di Nica FIORI
A Roma, in via delle Botteghe Oscure, 46, nel corso della ristrutturazione di Palazzo Lares Permarini, un edificio degli anni Trenta del Novecento il cui nome richiama gli adiacenti resti del tempio dedicato probabilmente ai Lares protettori della navigazione (Permarini), sono stati riportati alla luce importanti reperti archeologici risalenti al I secolo d.C., che hanno consentito di localizzare con precisione il tracciato e parte del rivestimento della Porticus Minucia.
Con il termine femminile porticus i Romani definivano un recinto quadrangolare porticato, al cui interno erano posizionati templi e fontane. Anche in questo caso, come per altre architetture simili (pensiamo alla più nota Porticus Octaviae), il complesso monumentale ha subito nel tempo diverse vicissitudini, rimanendo alla vista solo parte del tempio interno.
La Porticus Minucia, che nella Forma Urbis marmorea di età severiana è indicata come Minicia (in un frammento si legge MINI), deve il suo nome al console Marco Minucio Rufo, che la eresse, con un intento celebrativo, per ricordare il suo trionfo sugli Scordisci (popolazione dei Balcani) nel 106 a.C. La sua importanza è legata al fatto che in età imperiale (tra il I e il III secolo d.C.) è stata la sede delle distribuzioni gratuite di grano al popolo di Roma, dette frumentationes.
Questa pratica, tipicamente romana, era iniziata in età repubblicana, in seguito alla lex Sempronia frumentaria, fatta votare nel 123 a.C. dal tribuno della plebe Gaio Sempronio Gracco: inizialmente lo Stato si assumeva l’onere di distribuire mensilmente a tutti i cittadini romani il frumento a un modico prezzo, mentre a partire dal 58 a.C. le elargizioni erano diventate gratuite grazie al tribuno Publio Clodio, promotore della lex Clodia frumentaria. Il numero degli aventi diritto non fu costante, infatti subì con Giulio Cesare una riduzione da 320.000 a 150.000 cittadini, che divennero 200.000 con Augusto.
Le frumentationes da subito risultarono molto gradite alla plebe, mentre non erano favorevoli a questa elargizione i senatori, un portavoce dei quali, Cicerone, riteneva che questo tipo di provvedimento mirasse a ottenere l’appoggio dei ceti più poveri, per i quali rappresentava un incentivo all’inattività. In effetti, chi governava si assicurava il consenso popolare con regolari distribuzioni di grano, a volte integrate con altri donativi alimentari (olio e vino) e con l’organizzazione di diversi grandiosi spettacoli pubblici, pratica sintetizzata con la locuzione latina “panem et circenses”, entrata nell’uso con il poeta satirico Giovenale.
Prima della corretta ubicazione del Circo Flaminio, della Crypta e del Teatro di Balbo – merito soprattutto delle ricerche di Guglielmo Gatti e Lucos Cozza sulla Forma Urbis marmorea – tutta la sistemazione della zona del Campo Marzio meridionale restava incerta proprio a causa dell’erronea collocazione di quei monumenti. Nell’area (corrispondente all’antica regio IX) i Cataloghi Regionari menzionavano due porticus omonime, distinte solo dagli appellativi vetus e frumentaria.
L’appellativo vetus (vecchia) di una, rispetto a frumentaria che evidentemente era la nova, alludeva probabilmente al fatto che i due edifici non erano stati costruiti contemporaneamente. Dobbiamo allo storico Velleio Patercolo l’attribuzione della prima costruzione a Minucio Rufo. Dalle espressioni di Velleio sembra chiaro che ai suoi tempi (età tiberiana) la grandiosa struttura colonnata non adempisse alcuna funzione particolare, ed egli si limita a sottolineare come essa, pur risalendo a tanto tempo addietro, fosse ancora celebre e frequentata. Sembra evidente che alla sua epoca non esistesse ancora la seconda porticus. La sua costruzione più tarda corrisponde con la testimonianza dei calendari augustei che menzionano la porticus Minucia senza ulteriori indicazioni.
Quanto alla frumentaria, un terminus ante quem lo ricaviamo dal Cronografo del 354 (un calendario illustrato con una collezione di testi cronologici di tipo amministrativo), che per il regno di Domiziano riporta l’elenco delle opere costruite da lui o sotto il suo principato, che comprende sia edifici fabbricati ex novo, sia ricostruzioni conseguenti all’incendio dell’80 d.C.: tra essi menziona: “Divorum, Iseum et Serapeum, Minervam Chalcidicam, Odium, Minuciam Veterem, Stadium”, ovvero il tempio dei Divi Vespasiano e Tito, l’Iseo e il Serapeo, il tempio dedicato a Minerva Calcidica, l’Odeon, la Minucia vecchia, lo Stadio.
Al tempo di Domiziano, pertanto, dovevano esistere ambedue le Minucie, la più antica delle quali aveva l’appellativo di vetus. Con questo dato concorda, in particolare, un’iscrizione riferibile alla Minucia frumentaria e alle distribuzioni che in essa avevano luogo, che ricorda opere edili fatte eseguire, insieme con la moglie, da un certo Ianuarius, liberto di Claudio o di Nerone, il quale si definisce “curator de Minicia die XIIII ostio XLII”. Sembrerebbe quindi che questo personaggio avesse esercitato una qualche funzione non precisabile all’interno dell’organizzazione che provvedeva alle frumentazioni nella Minucia, cioè la nuova porticus, nella quale ciascuno dei cittadini aventi diritto riceveva il grano recandosi, in un giorno prestabilito del mese, presso quello dei 45 ostia (entrate) dell’edificio presso cui era, per così dire, iscritto (nell’iscrizione ci si riferisce al “quattordicesimo giorno del mese, porta 42”). Nell’età claudio-neroniana era dunque ormai in funzione quel sistema delle distribuzioni, per giornate e “porte” (o sportelli), che normalmente si associa alla creazione della Minucia frumentaria e che resterà in uso fino ad Aureliano.
Ma l’iscrizione sembra anche testimoniare la diversa importanza delle due Minucie nel contesto urbano: se la più antica doveva aver bisogno dell’aggettivo vetus per essere chiaramente identificata, per designare la più nota e importante frumentaria bastava il termine Minucia. Il fatto che la frumentaria fosse stata eretta verosimilmente da Claudio (o dal successore Nerone) rientra perfettamente nella riorganizzazione degli impianti e dei servizi annonari attuata proprio da Claudio, a partire dalla costruzione del grande porto imperiale di Portus (più interno rispetto a quello di Ostia posto alla foce del Tevere), dove affluiva il grano, proveniente soprattutto dall’Egitto, per nutrire gli abitanti dell’Urbe.
Anche se sulla natura dei due nomi e sull’identificazione di una o due Porticus Minuciae si discute ancora oggi, sembrerebbe proprio che alla Porticus Minucia appartengano i resti del portico e del tempio intercettati nell’area compresa tra Corso Vittorio Emanuele II e via delle Botteghe Oscure tra la fine dell’Ottocento e il 1937-1941 e successivamente indagati con metodo stratigrafico negli anni Ottanta e Novanta del Novecento.
I recenti rinvenimenti archeologici sotto il palazzo Lares Permarini aggiungono ora un importante tassello alla conoscenza della Porticus. I risultati ottenuti sono il frutto della stretta collaborazione tra Finint Investments, società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Finint, e la Soprintendenza Speciale di Roma, che ha condotto lo scavo tra maggio e luglio 2020 durante la ristrutturazione dell’edificio per la realizzazione di un hotel 5 stelle della linea Radisson Collection.
La struttura rinvenuta consiste in due file di grandi blocchi in peperino di epoca imperiale, che segnano con precisione il limite orientale della Porticus. Si è trattato di un colpo di fortuna, pilotato dalla speranza di trovare, andando più in profondità nello scavo, ciò che si sospettava esserci, perché Guglielmo Gatti aveva già intuito qualcosa durante i lavori di costruzione del palazzo nel 1938.
Di grande interesse sono soprattutto le decorazioni marmoree dell’alzato, che non si erano mai ritrovate fino a ora per via delle spoliazioni di epoche successive: della Porticus erano infatti note solo le fondazioni e lacerti di pavimentazione emersi negli scavi del 1983 alla Crypta Balbi.
Gli attuali ritrovamenti mostrano la tecnica decorativa delle pareti, realizzata nella parte inferiore con grandi lastre di marmo bianco, al di sopra delle quali insistono frammenti marmorei più piccoli di riutilizzo, alcuni in marmi colorati, disposti su linee orizzontali.
Lo scavo ha rivelato almeno due fasi costruttive dei livelli pavimentali collocati sotto al porticato, realizzati entrambi in scaglie di travertino, come nei lacerti rinvenuti nella Crypta Balbi. I ritrovamenti corrispondono proprio alla parte dell’edificio di età imperiale, così come rappresentato in un frammento della già citata Forma Urbis marmorea di Roma antica.
Le informazioni ricavate dallo scavo, insieme a quelle desunte dai rinvenimenti precedenti, hanno permesso di ricostruire con un alto grado di attendibilità l’aspetto della Porticus Minucia e di realizzarne un modello tridimensionale. Il complesso doveva presentarsi, in età imperiale, come un ampio quadriportico con doppio colonnato posto a cingere una vasta piazza scoperta. Per quanto riguarda le colonne della Porticus, poiché nell’area sacra di Largo Argentina sono state intercettate colonne in laterizio, si pensa che esse dovessero essere pure in laterizio e rivestite di stucco.
All’interno della piazza porticata sorgeva un imponente tempio con 8 colonne frontali (ottastilo) e un colonnato intorno alla cella (periptero) su un basso podio. L’edificio, identificato da alcuni studiosi con il tempio dei Lari Permarini e da altri con il tempio delle Ninfe, era caratterizzato da colonne in blocchi di tufo rivestito di stucco (come i vicini templi dell’area sacra di Largo Argentina), era posto in posizione asimmetrica rispetto alla Porticus ed era attorniato da alcune fontane.
Proprio da una di queste fontane ci arriva la conferma dell’attribuzione di questo complesso alla Porticus Minucia citata dalle fonti antiche. Sul bordo del piatto in marmo bianco della fontana attualmente conservata nell’area archeologica del tempio di via delle Botteghe Oscure si legge, infatti, “MINI”: si tratta con tutta probabilità di un’iscrizione che indica la destinazione del marmo al cantiere in fase di costruzione e che rimanda all’iscrizione “MINI[cia]” della Forma Urbis.
Lo scavo ha anche portato alla luce due altri piccoli rinvenimenti relativi a edifici esterni alla Porticus, in particolare un resto di pavimento mosaicato, in tessere bianche e nere, databile al I secolo d.C., e un pavimento in opus spicatum (tecnica a spina di pesce, tipica degli ambienti di servizio) databile alla tarda età imperiale, che probabilmente si appoggiava sul lato esterno della struttura quando questa era stata abbandonata.
Nel corso della presentazione alla stampa dei ritrovamenti, la Soprintendente Speciale di Roma Daniela Porro ha dichiarato:
“Roma non finisce di regalare nuovi elementi di conoscenza agli studiosi. Il ritrovamento di una porzione della Porticus Minucia ha una grande importanza a livello scientifico e costituisce l’occasione per ribadire come la Soprintendenza possa lavorare in modo efficace con enti privati. Finint Investments ha finanziato sia le operazioni di scavo archeologico, sia una innovativa valorizzazione dei reperti, in modo da renderli fruibili a tutti e non disperdere il prezioso lavoro di scavo e di studio degli archeologi”.
A partire dal 28 marzo 2024, verrà inaugurato l’albergo Radisson Collection “Roma antica” e si potrà accedere al piano interrato in un piccolo spazio musealizzato, aperto a tutti (con visite contingentate) e non solo agli ospiti dell’albergo. Per aiutare i visitatori alla comprensione dell’area i resti archeologici saranno illustrati mediante un video multimediale che propone la ricostruzione tridimensionale della Porticus Minucia, dando un’idea della sua esatta collocazione nella topografia antica, come pure nella città attuale.
Nica FIORI Roma 3 Marzo 2024