Nuova luce su Pier Francesco Guala, uno stile personale tra Genova e Venezia.

di Natale MAFFIOLI

PIER FRANCESCO GUALA UN PITTORE CASALESE DELLA META’ DEL SETTECENTO[i]

Scoprire nuove testimonianze dell’attività in un pittore è sempre appagante per il fortunato scopritore, ma è soprattutto soddisfacente per chi ha la consapevolezza di avere aggiunto una ‘tessera’ a quell’enorme mosaico che è la storia dell’arte italiana; nel nostro caso il ‘tassello’ trovato non è di grandi dimensioni perché si tratta di un pittore che ha lavorato in periferia con una attività decentrata[ii] come è il caso del casalese Pier Francesco Guala, tuttavia la ‘tessera’ si può rivelare molto importante perché getta un ulteriore luce sull’attività pittore, sui committenti e sull’attuale collocazione dell’opera.

Pier Francesco Guala era nato a Casale Monferrato nel 1698. Figlio d’arte, apprese i primi rudimenti della pittura nella bottega paterna. Certamente le sue prime esperienze presero l’avvio nell’alveo della pittura seicentesca piemontese, ebbe presente la pittura dell’ultimo Francesco del Cairo (Varese, 1598 – Milano, 1674) e la pittura genovese e veneta filtrata dalla personalità di Bernardo Strozzi (Rossiglione, 1581 – Venezia, 1644)), ma presto si allontanò da questi modelli per percorrere una strada tutta sua. Fu anche un ottimo ritrattista molto ricercato dalla nobiltà piemontese che aveva le sue dimore tra Casale e Vercelli. Di certo la base di partenza della sua cifra stilistica fu l’esperienza acquisita su modelli colti, ma sua fu la capacità di miscelarla con un personalissimo gusto realistico.

Nel 1741 lavorò a Vercelli ma tre anni dopo ritornò a Casale per attivarsi nei palazzi Gozzani di Treville e Morelli. Il suo S. Carlo Borromeo e l’Immacolata, che si trova nella chiesa di S. Giovanni Battista a Costa, una frazione di Cumiana, venne probabilmente dipinto tra il 1742 e il 1747. Intorno al 1748 dipinse il suo capolavoro I canonici di Lu (Lu, Monferrato, collegiata), e dello stesso periodo realizza opere mitologiche e cavalleresche conservate al Museo Civico di Asti e al castello di Giatole, impreziosite da uno sfondo di sensualità.

Nel 1753 si attivò per un lavoro mastodontico, costituito da due tele raffiguranti miracoli domenicani, nella Chiesa di San Domenico a Casale Monferrato apprezzabili soprattutto per la cura dei particolari.

Tra il 1755 e il 1756 il Guala realizzò i suoi ultimi lavori a Casale, Apostoli e Profeti per la chiesa di Santo Stefano, per poi trasferirsi a Milano, nel collegio di San Francesco di Paola, per apprestarsi ad eseguire, appena pochi mesi prima di morire, un Cristo coronato di spine, una Ascensione e una Orazione nell’orto.

Un principio di variazione stilistica si poté rilevare nel San Bartolomeo battezzante (chiesa di Trino, 1734) e si intensificherà nell’affresco delle Arti (Casale, plazzo Sannazzaro, 1737), nei Ritratti di Evasio e Tullio Cerruti (Duomo di Casale Moferrato), tutte opere caratterizzate sia da brillantezze e originalità cromatiche, sia da interpretazioni personali, innovative e alteranti di temi mitologici resi scanzonati e popolari. In questi anni operò anche nel settore della ritrattistica che gli procurerà popolarità e fama, e che i critici d’arte valutano come in assoluto la più felice della sua intera carriera. Per queste opere, le sue basi di partenza stilistica furono la scuola genovese e quella veneta contemporanea miscelate con un gusto realistico e da spunti di vari altri artisti, il tutto reso però personale e mutevole dal Guala.

Attività’ del Guala per la famiglia Scarampi.

Pier Francesco Guala lavorò molto per la famiglia Scarampi, questi erano nobili di origine astigiana e nel 1597 il duca Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova e del Monferrato, attribuì a Deodato Scarampi, già signore feudale di Camino, il titolo di conte. Nel 1722 i Savoia assegneranno poi il titolo di marchesi di Villanova e (1750) di Borgo San Martino. Nasce con tutta probabilità da questo stato di cose, l’esigenza di realizzare un progetto – sostenuto anche sul piano iconografico da un ciclo di ritratti – che celebrasse attraverso l’arco di quattro secoli la rilevanza che la famiglia ha saputo costruire e consolidare. Gli Scarampi erano importanti committenti­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­­ d’arte, già noti per aver commissionato al Guala una serie di ritratti di famiglia, attualmente conservati nell’avito palazzo di Camino (AL).

La famiglia marchionale avevano una importante residenza a Borgo San Martino e nella villa di famiglia aveva fatto costruire una cappella gentilizia e per decorarla, nella metà del 1700, avevano assunto proprio Pier Francesco Guala, il pittore lavorò con impegno dipingendo un capolavoro di pittura sacra: realizzò, su tela, una pala d’altare con raffigurata una Immacolata Concezione e dipinse ad affresco quattro piccole vele della volta a crociera; nella pala dell’Immacolata (fig.1 Immacolata), di ragguardevoli dimensioni esibisce tutte le sue peculiarità pittoriche.

Pier Francesco Guala, Immacolata Concezione

Di certo la base di partenza della sua cifra stilistica fu l’esperienza acquisita su modelli colti, ma sua fu la capacità di miscelarla con un personalissimo gusto realistico. Una peculiarità della sua pittura fu la capacità di stendere i colori brillanti, spessi, quasi tridimensionali e la sua pennellata vibrante, quasi modellata dalla luce, caratteristiche queste decisamente presenti nella pala dell’Immacolata (attualmente è conservata nella cappella interna della casa salesiana annessa al santuario della Madonna dei Laghi di Avigliana). E sono proprio queste singolarità che rendono credibile l’attribuzione al pittore casalese.

La figura dell’Immacolata si caratterizza per i colori tenuti: un rosa leggerissimo e un azzurro di una delicatezza impareggiabile, il corpo si torce delicatamente, le mani giunte sono rivolte verso destra mente la testa, girata all’opposto, fissa lo sguardo sul gruppo di angioletti seduti sulle nubi ai suoi piedi; altre figure angeliche e cherubini occupano lo spazio tra le nuvole di contorno. Il fondo di contorno è in blu cangiante di una luminosità intensa. L’immagine sintetizza le affermazioni dal libro della Genesi:

«Allora Dio disse al serpente… la sua discendenza ti schiaccerà la testa e tu le morderai il calcagno» e dal testo apocalittico: «una donna che sembrava vestita di sole, con una corona di dodici stelle in capo e la Luna sotto i suoi piedi».

Lo spicchio di luna è soverchiato dalla sfera del mondo sopra la quale è simbolicamente ingaggiata una battaglia decisiva tra la Donna e il serpente, mentre le stelle che formano una corona ruotante attorno al capo della Vergine sono il riconoscimento della vittoria che di certo non può mancare.

Affreschi per la cappella di Villa Scarampi

Nella piccole vele sono stati affrescate alcune effigi poste entro delle magnifiche cornici barocche di stucco, dove è presente all’apice superiore la testa di un cherubino che stende le ali ad abbracciare il resto della cornice che è arricchita con lumeggiature d’oro: queste, senza timore d’essere smentito, possono essere annoverate tra la più genuine produzioni dell’arte dello sconosciuto plasticatore. Nella cornici sono raffigurati alcuni  dei santi più usuali della tradizionale onomastica cristiana: Girolamo, Luigi Gonzaga, Domenico e Longino forse quest’ultimo santo (Longino) è un poco desueto.

Probabilmente questi santi sono rappresentativi dei nomi dei membri della famiglia degli Scarampi. San Girolamo (fig. 2 San Girolamo), nella tipica iconografia invalsa dopo il XV scolo, cioè seminudo, con barba folta e con accanto un teschio penitenziale, è qui raffigurato in grisaglia su un fondo ocra chiaro, mentre è intento, penna alla mano, a scrivere su un libro squadernato davanti, certamente il riferimento è alla stesura della traduzione del testo biblico.

San Girolamo

Un angelo paffuto, munito di una tromba, incrocia il suo sguardo con quello del santo, probabilmente è la raffigurazione dell’ispirazione che il santo ha nel redigere il testo biblico, tra le pieghe del panno che copre lo scrittoio fa capolino la testa del mitico leone suo accompagnatore.

San Domenico di Guzmàn (fig. 3 San Domenico) è forse tra i santi più popolari nel panorama agiografico italiano ed è il padre fondatore dei frati domenicani; benché fosse di origine spagnole è vissuto in Italia ed è morto a Bologna. In questo piccolo affresco sono concentrati tutti i riferimenti alla tradizione iconografica del santo. Come gli altri, è dipinto in grisaglia sul tradizionale sfondo ocra chiaro; la sua figura vigorosa indica con un dito il Paradiso, è significativo della profonda spiritualità del santo. Domenico è rivestito con il saio ed è inginocchiato davanti ad un pregadio dove è probabilmente aperto il testo dei Vangeli; un segno della spiritualità del santo è tenuto con la mano sinistra, si tratta di una corona del rosario: con questa preghiera si può vincere l’eresia senza violenza.

San Domenico

Nulla è raffigurato senza motivo nell’affresco, ma tutto ha un senso e i particolari servono a chiarire al meglio l’insieme; il cane, accovacciato tra le pieghe del saio con una torcia accesa in bocca, è un’immagine cara al mondo domenicano, la grisaglia non mette bene in vista il colore dell’animale che nella realtà ha il manto bianco e nero, come il saio dei frati che erano definiti, in latino, “domini canes”, i cani che abbaiano per il Signore, erano cioè i custodi della  sana dottrina cristiana contro l’eresia. Ha pure un senso di predestinazione la stella sulla fronte del santo, segno visto dalla madre il giorno del suo battesimo.

San Luigi Gonzaga (fig. 4 San Luigi Gonzaga) è dipinto vicino alla figura precedente; e come il San Girolamo è stato realizzato in grisaglia su un fondo ocra chiaro. La figura è illuminata da una luce che ha origine alle sue spalle e crea uno splendido gioco di luci e ombre che investe anche le cose meno importanti, lo sguardo è tutto orientato alla venerazione del crocifisso.

San Luigi Gonzaga

Tutta la figura sembra compresa in un servizio divino, d’altra parte è rivestito con la cotta, il classico indumento che i chierici indossano durante la partecipazione al culto e la sua appartenenza alla Compagnia di Gesù è segnata dalla tipica talare con un colletto alla ‘Gesuita’.  Su una consolle vicina al santo sono appoggiati i segni della sua appartenenza al ramo principesco dei Gonzaga di Castiglione delle Stiviere, sotto il tavolino sono raccolti dei fiori significativi della virtù del santo, un cespo di gigli; da sempre san Luigi è stato additato ai giovani come modello della virtù della purità. Un gruppetto di angeli vola attorno al capo di Luigi come fosse un’aureola della sua santità di vita

Nell’ultimo affresco è presentata l’immagine di Longino (fig. 5), il soldato romano che trafisse con la lancia il costato di Gesù crocifisso. È dipinto, come le altre figure, in grisaglia su un fondo di colore ocra leggero.

San Longino

Non presenta segni tipicamente suoi se non la lancia posta al fianco del milite romano, il suo sguardo estatico è rivolto verso il cielo ed incrocia quello di un paffuto angelo e pare che realizzi lo scritto biblico “volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto”.

Natale MAFFIOLI Torino 5 Giugno 2024

NOTE

[i] 1 Un grazie ad Arabella Cifani per il sostegno nel realizzare questo mio breve lavoro e ad Andrea Bugini per la cordialità che mi ha sempre dimostrato.
[ii] Lavorò a Casal Monferrato, sua città natale. a Torino e a Milano.