di Carla ROSSI
Anticipo qui, in italiano, alcuni risultati di recenti indagini archivistiche in merito alle date di nascita e di morte di Sofonisba Anguissola,[1] di cui fornirò maggiori dettagli in un articolo in inglese, di prossima pubblicazione, per la rivista Theory and criticism of Literature & Arts.
Ancora nella recente rassegna organizzata a Madrid, svoltasi dall’ottobre del 2019 al febbraio del ’20, per celebrare i duecento anni del Prado attraverso le opere di due artiste italiane, Sofonisba Anguissola e Lavinia Fontana, l’anno di nascita della prima è indicato approssimativamente attorno al 1535.
La vexata quæstio della data di nascita della pittrice cremonese è dibattuta dagli inizi del Novecento ed affrontata dettagliatamente nel 1928 da Carlo Bonetti.[2]
Eppure, si tratta di un dubbio assolutamente ingiustificato, se si considera che da almeno quattro secoli siamo in possesso di ben due documenti dirimenti per stabilire l’anno in cui Sofonisba venne al mondo, a Cremona, nella cosiddetta Vicinanza di San Bartolomeo,[3] primogenita di Amilcare Anguissola e Bianca Ponzoni.
Purtroppo, le continue citazioni secondarie della trascrizione errata di un documento di mano di Antoon Van Dyck, hanno generato, nel tempo, un’empasse da cui gli storici dell’arte non sono più stati in grado di riemergere (né per quanto concerne le date del soggiorno palermitano del fiammingo, né quelle degli ultimi anni di vita di Sofonisba).
Il documento a cui mi riferisco, redatto in italiano, a penna e inchiostro marrone, è contenuto alla c. 113[4] del Taccuino italiano (di 121 fogli) autografo del pittore di Anversa, oggi custodito presso il British Museum, sotto la segnatura 1957,1214.207.110 (fig. 1).
Trascrivo qui di seguito, sciogliendo le abbreviazioni, il testo di questa carta del diario del pittore fiammingo, il cui originale è consultabile, con possibilità di zoom all’interno del documento, liberamente online:[5]
Rittratto della Signora Sofonisma pittricia, fatto dal vivo in Palermo l’anno 1629, li 12 di Julio: l’età di essa 96, havendo ancora la memoria et l’serverllo prontissimo, cortesissima, et sebene per la vecc[h]iaia la mancava la vista, hebbe con tutto ciò gusto de mettere gli quadri avanti ad essa et con gran stento mettendo il naso sopra il quadro, venne a discernere qualche poco. Et pigliò gran piacere ancora in quel modo; facendo il ritratto de essa, me diede diversi advertimenti non dovendo pigliar il lume troppo alto, acciò che le ombre nelle rughe della vecc[h]iaia non diventassero troppo grandi, et molti altri buoni discorsi, come ancora contò parte della vita di essa per la quale si conobbe che era pittora de natura et miraculata et la pena magiore che hebbe era per mancamento di vista non poter più dipingere: la mano era ancora ferma senza tremula nessuna.
Il problema relativo a questo documento è che tutti coloro che lo citano, purtroppo nessuno escluso,[6] piuttosto che controllare di persona l’originale, non hanno fatto che basarsi su una trascrizione errata, imputabile (da quanto ho ricostruito) nel 1915 a Sir Herbert Cook, ripresa dal già citato Bonetti, da Gert Adriani[7] nel 1940, e da lì in avanti citata di seconda mano e mai più corretta (tanto che l’errore figura persino nel sito del museo britannico, cfr. fig. 2).
Cook, che fu proprietario per un certo periodo del Taccuino italiano di Van Dyck, lesse 1624 anziché 1629, come invece è palese nella carta che riproduco (figg. 3 e 3bis) e questo generò, a cascata, una serie di interpretazioni errate e fraintendimenti, che hanno spinto addirittura alcuni critici a sostenere che l’Anguissola, in occasione della visita del giovane pittore fiammingo, non ricordasse più con esattezza la propria età, a causa della vecchiaia (il che risulterebbe in palese contrasto con quanto riportato dallo stesso Van Dyck in merito alla memoria et l’serverllo prontissimo dell’anziana pittrice).
Ogni dubbio su come Van Dyck scrivesse il numero quattro e il numero nove è sciolto consultando lo stesso Taccuino italiano: ad esempio, a pagina 124, oltre al numero della carta (fig. 4), appare un calcolo effettuato dal pittore (fig. 5). Solitamente il numero nove, di modulo medio, è tracciato dall’artista con ductus corsivo, in due tratti, con asta discendente, a volte, come per il sei, con un leggero stacco di penna (come nel caso della carta con il ritratto di Sofonisba), altre (laddove cura maggiormente la grafia) con grazie.
Quello che distingue chiaramente i due numeri è, però, l’occhiello del nove: il numero quattro, infatti, è scritto in due tratti, il primo acuto, il secondo con asta discendente, senza legature e con una leggera apertura apicale tra i due segni, come risulta chiaramente sia dalla fig. 4, che dalla figura 6.
Va evidenziato come proprio grazie a questa testimonianza preziosa di Antoon Van Dyck (il quale indirettamente conferma che Sofonisba era sopravvissuta alla famosa pestilenza palermitana del 1624-25), sappiamo che la pittrice, novantaseienne nel 1629, dovette nascere tra il 1532 e il ‘33.
Sebbene presso l’Archivio Diocesano di Cremona[8] pare non si conservino registri utili a dirimere la questione dell’esatta data di nascita della pittora, dobbiamo al secondo marito dell’Anguissola, Orazio Lomellini, console genovese a Palermo, un’epigrafe incisa su una lapide commemorativa nella chiesa, oggi sconsacrata, di San Giorgio dei Genovesi, posta nel 1632 (non a caso di fronte alla cappella di San Luca). Questo il testo che vi si legge distintamente ancora oggi (fig. 7):
Sophonisbae uxori ab Anguissolae – comitibus ducenti origine(m) parentu(m) – nobilitate, forma extraordinariisque – naturae dotibus in illustres mundi mulieres – relatae, ac in exprimendis hominum – imaginibus adeo insigni – ut pare(m) aetatis suae – nemine(m) habuisse sit aestimata – Horatius Lomellinus – ingenti affectus maerore decus – hoc extremum et si tantae mulieri exiguum – mortalibus vero maximu(m) dicavit 1632.[9]
Perché la lapide venne fatta collocare dal Lomellini (molto più giovane della moglie, da quanto risulta dalle fonti) proprio nel 1632?
Tenendo conto della testimonianza di Van Dyck la risposta, piuttosto ovvia, è che il 1632 segnava il centenario della nascita di Sofonisba.
Bisogna ricordare, infatti, che quando la primogenita degli Anguissola venne al mondo, l’anno iniziava, secondo il calendario giuliano ab incarnatione, il 25 marzo (il che implica lo scarto di un anno con il calendario gregoriano, in vigore dal 1582).[10]
Dunque, le informazioni fornite sia da Van Dyck, sia dall’epigrafe, ci permettono di fissare la data di nascita della pittrice cremonese tra il 25 marzo e il 12 luglio del 1532.
Nel 1915, Herbert Cook, in More Portaits by Sofonisba Anguissola,[11]diede notizia del rinvenimento, in non meglio precisati «Registers of St. Croce»[12] di un presunto atto di morte della pittrice datato 1625, che reciterebbe:
Anno Domini millesimo sexcentessimo vigesimo quinto 1625 die decima sexta Novembris fu sepolta nella Chiesa di S. Giorgio dei Genovesi la Signora Sifonisma Lomellini.
Stupisce, in primo luogo, il fatto che Cook sciolga in latino la data, lasciando però quasi intendere che la stessa appaia nel documento originale: in nessun registro, come chiunque abbia lavorato in archivio sa, l’anno è riportato nella forma trascritta dal baronetto inglese, commettendo anche un errore di ortografia latina (sexcentessimo anziché sexcentesimo); ancora maggiormente sorprende che nel documento citato, al contrario di quanto accade negli stessi anni in tutti i documenti siciliani, non sia fatta menzione, nella data, di alcuna indictione à partu Virginis (indicata, forse, nel frontespizio del registro, come nel caso dei registri della Cattedrale di Palermo? Cfr. fig. 8), infine è davvero singolare l’uso dell’italiano accanto al latino.
Al di là di queste particolarità, va comunque sottolineato come, trattandosi di un documento proveniente da un archivio siciliano (per cui l’anno, proprio a causa dell’indizione, s’iniziava a partire dal primo di settembre), il collezionista britannico avrebbe dovuto comunque fornire qualche ulteriore dettaglio ed effettuare qualche calcolo, nel momento in cui decise di segnalare il ritrovamento di un atto che non può che destare sospetti più che certezze.
La parrocchia di S. Croce, una delle più antiche di Palermo,[13] poiché istituita prima del 1430, sorgeva in via Maqueda e fu quasi distrutta dai bombardamenti del 1943; le poche rovine, negli anni seguenti, sono state spianate al suolo. L’ufficio parrocchiale trasferito nella vicina chiesa di S. Ninfa dei Crociferi. Resa purtroppo inagibile anche questa sede dal terremoto del 1968, l’archivio fu spostato temporaneamente in Cattedrale e negli anni ’70 versato presso l’Archivio storico diocesano.
Dell’archivio sopravvivono, però, alcuni faldoni, relativi ai Battesimi, che ho avuto la fortuna di poter consultare grazie alle copie su microfilm effettuate all’inizio degli anni Novanta del Novecento dalla Società Genealogica di Salt Lake City.
Ho avuto così conferma di alcuni sospetti relativi alla trascrizione di Cook: l’indizione è sempre riportata e l’anno è sempre indicato esclusivamente tramite numeri arabi nel frontespizio, in numeri latini all’interno del registro, ma mai sciolto a parole.
Non vi sono dubbi che l’anziana pittrice morì a Palermo, ma quasi certamente questo non avvenne nel 1625, come tenterò di dimostrare, documenti alla mano, nell’articolo per TCLA.
Carla ROSSI (Università di Zurigo, Research Centre for European Philological Tradition, Lugano) Lugano 25 Aprile 2021
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