di Emilio NEGRO
Federico Zeri sosteneva che Zenone Veronese “non è certo l’ultimo” tra gli artisti attivi a Verona nella prima metà del Cinquecento (1): infatti, sebbene taluni suoi dipinti dell’estrema maturità mostrino un innegabile calo qualitativo, egli rimane comunque singolare per il classicismo misurato e per il taglio delle composizioni aperte su grandi sfondi paesaggistici, sicché tre o più verosimilmente cinque aggiunte al suo catalogo (costituito da poco più di una trentina di opere, dunque quasi il 10 %), offrono l’occasione per formulare nuove considerazioni sulla sua attività artistica.
Il pedigree della fortuna critica di Zenone (Verona, 1484 – Salò, 1552 ca) rimonta ai tempi di Giorgio Vasari, che lo citò al termine della “Vita” di Vittore Carpaccio fin dalla prima edizione torrentinina del 1550, quindi non solo nell’edizione giuntina come è stato affermato dai più (2); dopo di lui le menzioni più significative si devono al carmelitano e accademico clementino Pellegrino Orlandi, a cui fecero seguito quelle di Bartolomeo Dal Pozzo e Luigi Lanzi. E’ stato però nel secolo appena trascorso che le ricerche sull’artista sono state rivitalizzate dagli studi pionieristici di Anton Maria Mucchi, a cui seguirono quelli del già citato Zeri ma anche di Rodolfo Pallucchini, Alessandro Ballarin e Sergio Marinelli (3). Si arrivò così alla prima monografia dedicata a “maestro Zeno Veronese” curata da Matilde Amaturo, Isabella Marelli e Leandro Ventura (4).
Proprio in quella occasione furono ripubblicate due tele di soggetto simile raffiguranti l’Adorazione dei pastori e la Natività, l’una conservata nel Duomo di Salò dedicato a S.Maria Annunziata, l’altra custodita sulla sponda opposta del Garda, a San Felice del Benaco, nella chiesa dei Ss.Felice e Adauto. La prima pala si trova fortunatamente nella collocazione originaria ed è stata datata, per consonanze stilistiche con altre pitture di Zenone, tra il 1518 e il ‘20. Adottando lo stesso criterio, anche la seconda tela – che è una derivazione un po’ stanca della composizione di Salò -, è stata collocata verso la fine del terzo decennio del Cinquecento.
Entrambe le opere non furono firmate, probabilmente poiché destinate a luoghi poco lontani da Verona, dove il modus pingendi del pittore era ben conosciuto, così da rendere superflua la sua firma (5). A questa coppia di tele, che si ritenevano le sole sopravvissute del pittore dedicate alla nascita di Gesù, ora se ne può aggiungere una terza, comparsa sul mercato antiquario: è una pala in precario stato di conservazione, sebbene non illeggibile, che raffigura un’Adorazione dei pastori (fig.1) ambientata sullo sfondo realistico di un agglomerato di case e torri sito tra le colline (6); molto probabilmente tale ricostruzione territoriale non è frutto di fantasia, bensì l’immagine reale del centro abitato a cui era destinato il dipinto.
Ignorare questo riferimento paesaggistico significherebbe disconoscere la portata del messaggio devozionale in cui realtà visiva e universo sacro si confondono; ma la tela in questione si distingue dalle due già note per un’altra importante caratteristica: è attualmente l’unica raffigurante la “Natività” che rechi ben visibile a sinistra, tra le corna del bue, la firma “ZENON. VERONENSIS. PINXIT” in belle lettere capitali romane; dunque verosimilmente il dipinto non era destinato a Verona. Il suo probabile termine di realizzazione è suggerito dai due angeli reggicartiglio, rassomiglianti a quelli realizzati da Zenone nella Madonna col Bambino incoronati da due angeli davanti ai Ss.Agostino e Marino (Genga, chiesa di S.Maria Assunta), documentata al 1521, che fanno propendere per un’esecuzione prossima allo stesso anno. Tale collocazione cronologica è avvalorata dalle manifeste assonanze stilistiche tra l’Adorazione dei pastori e il dipinto di Genga, pervasi entrambi da un tenero classicismo che, come di consueto, si apre su un vasto paesaggio en plein air; sicché il precario stato conservativo dell’inedita composizione non impedisce di coglierne la buona qualità e di promuoverla tra le opere più significative realizzate da Zenone Veronese.
Nella citata monografia di Zenone è stata pubblicata anche una tela di collezione privata raffigurante la Madonna col Bambino e S.Giovannino tra i Ss.Pietro e Paolo, firmata e datata “ZENON/ VERONĒNIS PINXIT/ MDXXVIIII”. Nella pagina dedicata al dipinto il termine “VERONĒNIS” è stato traslato in “VERONENSIS”, forse per scioglierne il significato o forse per un veniale errore di ricopiatura (fig.2) (7).
L’autrice del testo ha identificato l’opera con quella di uguale soggetto segnalata da Anton Maria Mucchi nella collezione della famiglia Pirlo di Desenzano, che l’avrebbe venduta agli inizi del Novecento. Ancora secondo il Mucchi, la
“Sacra conversazionepassò poi a Verona ove lasciò tracce al Civico Museo, e forse a Vicenza, certo a Venezia dove si perdette” (8).
Sempre nella stessa scheda, il dipinto appartenuto ai Pirlo è stato identificato con quello di iconografia identica già custodito ad Harford presso Bristol (Blaise Castle), dove fu visto e disegnato da Giovanni Battista Cavalcaselle probabilmente nel 1865, quando visitò la prestigiosa raccolta d’arte (fig.3) (9); ma siccome la tela di Blaise Castle fu venduta dal proprietario in un’asta Christie’s nel marzo del 1868, l’autrice della ricerca è arrivata alla comprensibile conclusione che la pala doveva avere abbandonato le sponde di Desenzano “molto prima” degli inizi del XX secolo, altrimenti il Cavalcaselle non avrebbe potuto ricopiarla nel suo taccuino di disegni. Il Mucchi doveva quindi essersi confuso sulla data di partenza del quadro da Desenzano di oltre trent’anni, inoltre egli asseriva di aver potuto visionare una vecchia fotografia del dipinto dei Pirlo e in base ad essa di ritenerlo “bellissimo; e degno in tutto della firma del maestro che si leggeva in basso, a destra in questa forma ZENON VERONESIS PINXIT MDXXVIIII”: ecco un’altra inesattezza in cui sarebbe incorso Anton Maria Mucchi se il dipinto studiato in foto fosse lo stesso pubblicato nella monografia, poiché anch’egli scrisse “VERONESIS” anziché “VERONĒNIS”.
Un lapsus calami analogo a quello commesso sia da Pallucchini (primo a rendere nota la “Sacra conversazione”), che dalla compilatrice della scheda. Solo il Cavalcaselle aveva riportato con esattezza la firma posta all’interno dell’insegna del dipinto di Blaise Castle, “ZENON/ VERONĒNIS”, insieme a valutazioni critiche tanto obbiettive quanto tranchant, e che aiutano a giustificare la dimenticanza in cui “mastro Zeno” è caduto per molto tempo
(“Mad e putto Raff…/ Colore crudo ridotto alla Sassoferrato per diligente esecuzione/ Mad col putto S.Gio agnello meschino piccoli -/ SS.Pietro e Paolo figuroni che ammazza il gruppo centrale”).
Tali precisazioni, necessarie anche se un po’ noiose, evidenziano una sequenza di inesattezze singolari – ammesso poi che si tratti di refusi e non piuttosto di traduzioni corsive di un’abbreviazione latina – in cui sarebbero incorsi tre studiosi su quattro. Una serie di sviste che, una volta individuata la causa primigenia, è agevole spiegare, poiché la sequela di imprecisioni è stata determinata dall’esistenza di una seconda Madonna col Bambino e S.Giovannino, tra i Ss.Pietro e Paolo, gemella di quella che fu pubblicata da Pallucchini (figg.2, 4).
La tela, pressoché inedita, è quella studiata da Mucchi e, al pari dell’altra già nota, si trova anch’essa a Venezia, in una collezione privata. Le due composizioni sono quasi identiche, fatta eccezione per la firma “ZENON/ VERONESIS PINXiT/ M.DXXVIIII”, proprio come l’aveva riportato Anton Maria Mucchi (anziché “ZENON/ VERONĒNIS PINXIT/ MDXXVIIII” di quella scoperta da Pallucchini), che non è incorniciata da una insegna araldica abbellita da foglioline poste ai lati della data, ma è apposta su un semplice cartiglio (fig.5) (10); cosicché, c’era da immaginarlo, anche Zenone, al pari di altri pittori, replicava i suoi dipinti.
Questo nuovo dato di fatto acquisito or ora, potrebbe gettare una nuova luce sulla cosiddetta “Madonna del velo” (ossia la Madonna col Bambino e i Ss.Elisabetta e Giovannino) di ubicazione ignota, ma conosciuta agli studi grazie ad una fotografia che si trova nella cartella di Zenone Veronese della fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze (fig.6).
Significativamente la composizione è stata resa nota come “copia antica” di una tavola quasi identica di raccolta privata, già attribuita al pittore di Verona da Carlo Volpe e pubblicata da Ballarin (fig.7), al quale si deve il merito di aver riconosciuto in essa e nella Madonna col Bambino e S.Giovannino tra i Ss.Pietro e Paolo di cui abbiamo trattato, riadattamenti da invenzioni di Raffaello (11).
Ora, confrontando le due “Sacre conversazioni” di raccolte private veneziane datate 1529, credo che si possano cogliere le medesime piccole variazioni sullo stesso tema iconografico di origine raffaellesca, ravvisabili nelle due “Madonna del velo”. Queste similari differenziazioni più o meno marcate, dovute anche alle diverse vicende conservative dei dipinti, aprono molto più di uno spiraglio sulla possibilità che la “Madonna del velo”, ritenuta da Ballarin una copia, possa essere invece una replica autografa di “Zeno Veronese”. Nel qual caso non si tratterebbe di un duplicato poco interessante, bensì di un altro doppio realizzato dal pittore con analoga, ma non identica coerenza somatica che, nell’accurata rappresentazione paesaggistica, ha inserito nella tavola pubblicata da Ballarin le rovine di un grande anfiteatro romano, nelle quali molto probabilmente è da riconoscere l’Arena di Verona.
Due dipinti con S.Sebastiano e S.Cristoforo con Gesù bambino (figg.8-9), probabilmente parte di un ignoto polittico smembrato, sono stati ultimamente notificati come opere di Zenone Veronese di eccezionale interesse culturale e meritoriamente acquisiti dalla galleria antiquaria Antichità Castelbarco di Riva del Garda (12).
Osservando la direzione degli sguardi dei santi si può supporre che costituissero rispettivamente gli scomparti di sinistra e di destra del polittico. Stilisticamente si ricollegano alla pala del 1542 raffigurante la Madonna col Bambino in trono fra i Ss.Cristoforo, Zeno, Antonio Abate e Sebastiano (Padenghe, chiesa dei Ss.Maria ed Emiliano), in cui Zenone riprese parimenti alcune delle sue precedenti invenzioni, rielaborandole in cadenze dai toni più pacati e intrisi di pietà popolare, dimostrando una propensione per un linguaggio figurativo piacevolmente eccentrico, antiaulico e coscientemente popolare (13).
Emilio NEGRO Bologna 23 Aprile 2023
NOTE
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F.Zeri, Note su quadri italiani all’estero: un “Ratto di Elena” di Zenone Veronese, in “Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione”, XXXIV, 1949, pp.26-30 (ripubblicato in F.Zeri, Giorno per giorno nella pittura. Scritti sull’arte italiana del Cinquecento, Torino, 1994, pp.91-92, figg.153-159); l’interesse dello studioso romano per le opere del maestro di Verona è testimoniato inoltre dalla presenza nella Fototeca della Fondazione Federico Zeri di Bologna di ben dodici fotografie di dipinti, alcuni autografi ed altri no, collegati comunque al corpus delle opere de pittore.
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G.Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri, Firenze, 1550, ed. a cura di L.Bellosi-A.Rossi, Torino, 1986, pp.526-527, nn.28-29; G.Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti…, Firenze, 1568, ed. a cura di G.Milanesi, Firenze, III, p. 654, n.1.
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P.A.Orlandi, Abbecedario pittorico nel quale compendiosamente sono descritte le patrie, i maestri ed i tempi ne’ quali fiorirono circa 4.000 professori di pittura, scultura e d’architettura, Bologna, 1704, ed. 1719, p.419; B.Dal Pozzo, Le vite de’ Pittori, degli Scultori, et Architetti veronesi, Verona, 1718, ristampa 1867, p.22; L.Lanzi, Storia pittorica dell’Italia dal Risorgimento delle Belle Arti fin presso la fine del XVIII secolo, Bassano, 1808, ed.1834, III, p.134; A.M.Mucchi, Dipinti ignorati di Zenone Veronese in terra bresciana, in “Brescia”, settembre 1933, pp.26-28; A.M.Mucchi, Il Duomo di Salò, Bologna, 1934, pp.300-317; R.Bossaglia, “La pittura del Cinquecento: i maggiori e i loro scolari”, in Storia di Brescia, Brescia, 1963, II, pp.1100-1110; R.Pallucchini, “Un’aggiunta al catalogo di Zenone Veronese”, in Studi di storia dell’arte in onore di Antonio Morassi, Venezia, 1971, pp.111-115; L.Anelli, Patrimonio artistico di Padenghe, in “Civiltà bresciana”, 2, 1972, pp.3-24; L.Vertova, Una pala sconosciuta di Zenone Veronese, in “Notizie da Palazzo Albani”, XII, 1-2, 1983, pp.132-134; A Ballarin, Una ‘Madonna del velo’ di Zenone Veronese, in “Prospettiva”, 53-56, 1988-1989, pp.367-371.
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M.Amaturo-I.Marelli-L.Ventura, Zenone Veronese. Un pittore del Cinquecento sul lago di Garda, Verona, 1994; ultimamente si sono aggiunte le ricerche di S.Marinelli, in La pittura nel Veneto: il Cinquecento, a cura di D.Banzato-M.Lucco, Milano, 1996, I, pp.339-412; S.Marinelli, Ipotesi per il primo Cinquecento veronese, in “Verona Illustrata”, 9, 1996, pp.51-57; M.Ibsen, Un inedito per Zenone Veronese, in “Civiltà bresciana”, 6, 1, 1997, pp.61-64; L.Ventura, Sul trittico di Cavriana di Zenone Veronese, in “Venezia Cinquecento”, VII, 13, 1997, p.171; G.Peretti, in Cento opere per un grande Castelvecchio, catalogo della mostra, a cura di P.Marini-G.Peretti, Verona, 1998, p.33, n.10; L.Vertova, “Una ruinata/rinata “Madonna del velo” di Zenone Veronese”, in Gedenkschrift für Richard Harprath, a cura di W.Liebenwein-A.Tempestini, München-Berlin, 1998, pp.477-482; S.Marinelli, Cinque secoli di disegno veronese, catalogo della mostra, Firenze, 2000, p.2; G.Sava, Un’opera di Zenone Veronese in Trentino, in “Studi trentini di scienze storiche”, 2, LXXXVI, 2007, pp.115-124; M.Repetto Contaldo, in Museo di Castelvecchio. Catalogo Generale dei dipinti e delle miniature delle collezioni civiche veronesi. I. Dalla fine del X all’inizio del XVI secolo, a cura di P.Marini-G.Peretti-F.Rossi, Milano, 2010, pp.460-461, n.362.
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I due dipinti sono ad olio su tela e misurano rispettivamente cm 155 x 132 e cm 154,5 x 154; per una più ampia trattazione per entrambi si rimanda a I.Marelli (in Amaturo-Marelli-Ventura, cit., pp.77-80, n.9, tavv.IX-X e pp.110-111, n.22, tav.XXV).
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Olio su tela, cm 162 x 122.
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Olio su tela, cm 104 x 128 (I.Marelli, cit., pp.91-92, n.15 e p.132, n.31).
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Mucchi, cit., p.28.
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L.Moretti, G.B.Cavalcaselle. Disegni da antichi maestri, catalogo della mostra, Vicenza, 1973, p.115, n.98.
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Il dipinto su tela è in discreto stato di conservazione e misura circa 135-140 centimetri in altezza e 115 centimetri in larghezza.
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Ballarin, cit., pp.367-371, figg.2, 4; Marelli, cit., p.88, n.13; Vertova, cit., pp.477-482; Repetto Contaldo, cit., p.460-461, n.362. Da quanto si ricava dalle annotazioni (sul verso della fotografia e sul cartoncino su cui è applicata) della fototeca del Kunsthistorisches Institut di Firenze, la tavola già pubblicata da Ballarin era presso la collezione Giovanelli di Venezia, fu poi venduta a Roma, Christie’s, 24 novembre 1967, n.27, quindi è segnalata a Milano nella raccolta dell’antiquario Hendel (1975).
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Rita Dugoni ha scritto la dettagliata scheda relativa alla notifica ministeriale delle due tele centinate in buono stato di conservazione (cm 173 x 55 ciascuna).
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Amaturo-Marelli-Ventura, cit., pp.122-124, n.27, tav.XXX.