di Francesca BECONCINI
Lunga vita alla Francia!
Ho letto l’articolo di Philippe Preval del 31 luglio 2024, il cui titolo, nella traduzione italiana, è “Tanto rumore per nulla” e mi è piaciuto molto.
Con freschezza, ironia, e soprattutto con conoscenza dello spirito del suo paese, Preval ha sgonfiato la retorica dei sedicenti custodi della cristianità. Ciò che colpisce, nella levata di scudi contro la rappresentazione burlesca dell’Ultima Cena di Leonardo, non è tanto il modo in cui questi signori, che si dicono offesi, oltraggiati personalmente e per conto di tutti i cristiani, fanno esperienza del messaggio evangelico. Di questo, semmai, i domini canes ne risponderanno ad Anubi quando il loro cuore, posato su un piatto della bilancia, dovrà dimostrare tutta la sua levità rispetto alla piuma posata sull’altro piatto. Quello che sorprende è, invece, la loro ostinata insipienza della storia, dell’uomo e della Francia.
Fulcanelli, autore del famoso studio sulla simbologia alchemica racchiusa nelle cattedrali gotiche, in particolare quelle francesi, ci offre, nella premessa sui numerosi uffici che erano svolti in queste maestose opere architettoniche, uno scorcio penetrante della commistione di sacro e profano, di liturgia e parodia, che animava questi monumenti della creatività e della libertà dell’uomo.
“Santuario della Tradizione, della Scienza e dell’Arte, la cattedrale non dev’essere guardata come un’opera dedicata unicamente alla gloria del cristianesimo, ma piuttosto come un vasto agglomerato d’idee, di tendenze, di credo popolari, un insieme perfetto al quale ci si può riferire senza timore ogni volta che c’è bisogno di approfondire il pensiero degli antenati in qualsiasi campo: religioso, laico, filosofico o sociale.
Le volte ardite, la nobiltà delle navate, l’ampiezza delle proporzioni e la bellezza dell’esecuzione fanno della cattedrale un’opera originale, dall’armonia incomparabile, ma che non doveva essere completamente dedicata all’esercizio del culto.
Se, sotto la luce spettrale e policroma delle alte vetrate, il raccoglimento e il silenzio invitano alla preghiera e predispongono alla meditazione, in compenso l’apparato, la struttura e gli ornamenti, emanano e riflettono, con la loro straordinaria potenza, delle sensazioni meno edificanti, uno spirito più laico e, diciamo pure il termine, quasi pagano.
Si possono discernere, oltre all’ardente ispirazione nata da una solida fede, le mille preoccupazioni della grande anima popolare, la affermazione della sua coscienza, della sua propria volontà, l’immagine del suo pensiero, di tutto ciò ch’esso ha di complesso, d’astratto, d’essenziale, di sovrano.
Se si va nell’edificio per assistere alle funzioni religiose, se si entra al seguito d’un corteo funebre o in mezzo all’allegro corteo d’una festa solenne, la calca è grande anche in ben altre circostanze. Si tengono delle assemblee politiche presiedute dal vescovo; si discute il prezzo del frumento e del bestiame; i tessitori stabiliscono il prezzo delle stoffe; si accorre anche per cercare conforto, per domandare consiglio, per implorare perdono. E non ci sono corporazioni che non facciano benedire il capolavoro del nuovo confratello, che non si riuniscano una volta l’anno sotto la protezione del loro santo patrono.
Durante tutto il bel periodo medioevale furono conservate anche altre cerimonie, assai gradite al popolo. C’era la Festa dei Pazzi – o dei Saggi, – « kermesse» ermetica processionale che partiva dalla chiesa col suo papa, i suoi dignitari, i suoi fedeli, il suo popolo — il popolo del medioevo, rumoroso, malizioso, scherzoso, pieno di traboccante vitalità, di entusiasmo e di foga — e si riversava in città…
Ilare satira d’un clero ignorante, sottoposto all’autorità della Scienza nascosta, schiacciato sotto il peso d’una indiscutibile superiorità. Ah! La Festa dei Pazzi, col suo carro del Trionfo di Bacco, trainato da un centauro e una centauressa, ambedue nudi come il dio, che era accompagnato dal grande Pan; carnevale osceno che s’impossessava delle navate ogivali! Ninfe e naiadi uscenti dal bagno; divinità dell’Olimpo, senza nubi e senza tutú: Giunone, Diana, Venere, Latona si davano appuntamento alla cattedrale per sentire la messa! E quale messa! Composta dall’iniziato Pierre de Corbeil, arcivescovo di Sens, secondo un rituale pagano, e durante la quale le fedeli dell’anno 1220 gridavano il grido di gioia dei baccanali: Evohè! Evohè! E gli scolari rispondevano con entusiasmo delirante: Haec est clara dies clararum clara dierum!
Haec est festa dies festarum festa dierum!’[1]
C’era anche la Festa dell’Asino, quasi altrettanto fastosa della precedente, con l’ingresso trionfale, sotto i sacri archetti, di Mastro Aliboron, il cui zoccolo, un tempo, calpestava la pavimentazione giudea di Gerusalemme. Si celebrava il nostro glorioso Cristoforo, con una funzione speciale con cui si esaltava, dopo l’epistola, quella potenza asinina che ha procurato alla Chiesa l’oro dell’Arabia, l’incenso e la mirra del paese di Saba. Era questa una parodia grottesca che il prete, incapace di comprendere, accettava in silenzio, con la fronte china sotto il peso del ridicolo sparso in abbondanza, da quei mistificatori del paese di Saba, o Caba, i cabalisti in persona! È lo scalpello degli imaigiers[2] del tempo, che ci dà la conferma di quelle strane feste. Infatti, scrive il Witkowski[3] descrivendo la navata di Notre-Dame de Strasbourg, « il bassorilievo di uno dei capitelli dei grandi pilastri riproduce una processione satirica nella quale si distingue un maialetto che porta un’acquasantiera, seguito da alcuni asini vestiti in abiti sacerdotali e da scimmie che portano diversi attributi della religione ed anche da una volpe chiusa in gabbia. E la Processione della Volpe, o della Festa dell’Asino ». Aggiungiamo che una scena identica, miniata, si trova al folio 40 del manoscritto n. 5055 della Biblioteca nazionale.
C’erano, infine, quelle bizzarre usanze dalle quali traspirava un significato ermetico, talvolta molto puro; usanze che ogni anno si rinnovellavano ed avevano come teatro la chiesa gotica, tra esse la Flagellazione dell’Alleluia, nella quale i chierichetti spingevano, a gran colpi di frusta, i loro sabot[4] rumorosi fuori dalla navata della chiesa cattedrale di Langres; c’era poi il Convoi de Carême-Prenant; la Diablerie de Chaumont; le processioni e i banchetti della Infanterie dijonnaise, ultima eco della Festa dei Pazzi, con la sua Madre Pazza, i suoi diplomi rabelaisiani, il suo stendardo sul quale due fratelli, uno a rovescio dell’altro, si divertivano a scoprirsi le natiche; e lo strano Gioco della Pelota che era giocato nella navata di Saint-Etienne, cattedrale d’Auxerre, e che scomparve, poi, verso il 1538; ecc…
La cattedrale è anche l’ospitale asilo di tutti i disgraziati. I malati che venivano a Notre-Dame de Paris, per chiedere a Dio il lenimento delle loro sofferenze, vi restavano fino alla completa guari-gione. Era assegnata loro una cappella, posta vicino alla seconda porta ed illuminata da sei lampade. Qui essi passavano la notte. I medici visitavano i malati, proprio all’ingresso della basilica, intorno all’acquasantiera. Ed è ancora là che la Facoltà di medicina, nel XIII secolo, dopo essere uscita dall’Università per vivere indipendente, venne a tenere le sue assemblee, stabilendovisi fino al 1454, data della sua ultima riunione, convocata da Jacques Desparts.
Essa è anche l’asilo inviolabile dei perseguitati e il sepolcro dei defunti illustri. E la città nella città, il centro intellettuale e morale del tessuto urbano, cuore dell’attività pubblica, apoteosi del pensiero, della scienza e dell’arte.
Con l’abbondante fioritura della sua decorazione, con la varietà dei soggetti e delle scene che l’adornano, la cattedrale si presenta come un’enciclopedia di tutto il sapere medioevale, perfettamente completa ed assai variata, talvolta ingenua, talvolta nobile, ma sempre vivente.
Queste sfingi di pietra sono così degli educatori, degli iniziatori di prim’ordine.
Da secoli il guardiano di quest’ancestrale patrimonio è un vero e proprio popolo di irsute chimere, di buffoni, di figurine, di mascheroni, di minacciosi doccioni figurati — draghi, vampiri e tarasche[5].
L’arte e la scienza, un tempo concentrate nei grandi monasteri, fuggono dai laboratori, corrono all’edificio, si avvinghiano ai campanili, ai pinnacoli, agli archi rampanti, si sospendono alle volte, popolano le nicchie, trasformano le vetrate in gemme preziose, il bronzo in vibrazioni sonore e sbocciano sui portali con una gioiosa volata di libertà e di espressione. Niente di più laico dell’esoterismo di questo insegnamento! Niente di più umano di questa profusione d’immagini originali, viventi, libere, movimentate, pittoresche, talvolta disordinate ma sempre interessanti; niente di più commovente di queste innumerevoli testimonianze della vita quotidiana, del gusto dell’ideale, degli istinti dei nostri padri; e soprattutto, niente di più avvincente del simbolismo dei vecchi alchimisti, abilmente raffigurato dai modesti scultori di statue del medioevo. A questo proposito, Notre-Dame de Paris, chiesa filosofale, è, senza possibilità di smentita, uno dei più perfetti prototipi del genere, come ha scritto Victor Hugo, « il piú soddisfacente compendio di scienza ermetica, mentre la chiesa di Saint-Jacques-la-Boucherie ne era un geroglifico completo”
Francesca BECONCINI 4 Agosto 2024
NOTE