di Nica FIORI
Angelo Pellegrino è uno di quegli archeologi a 360° che all’attività scientifica (svolta a Ostia antica come funzionario direttivo, ma anche in missioni di scavo in Italia e all’estero) e didattica (come docente di “Antichità greche e romane” in diverse università italiane e come visiting professor in alcune università giapponesi) ha aggiunto quella di scrittore di libri e divulgatore, come magistralmente dimostra nella sua ultima pubblicazione, “Ostia”, una guida dell’antica città portuale alla foce del Tevere, edita da Espera nel 2024.
Si tratta di un volume di 236 pagine, di agile lettura ma rigorosamente scientifico, ricco di informazioni e di illustrazioni a colori, oltre che di utilissime mappe topografiche, di un’ampia bibliografia, di un glossario e di una lista cronologica degli imperatori romani, elementi questi ultimi indispensabili per chi non è un esperto dell’arte e della storia antica.
La guida è stata scritta proprio con l’intento di consentire la fruizione dell’area archeologica nella maniera più ampia possibile, inserendo le descrizioni della città entro otto articolati itinerari, che tengono conto degli aggiornamenti emersi dagli scavi condotti negli ultimi anni e delle acquisizioni presentate nella più recente letteratura scientifica: dati che ovviamente non sono presenti nelle precedenti guide ostiensi che si sono succedute a partire già dalla fine dell’Ottocento.
Ricordiamo che le rovine di Ostia, oggetto di scavi sistematici già sotto il pontificato di Pio IX, ma soprattutto negli anni 1938/42, sono tra quelle di epoca romana meglio conservate, non solo negli edifici pubblici, ma anche nelle case, nelle botteghe, nei vicoli dove si svolgeva la vita di tutti i giorni. Se è vero che nell’immaginario popolare Pompei attira più turisti, Ostia offre la possibilità di percepire una stratificazione maggiore, di enorme interesse storico e sociale, oltre che artistico. Data la vicinanza a Roma e al Tevere, inoltre, si presta anche a visite naturalistiche sul fiume che prevedono lo sbarco in prossimità degli Scavi, come pure nell’area dei porti imperiali di Claudio e di Traiano.
Nella presentazione del libro, che si è tenuta nel Parco archeologico di Ostia antica, con il direttore del Parco Alessandro D’Alessio e la giornalista archeologa Laura Larcan come relatori, particolarmente emozionanti sono state le parole di Angelo Pellegrino che, in una sorta di Amarcord, ha raccontato di quando, dopo aver vinto il concorso statale, ha preso servizio a Ostia come ispettore archeologo nel gennaio 1981, avendo modo di collaborare con un gruppo di persone che vi avevano lavorato a partire dagli anni ‘60 e ‘70 del Novecento e che avevano a cuore la conoscenza e la valorizzazione dell’area archeologica. Persone che venivano affettuosamente chiamate “la famiglia ostiense”.
È da loro che ha imparato molte cose su Ostia, oltre che dai fondamentali libri di Giovanni Becatti, di Guido Calza, di Fausto Zevi. Pellegrino ha ricordato, in particolare, che nei primi mesi del suo lavoro due restauratori di affreschi lo accompagnarono a vedere la cosiddetta Casa delle Ierodule e lì trovò affreschi bellissimi ma in uno stato di degrado impressionante, con pezzi staccati abbandonati su tavole e l’erbetta che vi cresceva sopra per via del tetto sfondato.
“Da allora – racconta Pellegrino – presi l’impegno con me stesso di conservare e restaurare gli apparati decorativi di Ostia, e non solo quelli della Casa delle Ierodule, secondo un programma che ho portato poi avanti negli anni, cosa che è proseguita con l’attuale Amministrazione”.
All’epoca non esisteva il Parco archeologico, ma la Soprintendenza archeologica di Ostia, che comprendeva anche Fiumicino, la via Portuense, la tenuta di Castel Porziano, Castel Fusano, fino ai limiti di Ostia moderna, con reperti che dall’età arcaica arrivavano all’epoca medievale e rinascimentale: un territorio molto più ampio dell’attuale parco, che bisognava tutelare con grande cautela dagli scavi clandestini. Notevole è stato, tra le altre cose, lo scavo d’emergenza, su indicazione della Guardia di Finanza, che ha riportato alla luce il pregevole Sarcofago delle Muse, attualmente esposto nel museo all’interno degli Scavi, da poco riaperto al pubblico, dopo un lungo lavoro di restauro e di riallestimento.
Pellegrino è diventato nel 2001 direttore degli scavi di Ostia (al tempo della Soprintendente Anna Gallina Zevi), ruolo che ha portato avanti fino al 2013 con grande passione e notevoli risultati, dei quali si dà conto in questo libro.
La guida si può suddividere in due parti: la prima, a carattere più tradizionale, parte dal profilo storico e urbanistico della città, dando particolare importanza alla fase arcaica, perché gli studi degli ultimi anni si sono accentrati su questo periodo, anche se il problema dell’eventuale fondazione in età regia, sotto Anco Marzio, rimane aperto; seguono la fase repubblicana e quella imperiale, quando in età adrianea la città raggiunge il massimo splendore. Quindi vengono trattate l’amministrazione della città (Pellegrino ricorda anche quando Ostia nella fase repubblicana era amministrata da due pretori), la vita religiosa, le attività lavorative e commerciali e l’edilizia privata, che comprendeva case plurifamiliari a più piani, ricche domus e le cosiddette case a giardino.
Il capitolo che precede gli otto “Itinerari” è intitolato “Indicazioni pratiche per i visitatori”. Giustamente l’autore evidenzia la possibilità di seguire un percorso breve (per chi ha a disposizione solo due-tre ore), un percorso medio o uno completo che comprende i monumenti più distanti, come le Terme di Porta Marina e la Sinagoga.
Ricordiamo che il percorso breve più indicato per visitare gli scavi si snoda, dopo aver percorso un tratto dell’antica via Ostiense, lungo il decumano massimo (l’arteria principale che partendo da Porta Romana si inoltra fino all’antica uscita a mare, la Porta Marina). Sulla destra del decumano si incontrano le Terme dei Cisiari, le Terme di Nettuno, famose per gli splendidi mosaici in bianco e nero, la Caserma dei Vigili e poco dopo il Teatro. Nonostante la facciata, a due ordini di arcate, sia del tutto ricostruita, il suo interno appare abbastanza conservato, tanto è vero che vi si tengono degli spettacoli estivi.
Al di là della scaena del Teatro si apre il piazzale delle Corporazioni, pavimentato tutt’intorno con mosaici a tessere bianche e nere, rappresentanti motivi marini, che ricordano le società commerciali e le corporazioni dei battellieri (cartaginesi, sardi, galli ecc.), che trafficavano nel porto e che avevano qui la sede della loro attività.
Proseguendo il percorso si arriva al Foro. L’edificio più vistoso, risalente all’età adrianea, è il Capitolium, ovvero il tempio dedicato alla Triade capitolina (Giove, Giunone e Minerva). Nei paraggi si possono ammirare pure le Terme del Foro, il Tempio di Roma e Augusto e una latrina ottimamente conservata.
Fanno parte del percorso breve anche i Quattro Tempietti di età repubblicana, la vicina Domus della Fortuna Annonaria, l’Edificio dei Molini, la Casa di Diana e sulla stessa via il Thermopolium, un tipo di locale dove venivano servite bevande calde, in particolare il vino, in maggior o minore quantità dolcificato con miele.
Negli itinerari che possono seguire i visitatori meno frettolosi scopriamo quanto numerose ad Ostia siano le testimonianze di edifici destinati a culti religiosi, per lo più di origine orientale. Ricordiamo, in particolare, il Campo della Magna Mater che prende il nome dalla dea Cibele, e i numerosi mitrei, tra cui quello delle Terme del Mitra, che ha restituito un gruppo scultoreo di grande pregio (l’originale è nel museo), quello di Felicissimo, con la raffigurazione a mosaico dei sette gradi iniziatici della religione mitraica, e quello detto dei Marmi colorati, di recente scoperta.
La seconda parte del libro è dedicata a schede di approfondimento, che offrono spunti per far ragionare i visitatori su aspetti particolari tipicamente ostiensi, come per esempio il patrimonio di 7000 epigrafi (superato solo da quello di Roma), le associazioni professionali (scheda firmata da Antonio Licordari), il culto di Vulcano, gli apparati decorativi (soprattutto mosaici e pitture), il territorio e i restauri. Un argomento questo di grande interesse perché i visitatori non sanno cosa c’è dietro questa città apparentemente ben conservata, ma frutto in realtà di restauri del primo Novecento non sempre condotti con criteri filologici.
Indubbiamente il pericolo delle intemperie e le possibili offese dei visitatori hanno indotto a custodire nel museo i pezzi migliori e a farli sostituire qua e là con calchi: non mancano tuttavia affreschi nelle case più importanti, che vengono aperte in occasioni di visite guidate, e mosaici che si cerca di proteggere con fogli di plastica e sabbia durante la stagione invernale.
Per i mosaici rimando il lettore alla mia recensione del libro di Pellegrino ad essi dedicato (cfr. https://www.aboutartonline.com/unindagine-sui-mosaici-dellarea-archeologica-di-ostia-antica-caratteristiche-tecnica-ed-evoluzione/ ).
Per gli affreschi voglio ricordare nell’estremo settore occidentale, là dove un tempo arrivava il mare, un gruppo di abitazioni plurifamiliari dette “case a giardino”, perché gravitavano intorno a un ampio giardino (o cortile) comune con fontane. L’unicità di tali case è data dal ricco patrimonio pittorico che, a tutt’oggi, costituisce la testimonianza in assoluto più significativa della pittura romana successiva alla distruzione di Pompei.
La più nota è la “Casa di Lucceia Primitiva” (dal nome trovato graffito su una parete), le cui raffinate pitture, eseguite sotto la direzione di un unico artista nella tarda età adrianea (130-140), raffigurano motivi dionisiaci e molte figure femminili di Menadi e offerenti, che sono state interpretate nel passato come Ierodule (schiave sacre, ovvero sacerdotesse che praticavano la prostituzione sacra), tanto che quest’edificio è più noto con il vecchio nome di “Casa delle Ierodule”.
Le figure si trovano al centro di ampi riquadri rossi e gialli, delimitati da elementi architettonici derivati da schemi in uso nel I secolo d.C. nella pittura pompeiana, ma più semplificati. Notevoli sono la saletta di rappresentanza e il grande tablino (soggiorno), separato da colonne da un ambiente di passaggio dotato di molte finestre che davano sul giardino. Il restauro ha valorizzato al massimo i vivaci colori che erano offuscati dal calcare e ha permesso la ricomposizione dei soffitti crollati (camere a canne intonacate e dipinte), che, però, non sono stati sistemati in loco, perché si è preferito fare una copertura trasparente molto leggera.
Il restauro ha riguardato anche la Casa delle Muse, la Casa delle Pareti Gialle e la Casa delle Volte Dipinte, le cui pareti sono pure decorate da ampi riquadri colorati, campiti al centro da figure umane o di animali o da scene mitologiche.
Nica FIORI Roma 17 Ottobre 2024