di Marcello AITIANI
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Marcello Aitiani – artista, scrittore, studioso di arte, musica, filosofia, nonchè valoroso collaboratore di About Art- sul tema affrontato anche con differenti argomentazioni da Philippe Preval relativo alle Olimpiadi in corso a Parigi, con osservazioni che vanno oltre l’episodio di cronaca che ha fatto (e fa ancora) discutere, per offire invece una riflessione complessiva ricordandoci che siamo oltre il Novecento e che dovremmo ritrovare quei sentimenti di gioia e condivisione propri di una Olimpiade.
Caro Direttore,
frequento poco gli schermi, ma la sera del 26 luglio ho pensato di godermi l’apertura dei Giochi olimpici di Parigi.
Ben presto però, anziché divertirmi come i marinai dell’indimenticabile poesia di Baudelaire, mi sono sentito come i grandi e bianchi albatros… Qui suivent, indolents compagnons de voyage,
Le navire glissant sur les gouffres amers.
A dire il vero più che un’indolenza, letteralmente un’assenza di dolore, via via che i battelli scivolavano ho percepito l’amarezza slittare dalle onde della Senna al mio animo. Una mestizia che poi, forse per difesa, si è unita a una noia mortale, tanto da indurmi a spengere… prematuramente lo schermo.
Non intendo fare analisi e grandi ragionamenti, quanto semplicemente condividere uno stato d’animo, che evidenzia aspetti di portata più ampia dell’episodio di cronaca, anche se esso per l’importante contesto e le sue modalità è, a mio parere, un segno ulteriore del crollo – diciamo globale – in cui ci troviamo. Non penso tanto all’episodio più citato dell’Ultima cena, uno dei tantissimi che ormai si ripetono stancamente. Una moda, una banalità. Mi riferisco piuttosto all’atmosfera generale che ho colto, piuttosto mortificante, nel suo significato letterale: che ci allontana dalla vita. Ho avvertito in diversi momenti la mancanza di un vero sentimento di gioia e di bellezza che storicamente è stato condiviso con gli altri, nella piazza. Ho sentito piuttosto lo sforzo di costruire scenografie e luminarie ricche, lussuose. Ma dico ai distratti: superiamo le scenografie per la massa, il Novecento è ormai alle spalle.
Ho visto episodi e personaggi con costumi e gestualità francamente inquietanti. Oggi il bello è sparito anche per molte élite e per ricchi e straricchi; gli stessi curatori e mercanti d’arte spesso non sono interessati a proporre opere belle, cioè vitali, quanto piuttosto oggetti che emanano lusso che, a detta dello psicoanalista Luigi Zoja, è una perversione:
«si è dimenticato che lusso da sempre ha significato “patologia”: qualcosa di deviato. Il latino luxus vuol dire “fuori posto”, la stessa parola significava sia “lusso” che “lussato” […] È un impoverimento senza precedenti nella storia, che non è affatto compensato dall’avere più oggetti o servizi. Un’ingiustizia commessa verso una porzione sempre maggiore della popolazione, e verso la bellezza stessa» [1].
Insomma, per non dilungarmi concettualmente ed esprimermi piuttosto per immagini e stati d’animo, il tutto mi ha ricordato il mondo di Mr Bean, con le sue varie scenette, parodie di un’umanità insensata, micragnosa e rancorosa; con le sue avventure e costumi da Superman;
con L’ultima catastrofe e con le disavventure del suo protagonista con l’arte, col suo totale disinteresse (oltre che ignorante e assoluta incomprensione) per la pittura di Whistler Composizione in grigio e nero, (talvolta detta La madre), tanto da poterla tranquillamente sbeffeggiare e distruggere.
Solo una suggestione, ho detto. Mi sembra comunque tremendo che una simile dimensione farsesca e talvolta anche mostruosa e distruttiva si stia sempre più trasformando nella contemporaneità reale.
Aggiungo solo una breve riflessione, che fa parte di un testo un po’ più ampio di venti anni fa, del 2004: Quando sento parlare di PIL. Uno scritto che mi era stato chiesto dall’ I.R.P.E.T. – Istituto Regionale Programmazione Economica, sulla relazione fra la Toscana, con le sue istituzioni, e l’arte contemporanea. Anche da questo s’intuisce che gli aspetti e i temi della recente apertura olimpica non sono a mio parere da discutere per costruire polemiche che vertono solo su specifici episodi. Sono temi che vengono da lontano, nascondono realtà gravi, suscitano domande sulle cause e sui paradigmi culturali da cui sono proliferate. È indispensabile capire e approfondire molto bene tutto questo, per far fiorire finalmente un altro mondo, dimensioni davvero creative, vitali, luminose.
E come ho già detto, non è questa la sede per farlo.
Quando sento parlare di PIL. Note sull’arte contemporanea e dintorni
[…]
Non si è infine capito, nonostante le tante voci che su scala planetaria giungono da esperti di discipline scientifiche e umanistiche, che uno sviluppo economico non esiste senza una società di individui liberi, educati, colti, creativi, non si realizza senza un più ampio progresso umano iscritto in un quadro ambientale non degradato e impoverito.
Credo in sostanza che non tutti coloro cui sono affidate responsabilità educative, di indirizzo e di scelta siano all’altezza della situazione. Ci si trova in difficoltà nei confronti di una vera capacità innovativa, perché prigionieri di una eccessivamente ristretta visione economicista-scientista. Troppi perciò si disinteressano delle arti, come anche della cultura e della ricerca scientifica, quando non immediatamente riferite ad una specifica finalità pratica.
Emerge così sempre più frequentemente, da un lato l’idea di un uso puramente affaristico della cultura in genere e dell’arte in specie; dall’altro il ricorso a eventi confezionati per stampa e televisioni, che sono lo specchio in cui si riflette la mentalità sopra accennata; un’arte-eventuale tutta astrattezza, senza opere, corpo e anima, analoga ai flussi finanziari virtuali delle borse, che circola sempre identica, transnazionale e globale, tra i vari musei.
Il significato dell’arte non è unico e perenne, ma cambia nel corso dei periodi storici, con il mutare delle idee, delle tecnologie, delle situazioni sociali. Oggi, più che dal testo critico, il giudizio di valore è stabilito dalla carta di credito, dato che i più considerano arte soltanto ciò che è valutato dal mercato e che si trova nei musei, per volontà di chi muove le aste, di chi decide gli acquisti. Già da un secolo questa situazione è stata prevista e contestata con ironia e sarcasmo: volete un’opera d’arte? Bene, eccovi quest’orinatoio firmato Duchamp. Portatelo in Museo e specchiatevici; è la vostra immagine autentica!
Purtroppo questi gesti di rottura sono diventati la norma; lo scandalo ha pagato e perciò se n’è fatto alla fine un abuso. Così, dopo l’avanguardia messianica della contestazione, oggi domina quella mediatica, che non è più impegnata nell’esercizio di una facoltà critica ma protesa al massimo adeguamento al mercato. È una visione dell’arte che strizza l’occhiolino a intellettuali e vip, ma in realtà è banale, concettualmente povera e conformista. È dunque tempo di lasciare spazio anche a esperienze artistiche diverse, che non si limitino a riflettere passivamente la società, ma che invece la soffrano, la elaborino e forse in qualche caso profeticamente la scavalchino, come l’arte autentica ha sempre fatto.
Comunque, constato che il gioco della provocazione chic fa sempre meno shock; il pubblico non protesta più come un tempo e sempre più spesso distrattamente approva, con le autorità in testa o, più ancora, diserta le mostre, lasciando grandi buchi nei bilanci di enti e musei.
Personalmente, per ora, come artista m’impegno ad essere risolutamente a–moderno (non anti né post); e da spettatore per nulla scandalizzato, senza cadere nel trabocchetto che punta sulla protesta degli ingenui, mi unisco divertito agli applausi davanti all’ultimo evento-provocazione, come fossi in un colorato studio televisivo ad assistere al reality show.
Marcello AITIANI Siena 4 Agosto 2024
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