anche Les vêpres siciliennes.”
Verdi conosceva molto bene il francese.
“Si è vero tutte le opere che ha fatto per Parigi, i grand opéra, sono tutti capolavori. Nel Don Carlos ci sono pezzi incredibili, indimenticabili, come l’Autodafè: sono 20 minuti incredibili.”
Si poi lì c’è l’acuto del tenore che per te è facile
“In Verdi non esiste un do, non ha mai scritto in do, ma un si, naturale si. Se hai cantato solo Verdi ed il verismo, un si naturale non crea un problema per me fino a questo punto, piuttosto le parti più centrali.”
Poi c’è molto declamato
“Si alla fine, dopo la prima parte dell’opera. Ma nella prima parte, come nel primo atto di Luisa Miller per me è come Donizetti. Qui il duetto con Elisabetta nel primo atto , che non esiste nella versione in quattro atti, è molto importante per il dramma, per capire l’amore che lui ha per Elisabetta, l’amore di un giovane che lui sente ma lei no; ma poi si vede che questo amore può avere uno sviluppo.”
Ma poi c’è la rinuncia di lei per motivi di stato, per la guerra in atto. Da li si capisce tutto quello che viene dopo.
“Si esatto. Ma la musica in special modo. Senza il primo atto, che è un terzo della parte, l’opera sarebbe meno comprensibile.”
Prossimi impegni? Con Verdi in particolare e con l’opera italiana in generale?
“Quest’anno sarà un bell’anno di opera italiana. Sarò impegnato con due edizioni di Turandot (una a Roma ndr), due di Otello, poi Pagliacci e Cavalleria Rusticana negli Usa, due di Trovatore.”
Certo impegnativo. Da grande tenore di una volta.
“Abbastanza. Sono stato ‘benedetto’ per fare questo repertorio a fine carriera. Grande soddisfazione dopo 25 anni di belcanto fare musica con grandi cantanti e grandi direttori.”
Arrivare a fine carriera con una voce fresca come sentiamo in teatro
“E’ Dio!”
A parte Dio è pure la tecnica di canto e misurare gli impegni.
“Mi hanno insegnato cantanti come Kraus di fare attenzione. La voce svilupperà ma a 50 anni conoscerai il repertorio giusto per te. Aveva ragione. A 57 anni ho fatto il debutto con i Vespri siciliani.”
Pure i Vespri siciliani non scherzano.
“Si è vero. C’è chi dice che se si cantano i Vespri si può fare tutto il repertorio verdiano perché è la cosa più lunga, più alta e più drammatica, più di Otello.”
La difficoltà di Otello non sta negli acuti.
“E’ vero, sta nel dramma”
Nel declamato espressivo e nelle note gravi che per il tenore sono difficili
“Si certo. Comunque spero ti piaccia lo spettacolo. E’ bellissima la messa in scena e i cantanti sono tutti bravi, le due donne, la Auyanet e la Aldrich, Scandiuzzi e D’Arcangelo con il quale ho debuttato assieme in Semiramide a Pesaro nel 1992.”
Prevedi un ritorno a Rossini?
“Probabilmente no. Forse per dirigerlo.”
Claudio LISTANTI Liegi 9 febbraio 2020